L’insignificanza dei cattolici nella politica italiana dopo la scomparsa della D.C. rappresenta da anni un pretesto per lamentele, rammarichi e rimpianti che periodicamente riemergono, ma è anche un innegabile dato di fatto. Anzi l’assenza o, nel migliore dei casi il deficit, non riguardano solo la politica, ma anche la cultura. Non per caso su Avvenire di sabato 9 marzo con l’articolo “Perché i cattolici faticano a rispondere alle sfide culturali” Roberto Righetto ha ripreso e commentato un’analisi del teologo don Pierangelo Sequeri, apparsa sullo stesso quotidiano, che sintetizzava la situazione del cattolicesimo italiano nella formula “Molta morale, poca comunità, zero cultura”.
Ad un tratto, sollecitato dall’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, l’associazionismo cattolico ha avuto avuto un sussulto d’orgoglio. Acli, Agesci, Azione cattolica, Comunione e liberazione, Sant’Egidio, Mcl, Movimento per l’unità, Rns e Aidu, riuniti a Trieste per un incontro di riflessione sul tema della Settimana Sociale dal titolo “Al cuore della democrazia” in programma per il prossimo mese di luglio, hanno – come scrivono – “condiviso l’urgenza di rivolgere insieme un appello accorato per la pace ai leader dei governi, ai rappresentanti delle istituzioni e in particolare a coloro che si candidano a guidare l’Unione Europea. Emerga con decisione un impegno condiviso per una Pace fondata sul riconoscimento dell’infinita e inalienabile dignità della persona”.
Ne è uscito un documento, aperto ad ulteriori adesioni, che, dato il momento, ha indubbiamente come principali destinatari i candidati al Parlamento, ma con loro, indirettamente (nemmeno tanto), tutti i cittadini-elettori, implicitamente invitati a tenere presente, al momento del voto, come uno dei fattori determinanti della propria scelta l’impegno per la pace.
Da parte dei commentatori si è parlato di “un importante tentativo di rivitalizzare l’impegno politico dei cattolici italiani, al di là e al di sopra della loro presenza in questo o in quel partito”, ma in realtà si tratta non di un programma politico, nemmeno di un abbozzo, ma soltanto di un pur fortissimo e meritorio richiamo al valore universale della pace, del resto una costante dell’insegnamento religioso cristiano. Se si vuole nel caso anche “politico”, considerandone l’occasione (un’elezione parlamentare), i destinatari (i protagonisti a vario titolo dell’elezione) e, soprattutto, il riferimento a situazioni di assoluta attualità, che necessitano di concrete soluzioni in tempi brevi. Anche la forza che lo anima non guasta sul versante politico della sua applicazione. Un messaggio tanto forte e insuscettibile di letture ambigue o alternative da non lasciare scampo sia a i candidati che ambiscono al voto degli elettori cattolici sia a questi ultimi al momento della scelta. Quando si scrive che le forze politiche e chi si candida alle imminenti elezioni europee deve “assumersi esplicitamente la responsabilità di porsi come interlocutore per la Pace, proponendo senza riserve la via diplomatica e della vera politica” non si lascia spazio a chi continua a porre paletti e condizioni, a cianciare di proseguimento delle operazioni belliche fino alla vittoria finale o a giustificarle col diritto all’autodifesa. L’appello definisce, senza residui, unica strada percorribile quella diplomatica, perché l’unica consentita dalla vera politica.
Ci sono tutte le ragioni per rallegrarsi con i rappresentanti dell’associazionismo cattolico per questa presa di posizione, tuttavia, non sufficiente a dare base ad un vero e proprio progetto di rivitalizzazione dell’impegno politico dei cattolici italiani. Anche se, come si è appena detto, la politica vi ha un suo ruolo, resta prevalente la natura religiosa, come conferma la citazione di papa Francesco: “Non dimentichiamoci delle guerre. Preghiamo per la pace”. Insufficienza tanto più evidente se si confronta l’appello con il di poco successivo (è stato presentato l’8 maggio a Roma nella sede della Stampa Estera) “Manifesto per la sovranità e i diritti dei popoli”, che ha come promotori e primi firmatari lo storico Franco Cardini, l’antropologa Valentina Ferranti, l’analista militare Stefano Orsi, lo scienziato Enzo Pennetta, il filosofo Andrea Zhok (in seguito si sono aggiunti molti altri: politici, intellettuali, giornalisti). Anche al centro del ”Manifesto” stanno, come richiesto dal momento, l’opposizione alla guerra e l’impegno per la pace, ma lo scopo dichiarato è quello, ben più vasto e articolato, di “essere un contributo alla nascita di un nuovo orientamento culturale e politico”. Nemmeno manca un’analisi, tutta politica, sulla situazione nazionale e internazionale con particolare riguardo alla deficitaria situazione dell’Unione Europea, alla sua incapacità di accettare l’emergere di un nuovo mondo multipolare, che avrebbe “bisogno di un’Europa totalmente diversa da quella attuale”. Si potrebbe continuare a lungo, perché numerosi sono i capoversi e gli argomenti del Manifesto in questione, ma questo scritto non si propone di farne la disamina e, t anto meno (in questa occasione), di propagandarlo. Semplicemente lo utilizza come termine di paragone per evidenziare, attraverso il raffronto, la difficoltà di scoprire, allo stato, nell’ “accorato appello” triestino concreti segnali dell’auspicato risveglio politico dei cattolici. Al più, un remoto prodromo. Una vaga ed incerta speranza.
Le cause dell’attuale insignificanza politica del mondo cattolico sono varie e risalenti nel tempo, a cominciare dalla decisione (politica, ma maturata anche all’interno della Chiesa) di dichiarare definitivamente chiusa, con la fine della D.C. l’esperienza di un partito cattolico e dall’errata previsione sulla capacità dei politici cattolici di mantenere viva e operante in politica la presenza quanto meno dell’ispirazione cristiana nonostante la loro dispersione in una pluralità di partiti dichiaratamente laici e portatori di messaggi e programmi diversi e, spesso, fra loro opposti. Tuttavia la causa più vera e profonda va ricercata all’interno della stessa Chiesa cattolica, al suo ripiegamento su stessa, alla perduta capacità di comunicare con l’esterno nonostante la dichiarata volontà di aprirsi al mondo, di essere, dopo secolari chiusure , “in uscita”. Un fenomeno la cui esistenza il teologo Pierangelo Sequeri constata come un fatto negativo anche per quanto riguarda il compito e la missione che le sono propri: la trasmissione della fede. Si tratta dell’incapacità della Chiesa contemporanea di trasmettere all’esterno la ricchezza della teologia, della liturgia, della spiritualità che egli ritiene sia stata accumulata negli anni seguiti al Concilio Vaticano II. Una “emozionante ricchezza, (che) però, ha battuto moneta soprattutto per il mercato interno: con esigua capacità di circolazione nel mondo degli scambi con l’esterno. Dall’esterno ha importato prestiti: spesso troppo spensieratamente apprezzati come valuta pregiata, forme di riconoscimento estemporaneo a sostegno di un’economia sostanzialmente autarchica”. “Che ce ne facciamo” si chiede, di queste accumulate ricchezze “se parlano soltanto a noi mentre vendiamo le chiese e razioniamo il clero?”.
Sarei tentato di chiedermi se per caso questa incapacità non derivi dal fatto che, al contrario di quanto scrive Sequeri, in questi decenni la riflessione teologica non è stata più ispirata, la spiritualità più vitale, né più comunitaria la concezione della Chiesa e nemmeno più testimoniale l’impostazione della missione sicché non vi è nessun accumulo di tesori da distribuire. Tuttavia, consapevole della mia incompetenza in materia, non mi azzardo a contrastare un teologo. Mi limito alla politica e al rilievo, storico, che all’epoca in cui contavano in politica i cattolici sapevano di avere alle spalle un solido edificio quasi bimillenario, portatore di una consolidata dottrina anche civile e politica e di una altrettanto solida cultura (in tutta l’estensione del termine). Di essere comunque, in ogni dibattito e contrasto, autorev oli per la riconosciuta Autorità che avevano alle spalle. Oggi tutto è cambiato: l’edificio traballa, le indiscutibili verità di un tempo sono oggetto di discussione e diatriba, tutto si è fatto incerto e impreciso, l’Autorità si sta dissolvendo in mille rivoli. Quello che resta del popolo cristiano si è diviso fra chi, come scrive il teologo, opta per “il ripiegamento all’interno della comfort-zone della devozione” e chi impegna tutto se stesso nel dibattito sui temi trattati dal prof. Massimo Viglione nel suo libro “Habemus Papam?”, cioè, come si legge, a titolo di sunto, in copertina: “Papa eretico- Rinuncia – Sede Vacante”.
E’ chiaro che, più che il tempo per dedicarsi anche alla politica (i cattolici o sedicenti tali impegnati in politica sono fin troppi), sono venuti meno i presupposti per proporre al paese, all’Europa, al mondo una politica definibile e riconoscibile (al di là di singoli specifici casi come, per l’appunto, la pace e la guerra) di ispirazione cattolica.
Francesco Mario Agnoli