Si avvicina il referendum sulla Brexit. Elettori divisi e sondaggi discordanti
La Brexit è tutt’altro che un’utopia. I britannici sono divisi ed il referendum del prossimo 23 giugno potrebbe scrivere una pagina storica per l’Europa e decretare oltremanica una sonora bocciatura per le istituzioni tecnocratiche. Sui possibili scenari legati all’uscita dall’Europa della Gran Bretagna abbiamo intervistato un osservatore molto attento e competente: Fabio Cavalera, corrispondente da Londra del Corriere della Sera.
A cura di Gennaro Grimolizzi
Il referendum sulla Brexit porterà sorprese clamorose?
“È molto difficile prevedere il risultato del referendum. Gli indecisi sono ancora parecchi e i sondaggi danno risultati contraddittori. Mi spiego: quelli effettuati attraverso il web indicano che il fronte Brexit è davanti, fra i sei e i dieci punti. Ma questo tipo di rilevazione non è scientifico e ritenuto poco attendibile, anche se sufficiente a mettere in fibrillazione i mercati. Quelli effettuati al telefono danno invece davanti il fronte “Remain”. Il poll dei polls, la media fra i due calcolata dal Financial Times, indica che a Brexit va il 47% e agli europeisti il 45%. Un testa a testa dunque. Va specificato che in sondaggi riservati, nei cassetti delle istituzioni finanziarie nella City, continuano a dare un verdetto favorevole allo schieramento pro Europa. Siamo di fronte a un quadro oscillante. E tutto può accadere. Ma vorrei sottolineare due cose.”
Quali?
“La prima è la volatilità della sterlina di queste settimane anche se ampiamente prevista dagli analisti della City. Dunque, aldilà dei titoloni dei giornali, nulla di clamoroso e situazione per ora sotto controllo. La seconda cosa è che, comunque vada a finire, la Brexit non avrà efficacia immediata. Ci vorranno dai due ai quattro anni perché si sciolgano i vincoli e nel frattempo continueranno a valere le norme in vigore. Ci saranno nervosismo e turbolenze sui mercati, ma, per essere chiari, i confini non saranno chiusi dall’oggi al domani!”
Gli inglesi sono davvero euroscettici?
“Sì, gli inglesi sono euroscettici di base. E questo deriva dal fatto che sono un’isola, che si sentono di fatto separati dal continente, che sono orgogliosi della loro storia, delle loro tradizioni, della loro cultura. Ciò non significa affatto che siano intolleranti o chiusi. Al contrario. Ma credono di avere poco da condividere con il resto dell’Europa. Poi, essendo ragionevoli e pragmatici, possono anche votare per restare in Europa. Il “salto nel buio”, l’uscita dalla Ue con ricadute economiche e sociali non prevedibili, mette paura. Ed è questo il fattore su cui punta lo schieramento europeista.”
Cameron, come Renzi in Italia, si gioca tutto il suo futuro politico con il referendum del prossimo 23 giugno?
“David Cameron ha prima cavalcato la tigre dell’euroscetticismo, poi ha frenato e compiuto l’inversione fino a mettersi alla guida del sì all’Europa. I suoi ondeggiamenti rischiano di costargli caro. Bisogna riconoscergli coraggio perché questa campagna l’ha condotta in prima fila. Certo è che il suo destino è legato al risultato del referendum. Se lo perde, non potrà concludere il mandato nel 2020. Gli equilibri nel partito conservatore si sposteranno. Qualcuno dice che potrebbe dimettersi nei prossimi mesi. Più probabilmente andrà avanti ma il tema della successione sarà sul tavolo. Un primo ministro dimezzato e indebolito.”
In caso di vittoria del fronte Leave si aprirà una fase del tutto nuova per il Regno Unito. Brexit fa paura alla finanza della City?
“La City tifa per l’Europa, questo è chiarissimo. Ma non si fa trovare impreparata al “salto”. Gli scenari sono stati studiati e testati. Le istituzioni finanziarie si adegueranno e cercheranno di trarre beneficio dal quadro di incertezza politico ed economico. Gli affari sono affari e i capitali si muovono di conseguenza. La City è contraria alla Brexit ma non terrorizzata. Si sa che i mercati avranno giorni di passione, nel caso di “leave”, ma banche e fondi non crolleranno!”
L’università di Cambridge ha definito “confidenziale” lo studio di Giulio Regeni sui sindacati egiziani e non ha dato seguito alla rogatoria internazionale della Procura di Roma. Un comportamento deludente da parte dell’ateneo inglese?
“Capitolo triste. L’università di Cambridge ne esce malissimo, a mio modo di vedere. Ma è una istituzione legata a doppio filo con l’intelligence britannica. È storicamente una “base” di reclutamento. Di conseguenza non mi sorprendo affatto della posizione che ha assunto.”
Possono esserci “collaborazioni” tra alcune università, che mettono a disposizione cervelli e ricerche, ed apparati di intelligence per conoscere quanto succede in certi Paesi?
“Certo. Ci sono “collaborazioni” fra università e intelligence. Cambridge e Oxford in primo luogo. Ma non solo. Non è un caso che molti ex direttori dei servizi segreti siano oggi cattedratici di atenei.”