Pensando allo Stato del Pacifico noto come Filippine, ci si accorge di saperne poco. Tutto ciò che normalmente ricordiamo di questo Paese ci viene generalmente dai libri di testo scolastici, dove si cita la scoperta dell’arcipelago nel 1521 durante la spedizione spagnola di Ferdinando Magellano (1480-1521), che perse la vita durante un attacco indigeno. Dalla scoperta, gli spagnoli impiegarono circa un quarantennio prima di pacificare sostanzialmente l’arcipelago, nel frattempo battezzato dagli spagnoli con il nome di “Filippine” in onore del sovrano Filippo II d’Asburgo (1527-1598).
Per questo arcipelago multietnico e multi linguistico, il 2016 rappresenta un anno denso di avvenimenti e ricorrenze per ciò che concerne la propria storia contemporanea; difatti ricorrono gli anniversari di tappe ed eventi che hanno portato le Filippine, da colonia spagnola, a divenire uno Stato indipendente.
La dominazione della Spagna, durata dal 1565 al 1898 plasmò il carattere delle isole; numerose le città fondate in questo paese-tribale, che trovò nel Cristianesimo, introdotto dagli spagnoli, un punto identitario e culturale unificante, divenendo il paese cattolico per antonomasia dell’estremo oriente.
Nel XIX secolo le volontà indipendentistiche filippine, covate da tempo, videro una concreta realizzazione con la “Rivoluzione filippina”; propugnata dalla società segreta del Katipunan – tradotto letteralmente in “Suprema e Venerabile Associazione dei Figli della Nazione” – guidata da Andres Bonifacio (1863-1897) ed Emilio Aguinaldo (1869-1964), divampò nel 1896 e giunse a lieta conclusione grazie alla coincidente guerra ispano-americana del 1898, conclusasi con la disastrosa sconfitta spagnola e la perdita degli ultimi residui di quello che fu un tempo un glorioso impero coloniale. L’analogia del moto rivoluzionario filippino con i più noti moti europei e sudamericani dell’Ottocento è
notevole; un ruolo centrale fu ricoperto dall’associazionismo segreto di stampo massonico, rappresentato dal Katipunan, fautore di un progetto rivoluzionario violento che si contrapponeva alla linea della Lega Filippina guidata dal grande letterato José Rizal (1861-1896).
Centoventi anni sono passati dalla sollevazione antispagnola, scatenata dal Katipunan dopo l’avvenuta scoperta dell’organizzazione da parte dell’autorità locale, grazie a un tradimento interno. Una sollevazione curiosa nella dinamica, che non esclude un velo di mistero sull’origine; poco avrebbe potuto infatti il Katipunan senza l’appoggio della popolazione, che con grande simpatia guardava alla pacifista lega. Fu la fucilazione di Rizal, già soggetto in precedenza a una condanna all’esilio, a dare inizio alla sollevazione; un’esecuzione dovuta all’accusa di essere l’ideatore e la guida del Katipunan – come votato dalla stessa società segreta al momento della fondazione – sebbene Rizal ne fosse estraneo.
Coincidenza o meno, la Rivoluzione divampò, ma non avrebbe avuto successo senza il provvidenziale intervento degli Stati Uniti durante il conflitto ispano-americano del 1898; la devastante sconfitta spagnola però non portò alla sospirata indipendenza, come il leader della rivolta filippina Aguinaldo si aspettava, ma ad una sostituzione del dominio iberico con quello
statunitense, sotto forma di protettorato. La mancata indipendenza, correlata da una vera e propria occupazione da parte dell’esercito statunitense – cui venne affidata l’amministrazione dell’arcipelago – e dall’inizio di un processo di secolarizzazione delle istituzioni cattoliche e l’introduzione dell’inglese come lingua ufficiale della politica, dell’insegnamento e delle attività commerciali, portò i filippini ad una aperta ribellione (1899) contro gli statunitensi. Nota come “Guerra filippino – americana”, avrebbe causato un allucinante numero di vittime civili, incluso tra le 34.000 e il milione di vite umane stroncate. Il conflitto provocò notevoli distruzioni, con i soldati statunitensi responsabili di diverse stragi; negli stessi Stati Uniti si registrò una forma di protesta organizzata con la nascita della Lega anti – imperialista americana, che tra i propri aderenti vedeva figure di spicco quali lo scrittore Mark Twain (1835-1910).
Militarmente inferiori, i filippini furono duramente sconfitti, benché riuscissero a tener testa alle forze occupanti sino al 1902, riuscendo a strappare una tiepida forma di autonomia, con l’introduzione di codice un civile e di un’assemblea legislativa di chiaro stampo americano.
Tuttavia la conclusione delle ostilità nell’arcipelago era lungi dal concludersi; mentre una parte del Katipunan sceglieva infatti di darsi alla macchia e dar vita ad una resistenza, improvvisamente esplodeva un nuovo, cruento, conflitto: la sollevazione dei “Moro”.
Molti storici considerano la sollevazione dei Moro una diretta continuazione della Guerra filippino – americana, ma nella realtà il fatto va scorporato da essa, sebbene vi siano molti punti di connessione. La rivolta coinvolse alcune etnie indigene stanziate nel cosiddetto territorio Bangsamoro, area sud – occidentale dell’arcipelago, caratterizzata dal fatto di essere da sempre il centro della minoranza musulmana delle Filippine – da qui il nomignolo “moro” dato dagli spagnoli sia alla zona che ai suoi abitanti -. Il territorio in questione fu l’unica area non essere completamente assoggettata al dominio spagnolo, che si limitarono a controllarne esclusivamente le coste e le acque sino al 1876, quando riuscirono a sottomettere la zona, garantendo al sultano di Sulu, il più potente signore di quelle terre, attraverso un trattato una forma di autonomia. Con la sconfitta del 1898, la Spagna cedette il territorio agli Stati Uniti, sebbene vi fosse una controversia col sultanato; quest’ultimo sosteneva infatti che il trattato con la Spagna sottoscrivesse una forma di protettorato di quest’ultima, la quale invece sottolineava la natura coloniale del territorio. Con gli Stati Uniti il medesimo problema si ripropose; dopo un’iniziale collaborazione nella guerra filippino – americana, dovuta all’odio nutrito verso i cattolici filippini, i Moro si videro inaspettatamente introdurre un nuovo ordinamento civile imposto dagli americani, che vietava tra le cose la schiavitù – praticata dalle varie etnie musulmane – e aboliva alcune prerogative amministrative feudali. Divampò allora la rivolta, che durò dal 1903 al 1913.
Particolarità della lotta era il ricorso alla tecnica della guerriglia anziché dello scontro aperto; un ruolo di
primo piano fu ricoperto dai Juramentados; erano questi dei guerrieri pronti a tutto, i quali compirono azioni suicide contro i soldati statunitensi, prototipi di quelli che tempo dopo si sarebbero rivelati i “kamikaze giapponesi”. A differenza dei jihadisti contemporanei, gli juramentados non erano votati al suicidio, proibito dal Corano, ma cercavano la via del Paradiso attraverso il tentativo di abbattere più nemici possibili, in attesa di morte certa: particolarità era il fatto che colpissero solo cristiani. Al grido “La ilaha il-la’l-lahu” – tradotto in “C’è un solo Dio” –, imbottiti di droghe, compivano attacchi all’arma bianca ai danni dei soldati americani, riuscendo ad abbatterne più d’uno prima della morte.
La sollevazione Moro fu stroncata dalle forze americane, che si macchiarono di una delle più grandi stragi del conflitto, quando tra il 5 e il 7 marzo del 1906 – esattamente 110 anni fa –, trucidarono circa mille persone tra uomini, donne e bambini, che avevano cercato riparo all’interno di un cratere vulcanico spento. Strage che venne replicata nel 1913 a Bud Bagsaak, quando perirono 196 donne e 340 bambini. La lega anti – imperialista americana non esitò a definire gli accaduti un vero e proprio crimine.
Per quelle che molti storici considerano le dirette continuazioni della Rivoluzione, la data simbolo può considerarsi il 1916, cento anni fa esatti, anno in cui gli Stati Uniti – grazie anche allo sdegno suscitato in patria dall’azione della lega anti imperialistica – promisero ufficialmente l’indipendenza all’arcipelago, che si sarebbe ottenuta però solamente nel 1946, a conclusione del secondo conflitto mondiale e la correlata occupazione giapponese, con la seguente proclamazione dell’indipendenza, a distanza di cinquant’anni dalla sollevazione antispagnola.
Un percorso molto affascinante quello che ha portato all’indipendenza le Filippine, iniziato centoventi anni fa con la Rivoluzione anti spagnola del 1896, passando per odiose stragi come quella di Bud Dajo di dieci anni dopo, per promesse d’indipendenza strappate con la lotta come quella di cento anni fa sino alla sospirata conquista di settant’anni fa. Tutti eventi che ricorreranno in questo 2016 di grande importanza per la memoria del popolo filippino.
Nicolò Dal Grande