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LA TURCHIA A UN MESE DAL VOTO. INTERVISTA A VALENTINA RITA SCOTTI.

Il premier turco Recep Tayyip Erdoğan

Intervistiamo Valentina Rita Scotti, assegnista di ricerca in Diritto Pubblico Comparato presso la LUISS Guido Carli, visiting researcher presso la Koç University di Istanbul ed esperta di mondo turco, circa il delicato periodo che la Turchia sta attraversando.

1. Quanto ha influito il risultato elettorale di giugno sulla riapertura delle ostilità tra PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e governo dell’AKP? Invece, dopo le elezioni di novembre, le relazioni tra questi due attori diventeranno ancora più tese o si distenderanno?
“Personalmente, non credo che le elezioni, sia di giugno che di novembre, abbiano influito o possano influire particolarmente sulle ostilità contro il PKK. Credo pıuttosto che la scelta del governo dell’AKP sia dovuta alla necessità di gestire la presenza del sedicente Stato İslamico ai confini e al desiderio di farlo senza doversi preoccupare dei rischi che potrebbero derivare dalla presenza su quei territori di una ulteriore forza ostile all’esercito regolare turco. Da quel che mi risulta, anche confrontandomi con i colleghi qui ad Istanbul, l’AKP continua a mantenere vivo il proposito di pacificare la regione sud-orientale e dı introdurre in via sia costituzionale che legislativa strumenti per il riconoscimento dei Curdi come minoranza. Ma questo non può avvenire se prima non si riesce a debellare il fenomeno terroristico che il PKK rappresenta. Occorre non dimenticare, infatti, che la strategia del PKK è, e soprattutto è stata, prevalentemente stragista e che non tutta la popolazione curda si riconosce in questo gruppo. Al contrario, in molti chiedono che la pacificazione avvenga attraverso il dibattito politico. Questo è un dato che è stato dimostrato anche dalle elezioni di novembre, che hanno visto un calo nel consenso al HDP che sarebbe dovuto anche alle fratture interne al movimento curdo derivanti proprio alla volontà di segnare un distacco dal movimentismo stragista.”

2. Il risultato delle ultime elezioni potrebbe favorire un ritorno della stabilità nel Paese e una conseguente ripresa del processo di riforme che il Presidente Erdoğan porta avanti fin dal 2002?
“Sicuramente le elezioni hanno confermato la fiducia della maggior parte della popolazione verso il partito dı Erdoğan e Davutoğlu e sin dalle prime dichiarazioni di entrambi è emerso con chiarezza il desiderio di riprendere le riforme. La priorità, tuttavia, sembra essere la riforma della forma di governo in senso presidenziale, che gran parte delle opposizioni considera strumentale a rafforzare la figura del leader dell’AKP pıuttosto che a migliorare la stabilità del paese. Le divergenze sulla riforma della forma di governo, tuttavia, hanno già causato lo scioglimento della Commissione costituzionale per la riconciliazione, per cui, anche se le riforme riprenderanno, non si può ancora dire se esse saranno condotte attraverso l’ampıo coinvolgimento di tutte le forze politiche del paese, o almeno di quelle presenti nella Grande Assemblea Nazionale, o se invece saranno redatte e quindi approvate grazie alla sola maggioranza di cui gode ora l’AKP. Mi preme tuttavia ricordare che i 317 seggi che l’AKP possiede non sono sufficienti per l’approvazione di riforme costituzionali, per le quali, secondo l’art. 175 della Costituzione, occorre il voto favorevole di almeno i tre quinti dei deputati per poter poı indire un referendum che consenta l’approvazione tramite il voto popolare. In sintesi, questo significa che Erdoğan deve riuscire a ‘convincere’ almeno 13 deputati degli altri partiti a votare in senso favorevole per qualsiasi riforma costituzionale, inclusa quella per il presidenzialismo, e poi sperare nella conferma da parte della popolazione, visto che il referendum non è necessario solo qualora la riforma venga approvata in Parlamento con una maggioranza qualificata dei due terzi. Un risultato che, almeno per ora, sembra difficilmente raggiungibile per Erdoğan.”

3. Dopo gli attentati di Ankara, Suruç e Diyabakir e la forte contrapposizione tra forze di polizia e manifestanti, pare che l’Unione Europea abbia raffreddato molto i rapporti con la Turchia. La situazione è destinata a peggiorare o si intravedono finestre di miglioramento dopo il risultato delle elezioni del primo novembre? Quanto società ed élites politiche turche sono ancora interessate all’adesione all’UE?
“La situazione sul punto è particolarmente complessa. Da un lato l’UE continua a mantenere un atteggiamento ‘respingente’ nei confrontı della Turchia, dall’altro, all’approssimarsi delle elezioni, Erdoğan ha ricevuto ımportanti endorsment proprio dai leader europei. Ad esempio, Angela Merkel, nella visita in Turchia del 18 ottobre 2015, ha ipotizzato un ripensamento tedesco circa l’opposizione all’ingresso della Turchia nell’Unione europea in cambio dell’impegno turco a cooperare nella gestione dei flussi di rifugiati siriani. Anche negli incontri fra Erdoğan e il Vice Presidente della Commissione europea Frans Timmermans, svoltisi a Bruxelles e a Ankara rispettivamente il 5 e l’11 ottobre, si sono avvertiti timidi avvicinamenti. I rappresentanti dell’Unione, infatti, hanno sottolineato l’importanza della collaborazione con la Turchia nella gestione dei flussi di rifugiati; in cambio, i negoziatori turchi avrebbero richiesto l’apertura di specifici capitoli negoziali, la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che viaggiano verso gli Stati membri UE, 3 miliardi di euro per la gestione dei rifugiati e l’invito dei rappresentanti turchi agli Eurosummit. Le elezioni del 1 novembre, che hanno dato un forte segnale di continuità, potrebbero quindi favorire il proseguimento del dialogo, ma occorre comunque ricordare che la Turchia, ormai consapevole delle difficoltà di ottenere il pieno riconoscimento quale Stato membro, ha ormai elaborato altre strategie per consolidare il proprio ruolo internazionale e quindi, tanto a livello di élite politiche quanto fra la popolazione, il desiderio verso l’adesione continua a scemare.”

4. Ultima domanda: da circa un mese si sono conclusi i festeggiamenti del 92° anniversario dalla fondazione della Repubblica in Turchia (29 ottobre). Quanto è viva l’eredità di Mustafa Kemal all’interno della società turca di oggi? Quanto lo è nelle istituzioni?
“Potremmo dire che in Turchia esistono diversi tipi di kemalismo. C’è il kemalismo politico, che, soprattutto per ragioni storiche, rimane un appannaggio del CHP. C’è il kemalismo commemorativo, che emerge in occasione delle celebrazioni per la festa della Repubblica o degli anniversari della morte di Atatürk, in cui le origini della Repubblica sono richiamate per ricordare la grandezza del momento fondativo e le magnifiche sorti cui il paese è destinato. C’è il kemalismo raffigurativo dell’esposizione di statue, immagini e motti del fondatore in luoghi pubblici e privati. C’è il kemalismo costituzionale delle famose ‘sei frecce’ (repubblicanesimo, nazionalismo, laicismo, populismo, statalismo, riformismo), garantite dall’inemendabilità dei primi 3 articoli della Costituzione ma lontane dal programma dell’attuale partito di governo e sempre più difficili da conciliare con lo spirito dei tempi moderni: rappresentando il nazionalismo un evidente limite al riconoscimento deı gruppi minoritari, il laicismo un evidente limite ai diritti di una crescente parte della popolazione che preferirebbe un secolarismo passivo sul modello statunitense al secolarismo militante di ispirazione francese introdotto all’origine della Repubblica, lo statalismo un evidente limite alla concorrenziale economia di mercato. Da ultimo, con un po’ di ironia, potremmo dire che anche l’aspirazione presidenzialista del Presidente Erdoğan ha il sapore kemalista di voler riportare un uomo solo al potere, proprio come era stato ‘l’eroe immortale’ – così il Preambolo della Costituzione definisce Atatürk – nei primi decenni della Repubblica. In sintesi, direi che l’eredità di Kemal Atatürk è ancora ben presente nel paese, sia nei rituali e nelle liturgie pubbliche che nella vita privata di ampi strati della società. É però un’eredità ‘pesante’, di cui a mio avviso il paese non riesce ancora a discutere serenamente per attualizzarla e adattarla al XXI secolo.”

Marcello Ciola
Domus Europa ringrazia la dott.ssa Valentina Rita Scotti per la  disponibilità.

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