Distratta dalla drammatica situazione mediorientale legata allo scontro civile siriano e alla lotta contro l’Isis, l’opinione pubblica occidentale e la relativa informazione mediatica sembrano seguire saltuariamente un altrettanto delicato scenario connesso allo scontro civile in atto nell’Ucraina, fra le forze filo governative e i separatisti del Donbass. La versione ufficiale trasmessa dagli organi stampa sembra sottolineare con convinzione una forte ingerenza russa a sostegno dei separatisti, secondo presunte mire egemoniche di Mosca nell’area. La situazione tuttavia è ben più complessa. Domus Europa ne parla con Vittorio Nicola Rangeloni del Coordinamento Solidale per il Donbass.
a cura di Nicolò Dal Grande
La crisi in Ucraina inizia con il ciclo delle proteste note come “Euromaidan”, iniziate nel 2013 e conclusesi con la fuga del presidente eletto Janukovyc del novembre del 2014, l’inizio della crisi Crimea e, successivamente, con la “rivolta” delle zone del Donbass. Raccontaci della tua esperienza. Che clima si respirava in quei giorni e cosa accadde in piazza Maidan?
“Innanzitutto grazie per la disponibilità a trattare questo tema, che la maggior parte dei media fa finta di non vedere.
La mia esperienza nella rivoluzione in Ucraina, inizia appena prima dell’inizio delle manifestazioni in piazza Maidan, quando ancora non si parlava di accordi tra questo Paese ed Ue. Visitando l’Ucraina verso la fine dell’ottobre 2013, fui subito colpito da una tendenza: all’improvviso, tante persone, specialmente tra i giovani, iniziarono a girare adornati da nastrini per metà coi colori nazionali gialloblù, e per metà riportanti la bandiera blu-stellata dell’Unione Europea. Il fatto mi incuriosì, ma mi rassicurarono che fosse solo una moda. “Domani, probabilmente, la tendenza sarà di andare in giro con in nastrini riportanti la bandiera russa”, dicevano.
In realtà era l’inizio di un subdolo processo di manipolazione prefabbricato dalle solite ONG, tra cui quelle di Soros o quelle patrocinate direttamente dall’ambasciata degli States, che a pochi mesi avrebbe portato ai fatti noti a tutti della rivoluzione del Majdan Nezalezhnosty (piazza dell’indipendenza).
Lungo quelle strade, ci ritornai quando si verificarono gli scontri più pesanti, nell’apice delle violenze. La presenza di questi nastrini si era moltiplicata, così come era mutato il carattere pacifico della tendenza: ragazzine che fabbricavano molotov, anziani che accorrevano coi copertoni delle auto per poi darli alle fiamme. Il mondo era impazzito, senza che nessuno se ne accorgesse.
In verità il processo è stato graduale, come quello della parabola della rana immersa in una pentola d’acqua fredda che pian piano si scalda fino a bollire, senza che essa dia troppa importanza alla variazione graduale di temperatura che però la conduce alla morte.
In Ucraina, le famose rappresentanze occidentali, le vere interessate alla destabilizzazione del Paese, hanno giocato sporco sul malcontento effettivo della popolazione, illudendoli che un cambiamento radicale fosse necessario. Occorreva cacciare gli oligarchi, sopprimere la corruzione e ristabilire un’indipendenza dell’Ucraina. Molte persone sono state attratte da queste fascinazioni, così come altre sono state attratte, ancor più che dai biscottini distribuiti in piazza personalmente dalla Nuland (portavoce del Dipartimento di Stato Usa!), dai dollari promessi per campeggiare nella piazza della capitale ucraina. Per questo motivo, in sintesi, in piazza ho trovato sia quelli che davvero speravano di buon cuore in un cambiamento, sia quelli foraggiati dai soliti noti per creare destabilizzazione. E quest’ultimi erano sicuramente quelli più violenti, tra i quali, spiccavano le varie formazioni ultranazionaliste, complici consapevoli di queste manovre tutt’altro che popolari e volte all’interesse nazionale.
Infatti, quando queste squadriglie riuscirono a conquistare il parlamento, non fecero altro che deporre un oligarca, sostituendolo con altri medesimi clan che nel corso di questi due anni hanno svenduto gran parte del patrimonio nazionale alle grandi Corporation americane, scatenato una guerra civile costata la vita a decine di migliaia di persone, distrutto la propria economia, così come la loro storia.”
Le fonti occidentali parlano di un tentativo russo di annettersi, dopo l’occupazione “tutelatrice” della Crimea, anche i territori del Donbass. Ma chi sono i soldati del Donbass e per cosa combattono realmente?
“Per comprendere le due dinamiche occorre fare una premessa che aiuta a capire meglio il corso degli eventi. In Crimea il Chernomorskij flot (flotta russa del mar nero) esiste dal 1783 e ci è rimasta pure dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, in base a diversi accordi stipulati a partire dal 1992. Nel Donbass invece, dal momento in cui è sorta l’Ucraina, non si sono più visti militari russi effettivi. Questa condizione, ha permesso alla Russia di far valere le proprie richieste verso la Crimea dove è stato indetto un referendum che ne ha sancito il “ritorno a casa”, senza che venisse sparato un colpo di kalashnikov. D’altra parte, però, partendo da Kharkov, passando dal Donbass ed arrivando ad Odessa , avrebbero voluto seguire l’esempio della Crimea, ritrovandosi a fare i conti solo con le proprie forze.
Chi decise di combattere contro il neogoverno golpista di Kiev, in principio, non lo fece per separarsi (da qui la connotazione “separatista”) ma per chiedere nuove elezioni, non accettando il golpe antidemocratico e che non rappresentava la volontà della maggioranza della popolazione ucraina. Kiev rispose inviando i carri armati sui manifestanti pacifici, e da lì ne nacque una conseguente volontà di resistere in modo armato e bussare alla porta della Russia. Un ritorno alle proprie origini. Le persone che si sono schierate contro Kiev e che tutt’ora stanno nelle trincee sono perlopiù minatori delle miniere circostanti e operai delle industrie della zona, armatisi in difesa delle proprie case, delle proprie famiglie e della propria identità che il governo di Poroshenko sta cercando di riformattare eliminando i tratti storici e culturali della storia di questo popolo.”
Sul fronte opposto l’esercito ucraino si trova coinvolto in una guerra contro uomini che fino a pochi anni fa erano concittadini. Quale convinzione spinge gli ucraini a marciare contro i separatisti: patriottismo o obbligo calato dall’alto?
“Anche su questo punto occorrerà fare delle distinzioni e delle considerazioni. L’Ucraina, sta portando avanti questa battaglia con tutte le proprie forze, ricorrendo alla mobilitazione forzata di ampie fasce della popolazione, richiamando alle armi ragazzini nemmeno maggiorenni, fino ai cinquantenni. E’ facilmente immaginabile che sono pochi coloro che sono disposti a morire per quel governo, ma tuttavia l’unica alternativa per salvarsi dal richiamo alle armi, è pagare, oppure fuggire all’estero e non tutti ne hanno le possibilità. Per queste ragioni, coloro che vengono inviati al fronte nell’ATO (Operazione Anti Terrorismo), spesso sono mal motivati a combattere dando vita, specialmente durante le battaglie più violente, a diserzioni di massa con intere rotte di soldati che si consegnano in mano ai filorussi.
Per compensare questa situazione il governo ucraino ricorre all’impiego di diversi battaglioni formati da mercenari (anche stranieri) ed alle formazioni ultranazionaliste, che in nome dell’integrità nazionale, sono ben disposte a spargere sangue e terrore, anche in violazione degli accordi di pace. Capita che questi battaglioni di estremisti aprano il fuoco sullo stesso esercito ucraino perché colpevole di combattere malvolentieri.”
In tutto questo contesto, molto attiva si è mostrata la Chiesa ortodossa. Che posizioni ha assunto?
“La Chiesa Ortodossa possiede diversi rami e scissioni, anche in questo conflitto: il patriarcato di Mosca e di tutte le Russie, guidato da Kirill che si è sempre esposto in tutela della popolazione del Donbass, prestando aiuti e promettendo di ricostruire le numerose chiese bombardate dai militari ucraini; dall’altra il patriarcato non riconosciuto di Kiev, autoproclamatosi nel 1992 in seguito agli eventi politici legati con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e con la creazione dell’Ucraina come Stato indipendente, che invoca le autorità a proseguire la guerra nell’est del paese accusando il patriarcato moscovita di essere responsabile della situazione. Ricordo che il Patriarcato di Kiev aveva supportato le manifestazioni di piazza Majdan in modo attivo.”
Si vocifera ufficiosamente di una diretta presenza sul campo delle forze russe al fianco dei separatisti e di quelle Nato con l’esercito ucraino. Qual è la verità?
“I media hanno falsificato parecchio le informazioni, attenendosi alle dichiarazioni del presidente ucraino Petro Poroshenko, il quale gridava ai quattro venti all’invasione russa, supportato da tutti i nuovi partner – o meglio dire padroni – occidentali senza però mai fornire uno stralcio di prova. In Donbass la Russia è comunque presente con aiuti umanitari di vitale importanza e con un buon numero di persone comuni, che volontariamente hanno deciso di lasciare il proprio lavoro e le proprie case per venire ad aiutare i loro fratelli, anche perché, spiegano che se questa guerra verrà persa, quella successiva probabilmente si sposterà verso le loro case. Come sono presenti i russi, in quantità minore si può affermare che vi siano anche italiani, francesi, spagnoli, serbi, americani e volontari di tante altre nazionalità.
Allo stesso tempo, addestratori e truppe della NATO scorrazzano qua e là per l’Ucraina. Lo scopo ufficiale è quello di impartire nozioni militari all’esercito di Kiev, ma più voci ufficiose, parlano di un loro saltuario coinvolgimento anche al fronte. Anche le colonne di Humvee, munizioni ed armi inviate in supporto a Kiev, non sono una novità.
In più occasioni le autorità ucraine hanno bussato alle porte della NATO per richiedere di entrarvi in modo ufficiale ed il presidente Russo Vladimir Putin ha replicato che qualora questo progetto si dovesse realizzare, allora non potrà fare altro che rispondere con misure adeguate e, se necessario dispiegando il proprio esercito.”
Domus Europa ringrazia Vittorio Nicola Rangeloni per la disponibilità.