Qui di seguito una intervista a Varoufakis, ministro delle finanze greco del governo di Tsipras nonché economista di riferimento di Syriza. L’intervista è apparsa su Charlie Hebdo nel suo primo numero riapparso in edicola proprio in questi giorni. L’intervista è interessante anche se l’intervistatore del “giornalaccio” dimostra che il vero fine delle sue domande è quello di promuovere la sub-cultura anarco-libertaria, radical chic e nichilistico-borghese dell’insulsa testata pseudo-satirica. Precede un mio personale commento ai contenuti dell’intervista. La sequenza numerica del commento è riferita all’ordine delle domande e risposte nell’intervista.
1) Varoufakis è molto ottimista circa la presunta sconfitta della Troika. Forse è una parte che deve recitare pro domo sua ma che lo spirito della Troika si possa facilmente sradicare la vedo difficile.
2) Varoufakis smonta una colossale menzogna che è diventata un luogo comune dei tedeschi e degli altri pro-austerità ossia che i greci, nel loro complesso, sono responsabili dei loro mali perché si sono irresponsabilmente indebitati. Invece la responsabilità è di un ceto politico insulso e di una casta di scrocconi, l’unica ad aver tratto profitto dall’irresponsablità politica. Si potrebbe obiettare che il popolo greco ha votato quel ceto politico, come noi italiani abbiamo fatto con il nostro altrettanto poco affidabile. In realtà il clima di euforia “millenaristica” iniziato dopo il 1989 ha ubriacato tutti con la complicità dei media. Le masse generalmente assorbono l’ètat d’èsprit epocale senza tanto senso critico. Ecco perché la più grave responsabilità è del ceto dirigente. L’“occhio per occhio” più che meramente biblico è semitico, vicino-orientale. Era già contemplato nel codice di Hammurabi e poi nelle leggi di Nabucodonosor. Piuttosto biblico, nel senso più autentico della parola, è il graduale passaggio dall’antica legge del taglione allo svelamento della Misericordia divina che si riscontra già nel nuovo senso, appunto misericordioso, che assume nel Deuteronomio l’antica e semitica usanza dell’anno sabbatico – la remissione dei debiti, presso le culture orientali, era motivata da questioni strumentali come l’arruolamento nell’esercito dei debitori insolventi “graziati” (così facevano i faraoni d’Egitto) – fino al completo svelamento di Essa nella preghiera sacerdotale del Padre Nostro insegnataci da Gesù Cristo: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. I debiti, in tale preghiera, non sono solo metafora dei peccati perché se l’uomo è debitore verso Dio di colpe morali, certamente non sono solo morali i “debiti” inter-umani (ed anche dove questi sono morali restano comunque colpe contro Dio sicché quelli verso il prossimo sono anche da intendersi in senso più concreto).
3) Varoufakis forse non ha ancora capito che l’Europa politica non esiste ma che esiste solo l’Eurogermania. Dalla quale proprio lui ha preso un sonoro schiaffo. Per l’Eurogermania vale ancora il principio arcaico per il quale il debitore si può incarcerare togliendoli in aggiunta i diritti politici. Esattamente quel che hanno fatto alla Grecia, anche quella di Tsipras.
4) Qui Varoufakis ha ragione e smonta un altro luogo comune diffuso dai sostenitori dell’Eurogermania. E’ assolutamente vero che al debitore irresponsabile corrisponde sempre un creditore/prestatore irresponsabile e che prima del 2010 il credito facile, pur nella conoscenza del forte rischio di insolvenza, è servito al surplus finanziario tedesco che, in un’ottica neocoloniale, si è riversato nell’Europa del sud per agevolare l’acquisto, a credito, delle esportazioni germaniche da parte dei Paesi euro-mediterranei, non solo la Grecia. La moneta unica ha creato uno squilibrio tra Paesi nordici, in surplus delle partite correnti e dei saldi finanziari e commerciali della propria bilancia dei pagamenti, e Paesi “sudici”, in deficit. E’ lo stesso meccanismo che ha provocato l’inizio della crisi in America con i mutui sub-prime, concessi persino ai clochard per l’acquisto a credito agevolato delle case e poi trasformati in prodotti finanziari piazzati sui mercati come titoli tossici, fino a quando la bolla speculativa così innescata è scoppiata travolgendo l’economia globale. Quindi i rigoristi teutonici dovrebbero spiegare dove sta questa loro presunta superiorità morale tale da giustificare la messa alla gogna della Grecia e degli altri Paesi euro mediterranei.
5) Qui casca l’asino (nel senso letterale del termine e con tutto il rispetto del mite animale che fu presente anche alla Nascita del redentore). Il giornalista del “giornalaccio” tira fuori tutta la sua idiozia sub-culturale neogiacobina e chiede perché mai il governo di Syriza non tasse i beni della Chiesa ortodossa. E’ tipico dell’assolutismo e del giacobinismo voler assoggettare la Chiesa allo Stato e la via fiscale ne è sempre stata lo strumento privilegiato. Sin dai tempi di Filippo il Bello, dato che sotto un profilo immediato al disputa del re di Francia con Bonifacio VIII concerneva la tassazione regale imposta sui benefici ecclesiastici. I “giacobini” di tutte le epoche si sono sempre accaniti contro i beni ecclesiali con apparenti motivazioni di giustizia per poi nascondere soltanto la fame di arricchimento dei ceti rivoluzionari, soprattutto borghesi, che acquistavano a quattro soldi i beni espropriati alla Chiesa, con la scusa della manomorta, i cui proventi invece, spesso, sostentavamo, oltre che il clero, in particolare quello povero, intere popolazioni rurali. La storia dell’esproprio rivoluzionario dei beni ecclesiali come delle terre comuni e degli usi civici, a danno dei poveri, insegna quanta ipocrisia può sussistere dietro parventi proclamazioni di giustizia sociale come quelle mosse dal giornalista del “giornalaccio”. Quando ipocritamente Giuda si lamentava dello spreco di profumo di fronte al gesto d’amore della Maddalena che lavava ed asciugava i piedi di Cristo, dicendo che vendendo quel profumo si sarebbe potuto aiutare i poveri, il Signore, sbugiardando le vere motivazioni oggi diremmo “ideologiche” di Giuda, evidenziò quanto amore c’era in quel gesto rivolto a Lui vera Fonte di ogni autentica Giustizia, sicché neanche la giustizia sociale avrà mai una base sicura se si pretende di sradicarla dall’Amore di Dio, come appunto pretende il “giornalaccio”. Detto questo, bisogna, da parte cattolica e cristiana, fare un doveroso approfondimento. Troppo spesso la giusta protesta ecclesiale contro evidenti vessazioni fiscali statuali è stata, ad arte, confusa con la protesta fiscale dei ricchi possidenti che non vogliono contribuire al comune sacrificio. La difesa assoluta di una proprietà privata intesa in senso individualistico e “sacrale” è tuttora il cavallo di battaglia di tanti settori del tradizionalismo cattolico più becero, che difende con il pretesto della Libertas Ecclesiae il latifondismo agrario laddove esso sussiste ancora come nei Paesi dell’America del sud. Che il fisco deve essere giusto ed equo, e soprattutto non funzionale al “servizio del debito pubblico” ossia al pagamento degli interessi ai mercati finanziari, dovrebbe andare da sé e tuttavia ogni protesta fiscale deve essere ben vagliate circa le motivazioni, perché una cosa è la protesta del piccolo artigiano vessato ed altra cosa è quella del ricco proprietario – che oltretutto fugge spesso all’estero – il quale molto semplicemente vuole sottrarsi ai suoi obblighi morali e sociali di contribuzione al bene comune. Sotto un profilo spirituale ed ontologico, la Chiesa è superiore alla Comunità politica, ossia oggi allo Stato, ma questo non significa che Essa debba sottomettere lo Stato in termini teocratici e lucrare indebiti vantaggi, anche fiscali. Certamente non è possibile questo in un regime sanamente laico. La Chiesa, che è il veicolo visibile dell’Invisibile ed il veicolo temporale dell’Eterno, ed è Corpo Mistico e Sociale di Cristo, distinta dallo Stato non è ad esso opposta sicché Essa non può sottrarsi al comune sacrificio di tutti secondo parametri condivisi di equità per tutti. I cristiani devono essere solidali con gli altri cittadini nel bene comune, altrimenti non sono credibili. Ma bisogna essere assolutamente chiari, perché una cosa, vessatoria, sarebbe la tassazione dei luoghi e dei beni di culto o delle opere di carità, altra cosa è invece la tassazione, equa, delle eventuali attività produttive ed economiche gestite da organismi ecclesiali come, ad esempio, alberghi di lusso o produzioni agricole o commerciali o editoriali et similia. Anche per la remunerazione dei sacerdoti deve distinguersi tra quanto essi percepiscono con libere donazioni o per mezzo dei fondi ecclesiali e quanto essi percepiscono per altre attività effettivamente lavorative come l’insegnamento. Quel che è da notare, però, nell’intervista è che Varoufakis, che certo non è cristiano, non cade nel tranello ideologico del “giornalaccio” e replica che le “ricchezze” della Chiesa ortodossa non generano redditi tali da giustificare cospicui prelievi fiscali. Certo Varoufakis sottende che se tali beni generassero redditi appetibili sarebbero tassati. Ma evidentemente il ministro delle finanze greco – “marxista libertario” – si rende perfettamente conto che la Chiesa non è nemica della povera gente (Tsipras nel settembre scorso è stato ricevuto, riservatamente, da Papa Francesco) e che un luogo di culto o le opere di carità non sono cose da assoggettare al fisco, se si vuol essere coerenti con una politica a favore dei più socialmente deboli. Mentre circa i ricchi armatori e le spese militari Varoufakis non si sottrae, giustamente, all’incitamento fiscale del giornalista, dimostra di saper distinguere a proposito della Chiesa ortodossa. In tal modo rintuzzando l’atteggiamento “giacobino” dell’idiota “giornalaccio”.
6) Il ragionamento di Varoufakis che mira a mettere in guardia l’Eurogermania circa le conseguenze dell’eventuale fallimento di Syriza non è affatto senza fondamento. Alba Dorata non è il Fronte Nazionale di Marine Le Pen né Fratelli d’Italia o la Lega di Salvini con il loro anti-immigrazionismo tutto sommato “bonario”, all’italiana. Alba Dorata è un partito di neonazisti dichiarati il cui leader, ora agli arresti (non mi pronuncio sulla strumentalità o meno dell’arresto), era solito farsi annunciare messianicamente nei meeting politici, nei quali i militanti scattavano in piedi al suo ingresso con cori da stadio, ed era solito farsi scortare da gorillas. Si dice che coltivi ampi contatti ed abbia ampi appoggi nei circoli eredi dell’esperienza golpista del regime dei colonnelli degli anni ’70. Certamente anche il modello originario, quello tedesco degli anni ’30, seppe tirare fuori la Germania dal crollo morale e sociale della Repubblica di Weimar e ridare, in apparenza, un orgoglio ed una speranza al popolo tedesco. Ma per quali fini e con quali esiti si è poi visto. La Germania, anche negli anni ’30, aveva realizzato un dominio, anche economico, tedesco-centrico nel cuore dell’Europa e se avesse vinto la guerra tutti sarebbero caduti nella sua orbita, compresa l’Italia di Mussolini, alleato sì ma pur sempre segretamente guardingo e diffidente verso Hitler. Con questo, naturalmente, non intendo dare un giudizio storico a favore dei vincitori americano-anglo-franco-sovietici della guerra: è illusorio pensare che costoro difendessero i principi della civiltà e dell’umanità contro la barbarie nazista. Per quanto la seconda guerra mondiale fu anche uno scontro ideologico, Usa, Inghilterra, Francia ed Urss hanno soltanto perseguito i loro interessi geo-strategici contro un comune avversario, Germania, Italia e Giappone, che, ad un certo punto, era entrato in conflitto e concorrenza con la loro analoga volontà di dominio mondiale.
la Grecia e sull’accordo rpensate che vi convenga abbattere un governo progressista come il nostro
NEXT QUOTIDIANO
giovedì 26 febbraio 2015 11:23
Durante il vostro primo incontro, il ministro delle finanze olandese e presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha dichiarato: «hai appena ucciso la troika» (Commissione europea, BCE e FMI). Crede veramente di esserci riuscito?
Sì, penso che abbiamo ucciso la troika, almeno nella sua forma di squadra di tecnocrati che si avventano su Atene come un corpo scelto dell’epoca coloniale; o come uscieri inviati ad imporre condizioni totalmente inapplicabili ad una popolazione in stato di prigionia. Il compito monumentale che abbiamo adesso davanti è dissolvere lo spirito della troika, sradicarne la mentalità, chiudere l’era del suo dominio in Europa, non solo in Grecia.
Il dibattito attuale si concentra sull’alleggerimento del debito. Ma i greci non dovrebbero rimborsare quello che hanno ricevuto in prestito?
Questo modo di presentare le cose si fonda su due nozioni problematiche: quella di responsabilità collettiva e quella di punizione collettiva. Entrambe sono bandite -mi permetto di ricordarlo- dalla convenzione di Ginevra. Prima della crisi, solo una minoranza dei greci ha approfittato della fase di crescita, artificialmente sostenuta dal debito, mentre la maggior parte della popolazione non ce la faceva ad arrivare a fine mese; dopo la crisi, chi ha dovuto pagare? Ancora una volta, non chi aveva guadagnato con la fase di crescita precedente (e le cui ricchezze sono finite a Ginevra, a Londra o a Francoforte) ma quelli che non ci avevano ricavato niente. Dire oggi : «i greci devono pagare» -una richiesta che sembrerebbe ragionevole- significa esigere nuove sofferenze alle vittime di sempre. È un atteggiamento del tipo “occhio per occhio, dente per dente”, una specie di economia biblica che mette in ginocchio tutta l’Europa.
È possibile superare il conflitto fra debitori e creditori in Europa?
Assolutamente sì. Per riuscirci bisognerà, però, cominciare a considerarci cittadini di un’Europa unita, con ambizioni condivise ed eguali diritti politici. Del resto, è proprio così che le democrazie borghesi sono nate: liberandosi del pregiudizio assurdo che solo i proprietari potessero votare, e superando l’idea ancor più retriva che si potesse imprigionare un debitore insolvente – e revocargli i diritti politici.
Come si rivolgerebbe ai contribuenti tedeschi o francesi?
Comincerei spiegando loro che dietro un debitore irresponsabile c’è un creditore irresponsabile. Prima del 2010, un’abbondante disponibilità di capitali ha generato in Grecia uno tsunami di prestiti predatori. Nel 2010, le cose sono cominciate ad andare male e l’Europa ha deciso di far pagare a noi e a voi, ai contribuenti, le perdite del settore finanziario. Il peso che grava oggi sulle spalle dei contribuenti greci è semplicemente insostenibile. Perché la Grecia possa rimborsare quello che avuto in prestito, l’Europa deve creare le condizioni di una nuova fase espansiva, che generi prosperità. Questo vuol dire mettere fine all’austerità punitiva ed assurda che è imposta oggi. Nel medioevo, i “medici” prescrivevano dei salassi, che erano spesso la causa di peggioramenti ulteriori dello stato di salute del paziente; a questi il medico reagiva con nuovi salassi. Ecco il tipo di “razionalità” che illustra perfettamente il metodo attuale dell’Europa: più l’austerità fallisce, più la si prescrive.
Volendo riportare il bilancio greco verso l’equilibrio, non si potrebbero far pagare le imposte alla chiesa ortodossa e agli armatori, e ridurre le spese militari?
Le spese militari sono state già ampiamente ridotte. Ma se l’Europa considerasse le frontiere della Grecia come frontiere esterne dell’Europa (come di fatto sono), potremmo ridurre ulteriormente quelle spese. È vero che la chiesa ortodossa potrebbe partecipare di più al gettito fiscale. Il punto è che le immense ricchezze che possiede non generano redditi abbastanza corposi per essere fiscalmente significativi. Infine, anche gli armatori devono contribuire in modo più giusto al bilancio della nazione; ma una tassazione del settore non è tecnicamente semplice: gli armatori sono mobili, e sono capaci di eludere nuove imposte dirottando i loro redditi verso l’estero.
Alcuni dirigenti europei affermano che Syriza minaccia la stabilità in Europa. Cosa ne pensa?
Questo ragionamento parte dalle conseguenze e non dalle cause profonde che hanno portato Syriza al potere. Siamo arrivati al governo perché il centrosinistra e il centrodestra sono stati incapaci di creare un’architettura economica e monetaria sostenibile, ma soprattutto perché non hanno saputo reagire adeguatamente al tracollo di quel sistema. Per un sussulto della storia, a Syriza è toccato il triste onore di riparare i danni fatti dai partiti e dalle istituzioni dell’establishment. Ma se i governi democratici e europeisti -come quello a cui appartengo- saranno soffocati, e i loro elettori lasciati alla disperazione, i soli a guadagnarci saranno i fanatici, i razzisti, i nazionalisti, chi capitalizza sulla paura e sull’odio. Ai miei omologhi dico: se pensate che vi convenga abbattere un governo progressista come il nostro, subito dopo la sua elezione, allora aspettatevi il peggio.
Intervista di Jacques Littauer
traduzione di Faber Fabbris
comparsa su Charlie Hebdo del 25/02/15