Nell’estate del 2016, così come era già accaduto nel 2011, i mercati finanziari sono tornati sotto attacco. Ma se cinque anni fa erano finiti nel mirino i titoli di Stato italiani, quest’anno il bersaglio predestinato è il settore bancario, con il suo punto debole dei crediti deteriorati (npl) valutati nei bilanci molto più di quello che valgono che sul mercato.
Oltre all’attacco sui mercati finanziari, le due estati del 2011 e del 2016 hanno un altro elemento in comune: Deutsche Bank. Nei giorni scorsi scorsi, la banca tedesca è finita al centro delle cronache finanziarie ma anche politiche per l’allarme lanciato sia dalla Fed (la banca centrale americana), dopo gli stress test statunitensi, sia dal Fondo monetario internazionale. Quest’ultimo ha individuato in Deutsche Bank la banca che, insieme con Hsbc e Credit Suisse, dovrebbe contribuire più di ogni altra alla propagazione e diffusione di rischi nel mondo della finanza.
Al centro della questione, in particolare, c’è la montagna di derivati su cui siede Deutsche Bank, per un valore complessivo che alla fine del 2015 era di poco meno di 50 mila miliardi di euro (mentre ammonterebbero a 30 miliardi i prodotti più difficili da prezzare e quindi più rischiosi). Il fatto che a rappresentare una preoccupazione per il Fondo monetario internazionale sia la maggiore banca tedesca potrebbe, tra l’altro, consentire al governo di Matteo Renzi un più ampio spazio di manovra nella negoziazione con l’Europa sul sostegno agli istituti italiani, dal momento che uno degli scogli maggiori è la Germania di Angela Merkel.
Ma Deutsche Bank era stata al centro delle cronache anche nella tumultuosa estate del 2011, in posizione di ben maggiore forza rispetto a oggi. Va, infatti, ricordato che fu proprio l’istituto tedesco a ridure l’esposizione verso le obbligazioni italiane dell’88% vendendo a piene mani qualcosa come 7 miliardi di euro di Btp e altri titoli di Stato. In coincidenza di quella mossa, lo spread tra il rendimento dei titoli decennali italiani e quelli tedeschi balzò a oltre 300 punti, mentre quell’anno avrebbe chiuso a 530 con un picco di 574 a novembre (stesso mese delle dimissioni dell’ex premier Silvio Berlusconi, che sarebbe stato sostituito da Mario Monti). Ma oggi lo spread alle stelle è un lontano ricordo, perché a fungere da termometro della paura, sui mercati finanziari, sono le banche.
Carlotta Scozzari
*tratto dal sito www.ilmessaggero.it