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IL CONTRADITTORIO PENSIERO DEI NUOVI FILOSOFI. di Francesco mario Agnoli.

In Francia, patria del sessantottino “vietato vietare”, i nouveaux philosophes hanno trovato (ne dà notizia l’agenzia Liberté politique) lo slogan (in inglese -davvero singolare per dei francesi! – ) che riassume la sostanza del politicamente corretto, “No limit”, cioè il divieto di porre ostacoli di qualsiasi genere e natura a ciò che ciascuno desidera dire o fare. La Costituzione degli Stati Uniti attribuisce agli americani il diritto alla felicità. Un diritto che la filosofia contemporanea, grazie anche al progresso della tecnica, da molti ritenuto potenzialmente illimitato, crede di realizzare attraverso la teoria del “tutto è possibile-tutto è permesso”.
Filosofia contraddittoria, dal momento che la soddisfazione del desiderio di uno può essere incompatibile col desiderio di un altro (quasi si prova vergogna a scrivere simili ovvietà). E in ogni caso il divieto di porre limiti è già un limite, che inevitabilmente la traduzione politica del No limit, realizza nella società per chi non lo rispetti in termini di riprovazione ed emarginazione, di diminuzioni patrimoniali, e addirittura di privazione della libertà personale. Tuttavia non è di questo, della traduzione del No limit in quella che viene ormai correntemente definita la dittatura del politicamente corretto, che intendo qui occuparmi, pur se è, ovviamente, questa la ragione per cui merita interessarsene. Ciò che invece mi sollecita a scrivere è il desiderio di condividere, nella speranza che susciti anche in altri analoghe riflessioni, un documento che, alquanto risalente nel tempo, testimonia, se non la nascita, le prime, ma già chiare ed evidenti manifestazioni del fenomeno. Quelle che avrebbero dovuto suscitare allarme, ma sono state trascurate quando non favorite e incoraggiate. Il documento in questione, contenente la descrizione del fenomeno ad uno stadio già molto avanzato nonostante che pochi mostrassero di averlo percepito, si trova nel romanzo I fratelli Karamazov, che Fedor Dostoevskij scrisse e pubblicò fra 1879 e 1880, attribuendo la riflessione allo stariez Sosima.
“Il mondo ha proclamato la libertà, specialmente negli ultimi tempi, ma che cosa vediamo in questa famosa libertà? Unicamente la schiavitù e il suicidio! Perché il mondo dice: “Hai dei bisogni, cerca di soddisfarli, perché i tuoi diritti sono uguali a quelli dei più potenti. Non aver timore di soddisfarli: anzi, puoi benissimo moltiplicarli”. Ecco dove tende l’odierna scienza umana. In ciò consiste la libertà. E che cosa risulta da questo diritto di moltiplicare i propri bisogni? Nei ricchi, l’isolamento e il suicidio morale, nei poveri l’invidia e l’assassinio, perché, dando loro i diritti, non si sono loro indicati i mezzi coi quali si potrebbero soddisfare i bisogni. Assicurano che il mondo si unifica ogni giorno di più, formando una comune famiglia, perché si abbreviano le distanze e si trasmettono i pensieri per l’aria. Ahimè! Non credete ad una simile unificazione dell’umanità. Concependo la libertà come l’accumulazione e la pronta soddisfazione dei propri bisogni, gli uomini deformano la loro natura, perché fanno nascere in sé una quantità di desideri stupidi e assurdi, di abitudini e d’invenzioni insensate. Vivono solo per la reciproca invidia, la vanità e la gastrolatria”.
Certamente vi è anche la descrizione/previsione di un mondo che aspira a realizzare la giustizia sociale, diminuendo il distacco, all’epoca abissale (ma oggi, in forme diverse, poco meno) fra ricchi e poveri. A ben guardare vi si trova perfino in nuce il contrasto fra chi privilegia l’individuo in quanto tale e chi invece mette in primo piano l’umanità, cioè la collettività. In realtà il monaco Sosima è convinto che l’umanità (allora come oggi) per quanto se ne parli molto interessi poco e sempre meno. Difatti ”l’idea di servire l’umanità si va sempre più spegnendo nel mondo, come l’idea della fratellanza e dell’unità degli uomini: ed in verità, quest’idea è spesso accolta con un senso di scherno, giacché, come potrà abbandonare le propri abitudini un simile schiavo, dal momento che è abituato a soddisfare tutti questi innumerevoli bisogni, inventati da lui stesso? Egli vive a sé, che gli importa il complesso?”.
E’ ben vero che, tutt’al contrario, di lì a qualche anno, smentendo questa descrizione/profezia, che mette in primo piano l’individuo con la sua brama di soddisfare ogni bisogno/desiderio, in Europa sarà il “complesso”, la collettività, a prevalere tanto nella società quanto nella politica. Una prevalenza che assumerà nei vari paesi forme diverse (proprio in Russia le più terribili e oppressive), ma comunque comportanti l’obbligo di sottomissione (a volte il sacrificio) dell’individuo al “complesso” in vista di un troppo spesso presunto, perché fondato, più che sulla giustizia, sull’invidia e l’egoismo, bene comune.
Tuttavia lo stariez aveva ragione. I veri fondamenti, le vere caratteristiche di una società che ha abbandonato Cristo (questa almeno l’opinione di Dostoevskij attraverso Sosima) sono quelle espresse dal diritto a moltiplicare i propri bisogni e dalla conseguente nascita di “una quantità di desideri stupidi e assurdi, di abitudini e d’invenzioni insensate”. Oggi descriverle, farne un elenco è fin troppo facile, ma sarebbe anche tempo perso dal momento che alcuni fra i più insensati costituiscono attualmente oggetto di un dibattito politico, che riempie di sé tutti i mass-media.
Francesco Mario Agnoli

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