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Sulle polemiche tra governo e magistratura. di F. M. Agnoli.

L’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO RIPROPONE LA QUESTIONE GIUSTIZIA.

I discorsi di alcuni Procuratori generali (in particolare di quello di Torino, Marcello Maddalena) hanno riportato all’onore delle cronache lo scontro governo-magistratura, con interventi in replica di Matteo Renzi, dell’Associazione nazionale magistrati e del ministro della giustizia.
La questione, in quanto coinvolge il governo, sul quale grava il compito di provvedere al bene e al benessere del paese, e gli operatori di un settore fondamentale per questo bene e questo benessere, riguarda l’intera collettività, che, avendo tutto da perdere dal malfunzionamento della giustizia e dalla messa in opera di riforme errate, ha un fondamentale interesse ad acquisire piena coscienza della materia del cotendere.
Già nel corso del 2014 la polemica magistrati-governo aveva conosciuto punte particolarmente accese a proposito della riduzione delle ferie annuali dei magistrati da 45 a 30 giorni e su questo punto si sono adesso nuovamente incentrati, l’intervento del P.G. di Torino (in prevalenza), e, in esclusiva, quello del presidente del Consiglio, che ha avuto anche la cattiva idea di mettere in ballo, l’argomento, del tutto inconferente (soprattutto per lui e il suo governo), dei magistrati uccisi dalla criminalità organizzata. Ovviamente non si tratta che di un aspetto del problema, ben più vasto e complesso, della crisi e della riforma della giustizia (difatti la riduzione delle ferie è stata giustificata da Renzi con la necessità di aumentare la produttività – in termini di sentenze – dei giudici italiani). A questi aspetti più generali hanno fatto riferimento l’A.N.M, critica per le mancate riforme (ferie a parte) nonostante gli impegni solennemente assunti, e, in termini abbastanza vaghi, ma positivi per il governo, il ministro della giustizia.
Che la situazione della giustizia in Italia fosse cattiva al momento dell’ingresso in carica del governo Renzi (e da molti anni) e lo sia tuttora dopo un anno di attività “riformatrice” (?) è un dato di fatto che nessuno nega. In una classifica mondiale stilata dal Worl Economic Forum l’Italia figura per questo aspetto addirittura al 68° posto, dopo tutti i paesi occidentali.
Il dibattito verte sulle cause e sui rimedi.


Il governo, pur affermando la necessità di ulteriori riforme, ha puntato tutto sulla scarsa produttività dei giudici italiani, supportato in questa tesi da gran parte dei mass-media, in particolare dalla stampa di centro-destra, memore degli attacchi rivolti alla magistratura da Silvio Berlusconi, che, in una esternazione del 4 settembre 2003, n mise addirittura in dubbio l’equilibrio psichico dei suoi componenti (“Questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”).
I magistrati replicano con i dati (gli ultimi noti sono del 2010 e si riferiscono al 2008) della Commissione del Consiglio d’Europa per l’efficienza della giustizia che, quanto a produttività, fra quelli dei 46 paesi membri del Consiglio d’Europa (con riferimento quindi all’intera Europa e non alla sola Unione Europea) colloca i giudici italiani al primo posto per la giustizia penale e al secondo (dopo i russi) per quella civile.
E’ vero che i dati giudiziari presentano difficoltà di comparazione, perché le legislazioni e i sistemi giudiziari sono spesso molto diversi (ad es. nessun serio paragone è possibile con l’Inghilterra o con la Russia), ma una comparazione significativa dell’Italia si può fare con la Francia e con la Spagna, paesi con sistemi economici affini e codici e organizzazione giudiziaria non troppo dissimili, e un numero di magistrati per 100.000 abitanti pressoché identico, 14,8 per Italia e Francia, 14,6 per la Spagna.
Il raffronto fra questi tre paesi dimostra che tanto in civile quanto in penale (per questo settore l’indagine riguarda i processi definiti “gravi”) la grande differenza è costituita dall’afflusso di processi nuovi che sopravvengono nell’anno, e che il numero particolarmente rilevante in Italia fa sì che i giudici italiani, pur essendo in larga misura i più produttivi, non riescono a smaltire integralmente le sopravvenienze con conseguente aumento del famoso “arretrato”.
Per il civile le sopravvenienze sono state (anno 2008) 2.842.668 nuovi processi in Italia, 1.774.350 in Francia, 1.620.000 in Spagna, e le definizioni rispettivamente 2.693.564, 1.645.161, 1.324.577. In penale 1.280.282 in Italia, 610.674 in Francia, 345.707 in Spagna, e le definizioni nell’anno rispettivamente 1.204.982, 618.122 e 310.280.
Ora è ben vero che le statistiche sono sempre suscettibili di contestazioni, manipolazioni e interpretazioni diverse, ma di fronte a dati simili una cosa è certa: in Italia la crisi della giustizia e l’eventuale cattivo funzionamento del sistema giudiziario possono dipendere da tutto tranne che dalla pigrizia e dalla scarsa produttività dei magistrati. Ciò nonostante l’unico intervento del governo Renzi in tema di giustizia è stata il demagogico (i 15 giorni in più dei trenta “di prassi” erano destinati al deposito dei provvedimenti pendenti, prima dell’effettivo inizio del godimento del periodo feriale) taglio delle ferie. Per tutto il resto nulla, se non, con la tipica tecnica renziana, chiacchiere e mirabolanti promesse. Anzi, mentre per le ferie si è usata la decretazione d’urgenza che la Costituzione vuole riservata ai provvedimenti urgenti e indifferibili, si è lasciata tranquillamente decadere la delega in materia di revisione delle sanzioni penali e pene alternative, contenuta nella famosa l. n. 67/14 (a sua volta costata un iter parlamentare durato oltre due anni), che doveva rappresentare; uno dei caposaldi del “nuovo” diritto penale.
A questo punto, o si crede che i giudici francesi e spagnoli siano dei fannulloni, o si deve pensare che quelli italiani avessero già nel 2008 un sovraccarico di lavoro e che abbia perfettamente ragione il P.G. di Torino a richiamare la “fattoria degli animali” immaginata da Orwell nel suo “1984”, nella quale il governo dei maiali, più uguali degli altri animali, nella sua opera riformatrice aveva scoperto che la soluzione per tutti i problemi era lavorare di più, “fino a farli crepare dalla fatica, come il cavallo Gondrano, morto sul lavoro senza riconoscimenti pensionistici e senza neppure una dignitosa e onorata sepoltura”.

Francesco Mario Agnoli

Prima di prendere congedo, mi si consenta di dire che, in pensione da ormai sette anni, non ho interessi in causa e non corro il rischio di fare la fine di Gondrano per super-lavoro. Forse un residuo di spirito corporativo? Può essere, che tuttavia non mi ha impedito di criticare più di una volta i giudici, come sa chi ha avuto occasione di legge i miei interventi in tema di giustizia su “Studi cattolici”.

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