Matteo Renzi ha polemizzato con Massimo Gandolfini e gli altri organizzatori del Family Day per avere manifestato l’intenzione di sollecitare gli elettori a mantenere l’impegno “Matteo, ce ne ricorderemo” preso in occasione della grande manifestazione romana alle prossime elezioni amministrative e al referendum di ottobre sulla non elettività del senato.
Le amministrative sembrano in realtà non preoccuparlo granché, molto di più il referendum autunnale che, col mettere in gioco la sua carriera politica, ha trasformato in un plebiscito su se stesso. Per questo se ne preoccupa tanto da promettere che andrà in giro per le parrocchie a spiegare cosa sono le unioni civili.
A parte il fatto che tutti sanno già di che si tratta (per questo le combattono con tanta determinazione), farà meglio a non andare. Perfino (o soprattutto) nella sua Toscana troverebbe dappertutto parrocchiani pronti a ricordargli la sua posizione nel Family Day del 2007 (di cui fu tra i protagonisti) e l’intervista rilasciata ad Avvenire il 16 febbraio di quell’anno. Allora sosteneva che la questione delle coppie di fatto era soltanto “una battaglia mediatica intorno alla presunta laicità della politica”, non rappresentava, quindi, una delle “vere urgenze del paese”, e invitò a ricordare che “la famiglia è la cellula della società non perché lo dicono i cattolici, ma perché è il fondamento di un modo di stare insieme. E se il matrimonio è un sacramento per chi crede, per la comunità è comunque un istituto del diritto e come tale impone assunzione di responsabilità davanti alla società”.
Quanto all’urgenza Renzi potrebbe forse replicare che da allora sono passati nove anni (la contro replica potrebbe essere che anche oggi, come allora e più di allora, le urgenze sono altre dal momento che nel 2007 la situazione italiana era migliore dell’attuale, che sconta ancora pesantemente le conseguenze della crisi economica mondiale del 2008). Tuttavia sul concetto molto relativo di urgenza si può sempre discutere. Molto più difficile invece per lui accordare l’entusiastica (e peggio che ridicola) dichiarazione “ha vinto l’amore!”, con la quale ha salutato l’approvazione in senato delle unioni civili, con le dichiarazioni del 2007.
Non gli mancano favella e prosopopea e qualcosa dirà, magari con qualche slides di accompagnamento, tuttavia, malgrado la faccia tosta che si ritrova, non potrà contestare il buon diritto del popolo del Family Day e, più in generale, dei cattolici, di sanzionare col voto il suo giro di valzer. In ogni caso basterà ricordargli la frase di chiusura di quell’intervista ad Avvenire: “È difficile capire perché c’è uno sguardo carico di ideologia sulla famiglia. Tutto ciò che viene detto dalla Chiesa viene visto come ingerenza. Non c’è bisogno di essere cattolici per difendere la famiglia. Quando non si coglie il fatto storico di un milione di persone in piazza si commette un errore gravissimo”.
Dal momento che adesso di questo gravissimo errore si è reso consapevolmente colpevole non può protestare se qualcuno gli presenta il conto. Da che mondo è mondo il tradimento uccide la fiducia.
Tuttavia a qualche causidico potrebbe sembrare che Renzi abbia ragione quando dice che le riforme costituzionali hanno poco a che spartire con le unioni civili e il referendum non è l’occasione giusta. Non è così.
Quanto è accaduto in Senato con le unioni civili (e fra poco inevitabilmente accadrà alla Camera) conferma dolorosamente ciò che già si sapeva: il popolo del Family Day e, più in generale, il popolo cattolico in Italia è privo di rappresentanza politica. Non solo non esiste un partito cattolico, ma i politici che nei vari partiti si dicono cattolici sono consapevoli di non contare nulla e, quindi, o si dimenticano del loro cattolicesimo, politicamente “scorretto”, o nei rari casi in cui timidamente lo sussurrano vengono snobbati (in Senato a fare ritirare il super-canguro preparato dal PD renziano non sono stati i senatori cattolici, ma il movimento di Grillo, dove i cattolici, per quanto si sa e si vede, sono del tutto assenti).
Proprio in mancanza non di chi si dica cattolico (sarebbe pretendere troppo), ma di chi condivida (e promuova o almeno difenda) i principi fondamentali, irrinunciabili per i cattolici anche nella società e nella vita pubblica (Benedetto XVI diceva “i valori non negoziabili”), il popolo cattolico non può non cogliere tutte le occasioni (purtroppo rare) che gli si presentano per fare sentire la propri voce, per fare capire che anche di lui, delle sue convinzioni la politica deve tenere conto.
Certo la prima occasione è data dalle elezioni amministrative di primavera, ormai alle porte. Ma si tratta di elezioni locali, nelle quali, tranne casi particolari, non sarà facile (quasi impossibile) fare comprendere le motivazioni del voto e, quindi, fare giungere il messaggio a destinatari che in genere non vogliono ascoltare,
In condizioni normali si potrebbe dire lo stesso per il referendum d’autunno se non fosse che, per fortuna, la presunzione ha indotto Renzi, fino a ieri strasicuro del successo (forse da ieri un po’ meno se pensa davvero ad un tour per le parrocchie), a mettersi in gioco personalmente, offrendo così al popolo del Family Day l’occasione, imperdibile, perché quasi unica, di punirlo del suo “gravissimo errore” (ex ore tuo te judico), anzi del suo tradimento.
Quale che sia l’esito non avrà diritto di lamentarsene.
Francesco Mario Agnoli
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