Cari amici ordoliberal-cattolici,
più leggo le vostre cose e più mi confermate nella mia iniziale convinzione che, in fondo, siete dei perfetti marxisti ossia degli anti-statualisti. Che, alla resa dei conti, la vostra sia una filosofia drammaticamente anti-Politica, che ignora i “diritti” della Comunità politica nonostante il vostro insistere sugli aspetti normativistici e costituzionali dell’economia di mercato. Come Marx, sognate l’abolizione dello Stato o almeno la sua riduzione a “cornice minimale”. La prospettiva sottesa a questa vostra posizione è di sapore squisitamente marxiano ossia muove dal fastidio, se non avversione dichiarata, verso l’Autorità politica che voi, appunto come Marx, intendete quale “sovrastruttura egemonica”. Per Marx si trattava dell’analogia con l’immagine del Dio della “Trascendenza sovrastrutturale”. Voi non arrivate ad motivare il vostro antistatualismo con questa analogia ma come Marx sognate una società che si autogoverna da sola. Se Marx profetizzava la società comunista compiuta senza Stato in quanto autogestita (“da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi meriti”, così in Das Kapital), voi auspicate uno scenario sociale simile, ossia autogestito ed armonicamente, spontaneamente, operante in nome della “mano invisibile” che non deve essere intralciata da nessuna Autorità, né politica, né etero-morale. Questo, alla fin fine, vi rende anche dei cristiani molto incoerenti. La logica (se ancora esiste) e la concreta esperienza storica, quella di ogni giorno, testimoniano che la concorrenza non è affatto la “migliore forma di collaborazione” ma soltanto il trionfo dell'”homo hominis lupus”. Il mercato sebbene sia nato come un luogo di incontro tra gli uomini nello scambio dei beni, e con essi delle culture e delle idee, non è però mai stato quel luogo della cooperazione che voi immaginate dal momento che esso è sempre stato contrassegnato anche, e quasi sempre in misura maggioritaria, dal conflitto ossia dalla concorrenza (pur a dispetto dell’etimologia del “cum currere”, dove il correre insieme è diventato il correre sì insieme ma verso il traguardo del successo individuale, quindi per vincere sull’altro). Che voi lo vogliate o meno. Ora, pretendere di spacciare come coerente con l’agape cristiano, con l’Amore di Dio, uno scenario di sostanziale e pratico conflitto, quale presupposto della convivenza umana, è un vertiginoso “triplo salto mortale”. Si rischia di rompersi l’osso del collo ossia di spezzare la coerenza spirituale della fede cristiana.
Il fatto è che c’è di mezzo il peccato, proprio quello che voi, pelagianamente, fate finta di non vedere, illudendovi sulle virtù della “simpaty” smithiana. D’accordo, l’uomo non è ontologicamente corrotto, come voleva Lutero, ma soltanto ferito dal peccato, sicché egli può ancora fare bene. Però quella ferita esiste e condiziona l’operato umano, salvo l’intervento della grazia. O, in exteriore homine, dello Stato. Ecco perché il mercato non è affatto, in concreto, quel luogo armonico che vi sforzate ogni volta di descrivere e lodare, ma resta alla fine soprattutto luogo di conflitto e come tale sempre bisognoso di governo, di Stato, anche in senso interventista e non solo normativo. Un grande economista, Federico Caffé, diceva che se il mercato è una creazione umana, l’intervento pubblico ne è una condizione essenziale ed ineliminabile, non perturbatore. Carl Schmitt errava manicheisticamente nel fare del conflitto il fondamento stesso del Politico (del resto, dopo la sua fase giovanile cattolica si era spostato su posizioni hobbesiane, decisioniste e contrattualiste). Tuttavia, per rimediare ad un errore, il pessimismo antropologico, non si può, come fate voi, cadere nell’errore opposto, quello dell’ottimismo antropologico, e chiudere gli occhi di fronte alla realtà delle cose e dell’umana natura come essa è attualmente. La concorrenza rimane sempre in controtendenza con l’etica del Vangelo, che lo vogliate o meno. La Carità e perfino la più “laica” solidarietà restano inconciliabili – a meno di non violentare e la logica e il Vangelo – con quel ‘”possibile impossibile amore” che solo la grazia di Cristo ci rende capaci di realizzare. Sicché, dal momento che non siamo tutti santi (benché tutti dovremmo sforzarci di esserlo), è necessario che l’Autorità politica – la quale è di natura e non da contratto – usi la spada. Quest’ultima, la spada e non l’Autorità di per sé che vi sarebbe comunque stata, è una triste necessità conseguente al peccato. Quella per la quale le cose funzionano spontaneamente da sole è l’illusione di tutti gli a- o anti-politici, di destra e di sinistra. La deregulation finanziaria, iniziata sulla scorta delle idee monetariste di Milton Friedman e di Hayek dalla rivoluzione neoliberista di Reagan e della Thatcher, ci ha portato, nel giro di trentanni, alla devastante crisi attuale. Dalla quale Stati Uniti e Giappone sono in qualche modo usciti grazie alla mano pubblica e nella quale invece l’Europa ordoliberale ad egemonia tedesca ancora annaspa, con il rischio non inverosimile di affogare. Certo Reagan e la Thatcher volevano liberare il mercato reale ma – come giustamente osserva Giulio Tremonti – hanno dato l’avvio alla globalizzazione asimmetrica, polarizzando in modo abissale le distanze sociali nell’ineguaglianza più odiosa e liberando, più che l’economia reale, le forze distruttive di una finanza transnazionale ed autoreferenziale. La finanza apolide è così diventata egemone e capace di concretizzare la più grande concentrazione di potere mondiale mai vista nella storia umana (dando forma storica all’apocalittico Potere Globale che impone a tutti gli uomini il suo segno “senza del quale nessuno può vendere o comprare”). Il Leviatano al suo stato puro ma realizzato dal Mercato Globale. Mentre intorno a noi accade tutto questo, voi vi trastullate ancora nelle illusioni di dottrine fallite nella concretezza delle cose e dell’esperienza storica. Oltretutto spacciando per “cristiane” tali dottrine, con gran danno dell’immagine della Chiesa.
Forse è il caso che si rileggano tutti i passi di censura del liberismo, come anche della concezione dell’economia deterministicamente mossa dalla concorrenza, contenuti nei documenti del Magistero Sociale Cattolico.
Eccone una sintetica e non certo esaustiva rassegna:
Leone XIII (Rerum Novarum, n. 2) “… cupidigia … e … sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un’usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa., continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori”;
Pio XI (Quadragesimo Anno, n. 89) “c) principio direttivo dell’economia 89. Un’altra cosa ancora si deve procurare, che è molto connessa con la precedente. A quel modo cioè che l’unità della società umana non può fondarsi nella opposizione di classe, cosi il retto ordine dell’economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze. Da questo capo anzi, come da fonte avvelenata, sono derivati tutti gli errori della scienza economica individualistica, la quale dimenticando o ignorando che l’economia ha un suo carattere sociale, non meno che morale, ritenne che l’autorità pubblica la dovesse stimare e lasciare assolutamente libera a sé, come quella che nel mercato o libera concorrenza doveva trovare il suo principio direttivo o timone proprio, secondo cui si sarebbe diretta molto più perfettamente che per qualsiasi intelligenza creata. Se non che la libera concorrenza, quantunque sia cosa equa certamente e utile se contenuta nei limiti bene determinati; non può essere in alcun modo il timone dell’economia; il che è dimostrato anche troppo dall’esperienza, quando furono applicate nella pratica le norme dello spirito individualistico. È dunque al tutto necessario che l’economia torni a regolarsi secondo un vero ed efficace suo principio direttivo. (…).. Si devono quindi ricercare più alti e più nobili principi …: e tali sono la giustizia e la carità sociali”;
Paolo VI (Octogesima adveniens, n. 35) “Dall’altra parte si assiste ad un rinnovamento dell’ideologia liberale. Questa corrente si afferma sia all’insegna dell’efficacia economica, sia come difesa dell’individuo e contro le iniziative sempre più invadenti delle organizzazioni e contro le tendenze totalitarie dei poteri politici. Certamente l’iniziativa personale deve essere mantenuta e sviluppata. Ma i cristiani che s’impegnano in questa direzione, non tendono, a loro volta, a idealizzare il liberalismo, che diventa allora una esaltazione della libertà? Essi vorrebbero un nuovo modello, più adatto alle condizioni attuali, e facilmente dimenticano che alla sua stessa radice il liberalismo filosofico è un’affermazione erronea dell’autonomia dell’individuo nella sua attività, nelle sue motivazioni, nell’esercizio della sua libertà. Ciò significa che anche l’ideologia liberale esige da parte loro un attento discernimento”;
Benedetto XVI (Caritas in Veritate, n. 35 e 36) “Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri. Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici. Ma la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato, non solo perché inserita nelle maglie di un contesto sociale e politico più vasto, ma anche per la trama delle relazioni in cui si realizza. Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave. (…). L’attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la Comunità politica. Pertanto, va tenuto presente che è causa di gravi scompensi separare l’agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione”;
Francesco I (Evangelium gaudium, n. 202 e 204) “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali. (…). Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione …”.
Se è vero che Giovanni Paolo II sembrò nella Centesimus annus aprire all’ordoliberismo (non però nella Sollicitudo rei socialis e nella Laborem exercens) ciò fu dovuto al clima “millenaristico” successivo al 1989, quando da più parti (Fukujama) si cianciava di “fine della storia” e di definitiva vittoria del sistema del libero mercato, fino ad elaborare improbabili legittimazioni teologiche (Novak, Weigel, Neuhauss) del sistema in quel momento trionfante ma, come ogni cosa umana, transeunte e storicamente condizionato. Il “clericalismo”, ossia la benedizione degli assetti sociali del momento, è una vecchia e ricorrente tentazione dei cristiani. Anche di quelli liberali.
Cordialità e saluti.
Luigi Copertino