La recente pronuncia del Tribunale arbitrale dell’Aja, relativa al rientro in Italia del marò Salvatore Girone, sembrerebbe aver segnato una svolta, a quattro anni di distanza dai fatti della oramai tristemente nota e complicata vicenda che vede coinvolti i due fucilieri della Marina italiana.
A seguito del ricorso avanzato dallo Stato italiano all’arbitrato internazionale, l’ordinanza emessa alcune settimane fa, nel sancire il ritorno in patria di Girone, sembrerebbe segnare un punto a favore della posizione in difesa dei nostri soldati di Marina, in attesa della sentenza definitiva sulla giurisdizione, prevista non prima del 2018.
In tal senso, il governo italiano ha immediatamente gridato con toni trionfalistici al successo, assumendosi i meriti degli esiti positivi provenienti dall’Aja. In maniera speculare, il governo indiano ha provveduto a dare la propria lettura dell’ordinanza, affermando che Girone tornerà in Italia nei tempi e alle condizioni stabiliti dall’India. Appare evidente come tale vicenda assuma sempre più, oltre ai classici connotati di politica internazionale, caratteri legati alla politica interna dei due Paesi interessati. Nello specifico, l’India, seguendo le proprie aspirazioni di grande potenza regionale, intende mostrarsi sovrana, in primis dinanzi alla propria opinione pubblica.
Sebbene, non si possa negare una certa soddisfazione nell’apprendere la notizia della pronuncia favorevole, è bene, tuttavia, che non si giunga a conclusioni affrettate e che si ridimensionino gli entusiasmi.
Innanzitutto, va chiarito che non è affatto detto che Girone torni nell’immediato in Italia. A distanza di alcune settimane dall’emanazione della sentenza, il marò si trova ancora a New Delhi. Il timore è che le pretese indiane nel voler decidere in merito alle condizioni di rientro, possano condurre a un prolungamento dei tempi di rilascio del nostro fuciliere di Marina, dettato da lungaggini di tipo burocratico.
L’India, infatti, vorrebbe che fosse la propria Corte Suprema a stabilire le condizioni del rimpatrio di Girone, tuttavia va chiarito che la pretesa in questione è assolutamente infondata, in quanto rilancia rivendicazioni in ordine alla competenza giurisdizionale che, in precedenza, il Tribunale del Mare di Amburgo ha espressamente sospeso.
Inoltre, la tendenza a contenere gli entusiasmi “patriottici” dell’ultim’ora, viene altresì giustificata dal fatto che quanto stabilito dal Tribunale dell’Aja consiste, comunque, in una misura provvisoria, che lascia dunque impregiudicato il merito della controversia. Nel testo dell’ordinanza si specifica, infatti, che Salvatore Girone “resterà sotto l’autorità della Corte Suprema indiana durante l’arbitrato”, sino a quando cioè il Tribunale dell’Aja non si sarà pronunciato su quale sia il Paese competente a giudicare il caso.
Pertanto, sarebbe più onesto e aderente alla realtà parlare del ‘buon senso’ dei giudici del Tribunale dell’Aja nel decidere di venire incontro, sulla base di considerazioni di ordine umanitario, al diritto di una persona, che da quattro anni si trova lontano dalla propria casa, in attesa di un procedimento senza un reale capo di imputazione, di aspettare l’esito del giudizio (previsto non prima dei prossimi due anni) nel suo Paese di appartenenza.
Non va dimenticato, altresì, che per consentire alla domanda italiana di rientro in Italia di Girone, l’India ha preteso e ottenuto adeguate garanzie, prima fra tutte il ritorno dello stesso Girone in India qualora il giudizio arbitrale dovesse ritenere la giurisdizione indiana competente a giudicare i Marò. A tal fine, l’Italia ha formalizzato l’impegno in una dichiarazione ad hoc, accettata dal Tribunale come un atto giuridicamente vincolante. In più vi è l’obbligo per l’Italia di assicurare che Girone faccia rapporto, ad intervalli regolari, ad un’autorità italiana designata dalla Corte suprema indiana; consegna del passaporto alle autorità italiane e proibizione per Girone di lasciare l’Italia senza il permesso della Corte suprema; obbligo per l’Italia di informare la Corte suprema ogni tre mesi sulla situazione di Girone in Italia.
Pertanto, al di là della positiva notizia del (provvisorio) rientro in Italia di Salvatore Girone, il quadro che emerge dall’ordinanza, così come sopra descritto, impone una certa cautela nel giudicare in maniera eccessivamente ottimista quella che altro non è se non una delle tappe del lungo percorso che condurrà all’esito di questa complicata vicenda, nel corso della quale l’Italia ed i suoi governi hanno tanto sbagliato ad agire.
Ad avviso di chi scrive si è aspettato troppo tempo nel ricorrere a un tribunale internazionale. Sebbene l’Italia abbia sempre rivendicato la propria competenza esclusiva a giudicare sulla vicenda, non ha concretamente mai operato in tal senso, sbagliando per lungo tempo nel voler difendere i Marò nel processo in India, mentre avrebbe dovuto difenderli dal processo stesso. L’auspicio per adesso è che, in attesa dei tempi lunghi di pronuncia dell’arbitrato, si arrivi a una soluzione diplomatica della controversia, che anticipi un esito, quello del giudizio dell’Aja, affatto scontato.
Caludio Giovannico