L’ultimo attacco terroristico, che ha causato la morte di oltre ottanta persone sulla Promenade des Anglais, a Nizza il 14 Luglio scorso, ha minato ulteriormente il cosiddetto modello d’integrazione francese.
La Francia ha sempre ricondotto la sua capacità di convivere con “l’altro” al principio irrinunciabile della laicità, grazie al quale siamo tutti uguali e possiamo considerarci fratelli. In effetti, la Carta costituzionale francese sancisce, all’articolo 1, il principio di laicità dello Stato.
La dialettica composizione tra tale principio e quello di libertà religiosa – parimenti affermato dalla Costituzione – si riverbera non solo sul piano della separazione tra Stato e Chiesa, ma si riflette sul problema della esibizione o meno di segni identificativi di un credo religioso ( il burqa o il niqab, – il velo integrale per le donne musulmane – la kippah, ecc. ) nelle scuole pubbliche, vale dire, nei luoghi dove quella composizione di principi insieme etici e giuridici assume una forte valenza, oltre che simbolica, formativa.
Sulla base di questo principio, si è sempre fatta una distinzione tra sfera pubblica e sfera privata e la difesa dai particolarismi religiosi, culturali e tradizionali, all’interno di ambiti pubblici e sociali, è sempre stata considerata garanzia dell’uguaglianza dei cittadini.
Ciò che prevale oggi nella società francese è la diffidenza per la diversità, che si è accentuata in maniera esponenziale in seguito agli attentati del 2001 e ai recentissimi attacchi terroristici che ha scosso non solo la Francia, ma il mondo intero. Tuttavia, la sempre più evidente inadeguatezza del progetto sociale dominante ha stimolato un vivace dibattito sull’opportunità d’introdurre, nella vita sociale, e più in particolare nell’educazione, un nuovo orientamento interculturale, che non solo rispetti, ma valorizzi le varie culture presenti, facendone una preziosa risorsa e un’occasione di arricchimento per tutti.
La società francese ha cercato di integrare l’immigrazione nell’unico modo concepibile in un Paese che si rappresenta come una grande nazione omogenea e si identifica profondamente con un forte Stato centralizzato che non riconosce al proprio interno né nazionalità minoritarie, né gruppi etnici locali e che contrasta con vigore ogni pretesa di mediazioni particolaristiche fra lo Stato e cittadini. In concreto, il progetto d’oltralpe impone che gli immigrati abbandonino completamente la propria identità etnico-culturale per divenire dei buoni cittadini francesi.
L’assimilazione deve essere totale per quanto riguarda la lingua, la cultura e se possibile la mentalità. Tale politica, d’altra parte, era stata applicata anche nella gestione delle colonie nelle quali gli africani e gli asiatici potevano aspirare alla naturalizzazione francese nella misura in cui riuscivano ad assorbire la mentalità e la lingua francese.
Questa politica si scontra oggi con le rivendicazioni culturali e religiose degli stranieri che tendono a formare comunità etniche in contrasto con l’ideale assimilazionista.
Tuttavia, questo modello d’integrazione fa ancora sentire tutta la sua influenza sul piano amministrativo, dove continua a prevalere una politica di netto rifiuto per gli interventi speciali per gli stranieri, un rifiuto ora motivato anche dal timore di suscitare reazioni xenofobe fra gli autoctoni aggravati dagli episodi di terrorismo in Francia; i quali non hanno fatto che avvallare, da una parte, quella tendenza islamofoba, che dopo l’11 Settembre si è accentuata ancora di più nella società transalpina, e dall’altra ha spinto gli immigrati, soprattutto quelli di seconda generazione a rivendicare la propria identità, compromettendo, così, il modello d’integrazione à la française.
Ludovica Paterna