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LA STORIA DELLA CHIESA CELTICA. UNA BREVE SINTESI. di Nicolò Dal Grande

Che l’Irlanda e la sua cultura affascinino è un dato di fatto. Storia e ricorrenze riscuoto una vasta eco e un grande  interesse in numerose persone, di diverse nazionalità, dando origine talvolta ad una vera sottocultura legata al mondo celtico.

     Come poter descrivere l’Irlanda in poche parole? Non un semplice Stato con la propria storia, ma un universo culturale che affascina ed appassiona. La diffusione degli usi e costumi irlandesi, legati alla riscoperta di miti e leggende gaeliche, ha in un certo modo condizionato alcuni aspetti della società del cosiddetto “Occidente”; i recenti anni trascorsi hanno visto, ad esempio, il 17 Marzo – data della celeberrima “Festa di San Patrizio” – divenire, al pari della consumistica “Notte di Halloween”, una concreta ricorrenza – d’importazione – che ogni anno unisce più anime in serate festanti.

     Come per la maggior parte di ricorrenze alloctone adottate, spesso sfugge l’origine e il significato identitario che esse rappresentano; citando nuovamente ad esempio la giornata di San Patrizio, i più sono a conoscenza della giornata quale commemorazione del santo patrono d’Irlanda, secondo la tradizione scomparso il 17 marzo del 461 d.C., ma in pochi ne colgono l’essenza intima, profondamente incarnata nell’identità di questo affascinante paese.

     Un’identità, quella irlandese, che non può prescindere dal suo legame storico e culturale con la fede cattolica.

     Sebbene i tempi recenti, come in ogni parte d’Europa, abbiano visto il processo di secolarizzazione imporsi, è indubbio che il binomio Irlanda – cattolicesimo sia stato la caratteristica peculiare di questo paese. Una storia che affonda le radici dal tardo antico, durante l’età aurea della cosiddetta “cristianità celtica”.

     Si è soliti suddividere il cristianesimo in tre confessioni: la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa e l’insieme delle dottrine protestanti. Ma per ciò che concerne la cattolicità, una parte dell’immenso patrimonio culturale ed evangelico che appartiene alla Chiesa di Roma fu scritta dalla Chiesa celtica o gaelica. Un cristianesimo che non va concepito come il cattolicesimo post-tridentino a noi noto, ma che ebbe una propria autonomia e una propria radice, talvolta divergente dalla liturgia romana in dati aspetti, alcuni dei quali profondi quanto quelli tenuti dalla Chiesa orientale, con la differenza che mentre quest’ultima sarebbe giunta al “Grande Scisma” del 1054, la prima rimase sempre fedele a Roma, sino a venirne riassorbita, ma non prima di aver contribuito notevolmente all’evangelizzazione di parte dell’Europa.

     Le origini della Chiesa celtica poggiano sulle vicende legate alla figura del citato San Patrizio (385-461).

San Patrizio.

Britanno di nascita, questi entrò in contatto con l’Hibernia – nome dell’antica Irlanda – come schiavo, a seguito di un rapimento per mano di pirati gaelici; durante la propria cattività, ebbe modo di apprendere la lingua nonché i costumi e il paganesimo di locali. Fuggito dopo sei anni e riparato in Gallia, decise di donarsi alla vita religiosa; consacrato vescovo, Patrizio dedicò la propria vita all’evangelizzazione dell’isola.

     La conversione dell’Irlanda fu totale, profonda e, caso unico nella cristianità, priva di martiri e persecuzioni. Patrizio aveva agito infatti sfruttando la conoscenza del gaelico e delle tradizioni del luogo; abilmente seppe utilizzare la stessa simbologia del paganesimo celtico ai fini dell’evangelizzazione: in merito è nota l’introduzione della “croce celtica”, combinazione tra la croce cristiana e la ruota solare di derivazione pagana. La predica di Patrizio fu senza sosta e coronata di successi; celebre fu la definizione del mistero legato al concetto della Santissima Trinità, per la quale utilizzò la pianta del trifoglio al fine di trasmettere la comprensione del  Dio “Uno e Trino”: da allora la pianticella è uno dei simboli dell’Irlanda.

     Con l’evangelizzazione dell’Irlanda vide la luce la Chiesa celtica. Complice il collasso dell’Impero romano d’occidente (476 d.C.), che fece seguito all’abbandono da parte delle legioni romane della Britannia (410 d.C.), la cristianità delle isole d’oltremanica si trovò isolata dal resto dell’Europa continentale e dai suoi mutamenti in atto. Se la Chiesa di Roma manteneva il proprio prestigio morale, rafforzandosi sino a divenire il centro della cristianità, la Chiesa celtica dall’Hibernia si sviluppava notevolmente, diffondendosi in Scozia, in Britannia e maturando alcune differenze rispetto alla liturgia romana e a quella orientale.

     Differenze esistettero sul piano dottrinale, in particolar modo per ciò che riguardava la ricorrenza della Pasqua, celebrata il giorno dell’equinozio primaverile anziché durante la prima domenica seguente alla prima luna piena di primavera, come voleva la tradizione romana e orientale. Una differenza sottile – ma non indifferente – che sarebbe stata superata dopo i sinodi di Whitby (664 d.C.) e di Birr (697 d.C.), quando la Chiesa celtica si conformò ai riti romani; ma questa seppe anche arricchire al contempo la cattolicità, attraverso l’accettazione di pratiche che sino allora avevano trovato spazio solo nelle isole britanniche; è di origine gaelica il sacramento della Confessione in forma privata anziché pubblica nonché l’elaborazione di dottrine quali l’Immacolata Concezione e l’Assunzione di Maria, divenuti dogmi del cattolicesimo rispettivamente nel 1854 e nel 1950.

     La differenza peculiare della Chiesa celtica si incentrava però nella sua struttura, poggiante quasi esclusivamente sul monachesimo.

     La cristianizzazione dell’Irlanda aveva infatti prodotto una struttura ecclesiastica la cui spina dorsale era rappresentata dalla rete dei monasteri, nella prima forma organizzata esterna ai territori dell’Impero romano; un’organizzazione che si legava strettamente alla tradizione e alla forma dei vari clan gaelici nei quali si suddivideva l’Irlanda dell’epoca, e che favorì la diffusione della predicazione. Sorgenti generalmente in territori donati da una qualche famiglia influente, i vari monasteri fungevano da centro spirituale dei singoli clan e quindi di tutte le comunità ad essi collegate. Ognuno provvedeva autonomamente al proprio sostentamento. Luoghi di preghiera ma anche fondamentali centri di cultura, dove si tramandarono sia le tradizioni celtiche che l’insegnamento della lingua latina; è grazie all’inesauribile lavoro di copiatura dei monaci celtici se gran parte della letteratura classica è giunta ai giorni nostri; copiatura che favorì inoltre lo sviluppo dell’arte della decorazione miniata.

     A guida dei centri monastici, i vari abati si ritrovarono a ricoprire un ruolo maggiore rispetto agli stessi vescovi nominati da Roma, fatto che avrebbe generato tese diatribe, specie quando il modello celtico si sarebbe esteso non solo alla Britannia e alla Scozia, ma nel continente europeo stesso. È al monaco celto, irlandese e non, sovente pellegrino, che si deve gran merito nell’evangelizzazione dei Regni merovingi fondati dai franchi, subentrati ai romani in Gallia.

     Numerosi i viaggi di figure sante alla cristianità, cui si deve la conversione di buona parte dell’Europa;

San Colombano.

tra queste una menzione particolare va a San Colombano (543-615). Evangelizzatore della Scozia, fu fondatore di numerosi centri monastici che dalle isole britanniche, lungo una via non tracciata del suo peregrinare oggi nota come “cammino di San Colombano”, generò una rete di monasteri che attraversava la Gallia, passava dalla Svizzera – dove un suo discepolo, San Gallo (550-645), fondò la celeberrima abbazia – e giungeva nella pianura padana in quel di Bobbio nei pressi di Piacenza, dove il santo si spense. La missione di Colombano contribuì alla diffusione del monachesimo celtico nonché della regola da egli stesso istituita, composta dai dieci capitoli del Regula Monacorum, relativi ai doveri del monaco, e dalla Regula Cenobialis, concernente le penitenze degli stessi; regola che sarebbe in vigore sino al suo assorbimento in quella benedettina.

     Dalla morte di San Colombano, la Chiesa celtica vide l’inizio del proprio declino; riassorbita e riadattata alla Chiesa romana dopo Whitby, iniziò inevitabilmente a perdere le proprie caratteristiche. Furono però le vicende politiche a segnarne il destino; le invasioni normanne del secolo XII°, che diedero inizio al dominio dell’Inghilterra sull’Irlanda, coincisero con l’introduzione di monaci non gaelici nell’isola, che minarono inevitabilmente la tradizione celtica; il colpo micidiale fu però inflitto tra il XVI° e il XVII° secolo, quando la Riforma anglicana prima e la Rivoluzione di Oliver Cromwell (1599-1658) poi, fecero divampare violentissime persecuzioni ai danni dei monaci cattolici, provocando la distruzione di numerosi monasteri, le cui rovine ancora oggi brillano a memoria della grandezza passata. Fuggiti a causa delle discriminazioni, gli ultimi monaci e i relativi monasteri si eclissarono definitivamente nel XIX° secolo.

     Il contributo e l’eredità lasciata dal cristianesimo celtico rimangono immensi, sia per la cristianità, sia per la storia dell’Europa e dell’Irlanda, che tanto affascina e che forse andrebbe riscoperta nella propria e genuina essenza.

Nicolò Dal Grande

 

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