“L’Unione europea non versa in buone condizioni”. Così diagnostica un preoccupato Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione europea, durante il discorso sullo Stato dell’Unione [1] – tenuto al Parlamento europeo, presso la sede di Strasburgo – con il quale è stato presentato il piano per fronteggiare la crisi del fenomeno migratorio, fortemente acuitasi negli ultimi mesi.
La proposta consiste principalmente nel ricollocamento di 160mila rifugiati, da Italia, Grecia e Ungheria, da redistribuire – nelle intenzioni dell’esecutivo comunitario – in maniera obbligatoria negli altri Stati membri dell’Unione, secondo precisi criteri. Nello specifico, i rifugiati da ricollocare sono 15.600 dall’Italia, 50.400 dalla Grecia e 54mila dall’Ungheria, a cui vanno ad aggiungersi quei 32mila che gli Stati membri avevano accettato di accogliere a giugno, quando non si era riusciti a raggiungere un accordo su 40mila. Allora era l’Italia lo Stato che avrebbe dovuto beneficiare maggiormente dell’azione di ripartizione del numero di migranti (24mila contro i 16mila della Grecia), tuttavia i recenti e numerosi arrivi in Ungheria e Grecia hanno modificato fortemente gli equilibri.
La passate proposte, avanzate negli anni, di realizzare un sistema europeo comune di asilo (CEAS – Common European Asylum System) sono divenute, sebbene con ingiustificato ritardo, un’esigenza e un’urgenza all’interno dell’agenda della Commissione europea, in seguito all’aumento dei flussi migratori provenienti da Oriente. Ciò è evidenziato dal carattere obbligatorio dell’attività di ricollocamento dei rifugiati, a cui viene collegata la previsione di una sanzione, consistente nel versamento di un contributo finanziario al bilancio Ue per un importo pari allo 0,002% del Pil nazionale, per gli Stati che non intendano prendere parte al meccanismo di riparto.
Il piano della Commissione si sviluppa, inoltre, proponendo l’adozione di un regolamento che stabilisca un elenco europeo comune dei Paesi d’origine considerati “sicuri”, ossia quelli che rispettano i criteri di democrazia, stato di diritto e da cui i migranti non hanno motivo di fuggire. Tale elenco dovrebbe permettere di velocizzare le procedure di controllo delle singole domande di asilo dei candidati provenienti da Paesi che tutta l’Unione considererebbe sicuri e di accelerarne il rimpatrio se la valutazione individuale della domanda confermasse che non sussistono le condizioni del diritto all’asilo, permettendo di distinguere chi scappa dalla guerra dai cosiddetti migranti economici. Proprio in merito alle politiche di rimpatrio, la Commissione ha elaborato un piano d’azione comune che prevede la creazione di un vero e proprio regime integrato di gestione dei rimpatri, per mezzo dell’indispensabile rafforzamento del ruolo e del mandato di Frontex. La volontà è, dunque, quella di trasformare l’agenzia, oggi impegnata nel coordinamento delle autorità nazionali, in un vero e proprio corpo europeo di controllo delle frontiere terrestre e marittime. Questo dovrebbe permettere di salvaguardare Schengen, considerato il simbolo del processo di integrazione europea. Tuttavia, non sarà facile. Molti paesi vogliono continuare ad avere sovranità sui loro confini, mentre altri non vogliono impegnarsi in progetti troppo costosi.
In merito all’azione esterna, infine, la Commissione ha avanzato il proprio sostegno alle iniziative diplomatiche che cercano soluzioni politiche ai conflitti in Siria, Iraq e Libia, e ha proposto l’istituzione di un fondo fiduciario allo scopo di migliorare la stabilità e affrontare le cause profonde dei flussi di migrazione irregolare nelle regioni del Sahel, del Corno d’Africa e dell’Africa settentrionale.
Alla luce della breve analisi di cui sopra, la proposta europea per affrontare il fenomeno migratorio si presenta, pertanto, come una prima importante risposta – benché molto tardiva – al crescente flusso di migranti degli ultimi mesi. Tale meccanismo di solidarietà di ridistribuzione dei profughi, sebbene proponga di affrontare il problema dei richiedenti asilo superando la logica della gestione emergenziale a favore di un approccio più strutturato e consapevole, sembra, tuttavia, evidenziare l’intenzione di conservare l’impianto di Dublino, piuttosto che pervenire a un autentico sistema di protezione comune.
Ad ogni modo, il c.d. Piano Juncker per le politiche di asilo e migratorie deve ora affrontare il non semplice iter procedurale di adozione. Il Consiglio straordinario “Affari interni” dedicato alla migrazione, che si terrà il 14 settembre, sarà la prima occasione di discutere ed eventualmente accogliere le proposte legislative della Commissione. Tuttavia, l’esito è tutt’altro che scontato, poiché alcuni Paesi, soprattutto dell’Est, non sembrano intenzionati ad agire in questo senso. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, i Paesi del c.d. Gruppo di Visegrad si sono dichiarati fermamente contrari a un meccanismo di quote. Con ogni probabilità, a questi Paesi si aggiungeranno le tre Repubbliche Baltiche, rendendo ancora più accesa la battaglia sul via libera al meccanismo emergenziale di ricollocazione dei 160mila migranti, il quale deve essere approvato a maggioranza qualificata in Consiglio.
Ebbene, pare si sia ancora lontani da una rapida e definitiva risoluzione della questione. La diffidenza degli Stati dell’Est nei confronti di un’Europa che, fino a qualche mese addietro, considerava l’immigrazione un problema esclusivo di alcuni Paesi (quelli del Sud), risulta comprensibile, tanto più se si pensa che tale cambio di rotta coincide con l’improvviso, quanto opportunistico, altruismo di una Germania che, di fronte all’esplosione quantitativa dei recenti flussi provenienti da Est e proprio a questa diretti, pare aver compreso la necessità di affrontare il fenomeno migratorio in ambito europeo.
[1] http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-15-5614_en.htm