Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, è un politico scaltro ed un grande accentratore di
poteri. I legami ambigui con l’Isis ed i frequenti ammiccamenti all’Europa lo rendono un leader molto criticato e per molti osservatori poco affidabile. Per conoscere meglio quanto sta accadendo in Turchia abbiamo intervistato Marta Ottaviani. La giornalista milanese, che scrive su Avvenire e La Stampa, ha vissuto per oltre otto anni ad Istanbul. Ottaviani ha all’attivo due libri: Cose da Turchi e Mille e una Turchia, entrambi pubblicati da Mursia. In autunno uscirà il suo terzo volume (Textus Edizioni), dedicato all’ascesa dell’Islam politico in Turchia.
A cura di Gennaro Grimolizzi.
Marta Ottaviani, si è appena concluso il primo World Humanitarian Summit a Istanbul. Il Summit ha richiamato cinquanta capi di governo. Che lettura dà di questo appuntamento?
Credo che onestamente si sia trattato più di una passerella politica che non porterà a passi concreti. La Turchia ha ribadito che si sta sobbarcando un fardello che andrebbe diviso, ma di certo negli ultimi mesi non ha fatto nulla per rassicurare sui suoi propositi, soprattutto per quanto riguarda i legami ambigui con Isis e la situazione interna del Paese. Non vorrei sbagliare, ma il celebre accordo con l’Ue sui migranti potrebbe durare poco.
Erdogan è sempre più leader incontrastato in Turchia. Il pugno di ferro contro gli oppositori è anche il segnale della preoccupazione di nuovi scenari politici?
Credo si sia aperta una nuova fase politica, carica di preoccupazioni. La rimozione di fatto di Ahmet Davutoglu dalla carica di primo ministro e la nomina di Binali Yildirim ha garantito al presidente Erdogan un controllo assoluto dell’agenda governativa e del suo partito. Se a questo si aggiunge anche la sospensione dell’immunità parlamentare per 138 deputati e la nuova agenda economica che prevede il potenziamento dell’industria di difesa, direi che c’è da preoccuparsi.
Nella guerra in Siria la Turchia sta avendo un atteggiamento molto ambiguo. Cosa vuole?
Occorre chiarire subito che Erdogan è mosso da una motivazione puramente ideologica, ossia fare entrare una nazione importante come la Siria nell’orbita sunnita, cambiando così l’asse degli equilibri in Medioriente. Di fatto, l’unico risultato prodotto dalla Mezzaluna dal 2009 in poi è stato quello di destabilizzare la regione. Al momento la Turchia vuole Bashar Al-Assad destituito, ma uno stato unitario, non smembrato sul modello di quello iracheno.
L’Italia sembra poco attiva su vari fronti internazionali. La nostra politica estera è ai margini dell’agenda del governo?
No, non credo, il problema è che la situazione è complessa e soprattutto in Europa, con l’emergenza migranti, prevalgono gli interessi dei singoli Stati. Il 7 giugno verrà approvato il Migration Compact, che, in estrema sintesi, dovrebbe vedere un maggior impegno coeso degli Stati membri nella gestione dei fenomeni migratori. Credo che non sia un risultato assolutamente da sottovalutare.
La fine dell’embargo in Iran apre nuovi scenari. Chi ne beneficerà di più tra Europa e Stati Uniti?
Questo molto onestamente non lo saprei dire. Di certo, l’Iran più a briglia sciolta dal punto di vista economico e sdoganato dalla percezione comune di “Stato ostile”, avrà come prima conseguenza ridisegnare tutto l’assetto della regione mediterranea. E con questo dovremo fare, volenti o nolenti, i conti tutti. Anche la Turchia.
Quali conseguenze possono avere per l’Europa le continue tensioni tra Turchia e Russia?
Volendo fare una battutaccia, potremmo dire che la prima conseguenza delle tensioni fra Russia e Ue, è stata proprio che Ankara si sia ricordata di Bruxelles. Collocandola in un’altra dimensione, entrambi gli Stati in questione hanno perso un alleato importante, sarà molto interessante capire come si riposizioneranno. La Turchia ha cercato di rispolverare i rapporti con Ue, Egitto e Israele. Per la Russia la situazione è certamente più complicata. Anche per l’oggettivo “peso” maggiore del Paese.