A partire dal 1° gennaio 2016 la procedure di salvataggio delle banche italiane in stato di crisi subiranno una vera e propria rivoluzione. In seguito al recepimento della direttiva europea del 2013 di attuazione della “unione bancaria europea” (la BRRD, Bank Recovery and Resolution Directive), viene introdotto nel nostro ordinamento il c.d. bail-in, ovverosia un meccanismo di salvataggio del sistema bancario dall’interno. L’espressione si contrappone a quella più nota di bail-out, per mezzo del quale si era finora attuato un modello di salvataggio c.d. dall’esterno, tramite un’assistenza finanziaria a carico dello Stato, mediante l’utilizzo di risorse attinte dal bilancio pubblico. A rimetterci, ovviamente, erano i contribuenti.
L’introduzione del bail-in nasce dall’esigenza negli ambienti europei di superare il discutibile modello tradizionale di ristrutturazione del debito degli istituti di credito in crisi, che, di fatto, ha consentito in passato ai veri responsabili delle grandi crisi bancarie, iniziate nel 2008, i c.d. banksters (banchieri gangsters), di non pagare per il proprio operato, accollando alla collettività il costo delle loro spericolate speculazioni finanziarie.
Da ora in poi, sarà la stessa banca, dunque, ad occuparsi di trovare la liquidità necessaria per sopperire ad un eventuale debito. Nello specifico, nel caso di fallimento di un istituto di credito, è previsto che il debito venga ristrutturato attingendo ai depositi di azionisti, obbligazionisti non garantiti e correntisti, con conti che superino i 100mila euro, al di sotto dei quali scatta, invece, la garanzia da parte della Banca Centrale Europea. È probabile, tuttavia, che tale soglia negli anni a venire subisca un abbassamento, ai fini dell’armonizzazione delle normative nazionali, uniformandole alla misura adottata in Germania, della soglia dei 30mila euro. Nel caso in cui la banca non risulti in grado, nonostante tutto, doi colmare i debiti, si ricorrerà all’intervento statale, che opererà per mezzo del fondo di garanzia dei depositi, contribuendo al bail-in al posto dei depositanti protetti.
A una prima e sommaria analisi dei fatti, sembrerebbe profilarsi una positiva innovazione nel campo del rapporto fra banche e cittadini, tuttavia presto ci si rende conto di come le cose non stiano propriamente in tal senso. Se in passato, a coprire il buco lasciato da un istituto era lo Stato e di conseguenza i contribuenti, ora a pagare saranno comunque questi ultimi, tuttavia, solo coloro i quali sono clienti dello specifico istituto nel quale hanno deciso di versare il loro denaro. In sintesi, bail-in o bail-out, sarà sempre compito del cittadino coprire i danni creati da banche dedite a speculare senza ritegno.
Invero, col bail-in accadrà che i clienti di una banca, i correntisti depositanti il proprio denaro superiore ai 100mila euro, saranno de facto equiparati a soci dell’istituto, partecipando al pari degli azionisti alle perdite, nel momento in cui l’istituto si trovi in uno stato di insolvenza. Eppure, il medesimo status non viene parimenti riconosciuto in relazione agli utili e ai guadagni.
Ci troviamo dinanzi a un meccanismo che viola evidentemente il disposto costituzionale dell’articolo 47, laddove stabilisce che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”. C’è chi ha parlato, addirittura, di “prelievo forzoso”, facendo riferimento al prelievo straordinario sui conti correnti, avvenuto negli anni ’90 per mano del Governo Amato. L’esecutivo attuale si è subito affrettato nello smentire un nesso con le predette impopolari misure, affermando che la legge approvata è relativa alla “non rimborsabilità” dei conti al disopra dei 100mila euro, giacenti in una banca che rischia il fallimento e nella quale gli azionisti (e gli obbligazionisti) non riescono a far fronte alle perdite.
Tuttavia, a modesto avviso di chi scrive, che si prelevino direttamente le somme dal conto o che si impedisca il rimborso, il risparmiatore non potrà, comunque, riavere indietro il suo denaro e parteciperà, suo malgrado, alle vicissitudini della banca.
Bisogna, inoltre, considerare che una cosa è un prestito bancario, il quale può anche essere a rischio, altra cosa è, invece, un deposito bancario, che per sua natura è fiduciario. Il risparmio per come è riconosciuto dalla nostra Costituzione ha tale valore fiduciario e un meccanismo quale quello del bail-in si pone in sua distruzione al solo fine di proteggere e salvaguardare un sistema che si basa, al contrario, sul rischio e sulla speculazione.
Vanno infine considerate implicazioni di più ampio respiro legate al sistema del bail-in, laddove potrebbe provocare, in seguito al persistere della crisi, un effetto di attrazione del risparmio dalle banche dei Paesi più deboli verso quelle dei Paesi più forti, come la Germania o i Paesi del Nord-Europa, a discapito dei Paesi mediterranei, Italia , ovviamente, compresa.
Claudio Giovannico
L’UNIONE EUROPEA: AGONIA DI UNA COLONIA. Di Guido Salerno Aletta.
L’Europa non si è mai sottratta alla presa statunitense: a partire dal 2010, la crisi del debito è servita alla finanza USA per ribaltare sull’altra