In seguito agli atroci attentati avvenuti ieri sera a Parigi, il primo ministro francese François Hollande ha dichiarato lo stato di emergenza e la chiusura temporanea delle frontiere esterne, al fine di individuare gli autori degli attacchi terroristici.
Contrariamente a quanto annunciato durante la notte, questa mattina è stato sì confermato lo “stato di emergenza”, tuttavia lo stesso non dicasi per la chiusura delle frontiere, per la cui sorveglianza sono stati disposti i controlli.
“Chiusura delle frontiere” e “ripristino dei controlli” sono due misure, seppur differenti, di sospensione degli Accordi di Schengen, per mezzo del quale è stato stabilito lo spazio di libera circolazione delle persone in buona parte dell’Europa.
Sin dalla stipula dei suddetti accordi, l’area di libera circolazione e movimento è stata sempre al centro del dibattito sulla sicurezza interna all’Europa; terreno di scontro di radicali posizioni opposte fra chi auspica un ritorno alle frontiere degli Stati nazionali e chi invece vede in “Schengen” la più grande conquista di libertà dell’Europa unita.
C’è da registrare che nell’ultimo anno, in coincidenza con gli attentati terroristici al giornale satirico Charlie Hebdo e con l’aumento dei flussi migratori, gli accordi di Schengen hanno conosciuto una forte crisi, con continue e ripetute sospensioni o minacce delle stesse.
Da mesi si leggono notizie sui giornali di tutto il mondo relative al ripristino dei controlli alle frontiere e/o, nei peggiori dei casi, alla chiusura delle medesime. L’area dei Balcani, ove da luglio dell’anno corrente è confluito la maggior parte del flusso migratorio proveniente da Africa e Medio Oriente, vive costanti tensioni fra gli Stati della zona. Di fronte all’emergenza relativa all’improvviso e sostanziale aumento della massa di migranti, molti Paesi hanno invocato la sospensione dei trattati di Schengen, con relative chiusure delle frontiere e controlli disposti a sorveglianza delle stesse. L’elenco è corposo e comprende, oltre ai suddetti Stati balcanici, Paesi quali l’Austria, la Germania e la stessa Francia. La risposta più dura e radicale alla crisi del fenomeno migratorio l’ha data l’Ungheria per mezzo dell’innalzamento di una barriera lungo i confini nazionali e l’adozione delle stesse misure è stata più volte avanzata da altri Stati vicini, quali la Slovenia e la stessa Austria [1].
Ciò a dimostrazione del fatto che Schengen e con essa l’Unione Europea stiano da tempo affrontando una forte crisi interna in ordine alla pubblica sicurezza. Invero, bisogna ammettere che Schengen e la zona di libera circolazione delle persone rappresenta, o perlomeno ha rappresentato fino ad oggi, assieme al mercato unico europeo, l’unica vera riuscita all’interno del processo di integrazione europeo. Si potrebbe affermare, senza dubbio alcuno, che lo spazio comune di libera circolazione, di merci, persone, servizi e capitali rappresenti simbolicamente l’Unione Europea.
Il punto è proprio questo. L’Europa, per tutta una serie di ragioni storiche, culturali e financo politiche, non è e non può essere ricondotta o, meglio, ridotta ad una mera zona priva di frontiere ove poter liberamente far circolare persone e beni. In altre parole, l’Europa non è e mai potrà essere solo una categoria economica e sociale.
Si badi bene, non è intenzione del sottoscritto ridurre l’importanza delle conquiste relative alla possibilità di ognuno di noi di spostarsi liberamente da un Paese all’altro. Riconosco la rilevanza del ruolo svolto all’interno del progetto di integrazione dei Paesi e dei popoli europei. Tuttavia, a sommesso avviso di chi scrive, l’Europa non è Schengen, tantomeno il mercato unico.
I tragici fatti di ieri notte ci portano brutalmente dinanzi ad una realtà che, di fatto, era già sotto gli occhi di tutti. L’Europa così come la conosciamo a livello istituzionale, cioè l’Unione Europea, vive una profonda crisi interna, causata da un’immigrazione che non si riesce a gestire e controllare. Il fenomeno migratorio è un’emergenza che in quanto tale va affrontata e risolta, con mezzi adeguati, che non possono limitarsi a piani di ridistribuzione dei migranti e a quote imposte dall’alto.
L’Europa non è Schengen. O perlomeno non può essere solo Schengen. Un’Europa politica in grado di agire negli esclusivi interessi dei popoli europei, svolgendo un ruolo fondamentale nel Mediterraneo, di lotta al terrorismo in Africa e Medio Oriente, in un’ottica di stabilizzazione di queste aree, normalizzando così i flussi migratori, è più che mai necessaria. Altrimenti sarà destinata a scomparire.
[1] Fonte: https://euobserver.com/migration/130866