Beit Jala è un piccolo villaggio a sud-est di Betlemme, abitato principalmente da arabi cristiani e sottoposto all’Authority palestinese, per quel po’ che tale istituzione vale. Si tratta di un piccolo gioiello nella vallata di Cremisan, nota per i suoi oliveti e i suoi vigneti e nella quale sono insediati istituti religiosi anche cattolici (i salesiani, ad esempio) che con la loro ottima produzione vitivinicola danno lavoro a molti palestinesi dei dintorni, senza ovviamente distinguere tra cristiani e musulmani. Ma, nell’area, i cristiani sono in maggioranza.
Ebbene: lo stato d’Israele – nonostante le proteste degli abitanti e i dubbi della stessa Corte Suprema, la massima autorità giuridica israeliana – ha da poco ripreso in quell’area la costruzione di un nuovo tratto di quello che eufemisticamente viene definito la “barriera di sicurezza” (una muraglia lunga 732 metri, costruita a partire dal 2002 e costituita da pannelli prefabbricati di cemento armato alti otto metri provvista di torrette di controllo e posti di guardia e coronata da matasse di filo spinato munito di lame taglienti) che serpeggia per tutta la Giordania e s’insinua attorno a Gerusalemme, violando in più punti la “linea verde” concordata nel 1967. L’ampliamento dell’opera in cemento, per costruire il quale dal 17 agosto scorso i bulldozers israeliani hanno cominciato a letteralmente sradicare i millenari olivi della valle di Cremisan e a compromettere circa 200 ettari di vigne e di oliveti confiscati a un popolo già impoverito, servirà – si giustificano le autorità israeliane – a garantire la sicurezza dell’insediamento di Gilo, un “nuovo quartiere ebraico” costruito sui territori palestinesi confiscati dagli israeliani dopo la guerra del 1967. Gli abitanti dell’area hanno protestato ripetutamente e pacificamente: ma sono stati respinti ed espulsi armi alla mano.
Va notato che il “muro”, avviato come si diceva nel 2002, è stato dichiarato illegale da una decisione della Corte Internazionale di Giustizia nel 2004: ma la sua costruzione è proseguita. A sua Volte la corte Suprema israeliana, che fa quel che può, nel gennaio scorso aveva dato ragione agli abitanti di Battir, un insediamento palestinese molto noto anche per le tracce archeologiche di terrazzamenti agricoli e di opere d’irrigazione risalenti ai tempi di Gesù. In tale occasione, il Ministero della Difesa ha dovuto obbedire ai giudici e il cantiere del “muro” è stato deviato. La gente di Beit Jala e di alcuni villaggi vicini era fiduciosa in un esito del genere: nel marzo-aprile, al termine di una battaglia giuridica durata due lustri, la Corte Suprema aveva dato loro ragione disponendo opportune misure di sicurezza della valle di Cremisan.
Il Vaticano, preoccupato per i due insediamenti religiosi dell’area e affiancato da alcune ONG, preme a sua volta da tempo per una soluzione che salvaguardi il paesaggio, la produzione agricola, la circolazione degli uomini e dei beni e, diciamolo, la buona convivenza. Ma il Ministero della Difesa d’Israele non si è dato per vinto: ha tempestato l’Alta Corte di nuove proposte e di nuovi progetti finché, il 6 luglio scorso, essa ha gettato la spugna e ha autorizzato al ripresa dei lavori. Tuttavia, si è preferito far passare ancora qualche settimana, arrivare alla piena estate (e quasi all’incipiente vendemmia…) per riavviare i lavori. Sarebbe un bel regalo per la Santa Sede se il governo italiano, anche semplicemente tramite il suo ambasciatore, chiedesse a quello israeliano qualche notizia su Beit Jala. Dove tra l’altro vanno spesso i pellegrini del nostro paese. Tra una decina di giorni ne arriveranno una buona cinquantina, guidati da me: e sarebbe bello se potessi annunziar loro che il nostro governo sta cercando d’impedire che quel serpentone di cemento armato inghiotta le viti e gli olivi di Cremisan.
Presidente Renzi, caro Matteo, la storia d’Israele e della Palestina è piena di questi grandi e piccoli abusi, di queste più o meno odiose e quotidiane prepotenze che non giovano a nessuno: probabilmente nemmeno agli abitanti di Gilo. Di queste pietruzze è lastricata tra l’altro – convinciamocene – la strada che porta molti alla disperazione, e qualcuno di quei disperati all’odio per chi li angaria e quindi alla simpatia per il terrorismo jihadista di qualunque gruppo o osservanza. Fallo notare a qualche tuo amico e collaboratore che ti spinge sistematicamente ad appoggiare qualunque scelta venga da Israele. Chiedi al tuo amico e collega Netanyahu ragione dei metri di muro di Beit Jala, che tolgono lavoro e libertà a dei cristiani: anche se egli ti risponderà probabilmente, nella migliore delle ipotesi, di non poter fare a meno dell’appoggio politico e parlamentare dei partiti oltranzisti che premono sistematicamente per soluzioni del genere.
Sarebbe bello che a Firenze il Presidente Renzi riprendesse il progetto di La Pira, il sogno di un Mediterraneo più libero, più sereno, più pacifico, più giusto. Ma la libertà e la sicurezza cominciano anche da lì, proprio da lì, dai vigneti e dagli olivi della Giudea che, caro Matteo, somigliano tanto a quelli della nostra Toscana là lungo l’Arno, tra Pontassieve e Firenze. Sarebbe bello far arrivare a Netanyahu, insieme, una partita di vino di Cremisan e una del nostro vino della Rufina. Sono certo che Melini o Folonari, se già non lo fanno, ne produrrebbero volentieri un bel po’ di bottiglie striktly kosher col quale “Bibi” potrebbe brindare alla salute della gente della bella valle salvata da lui e da te.
Franco Cardini
(www.francocardini.net)
L’UNIONE EUROPEA: AGONIA DI UNA COLONIA. Di Guido Salerno Aletta.
L’Europa non si è mai sottratta alla presa statunitense: a partire dal 2010, la crisi del debito è servita alla finanza USA per ribaltare sull’altra