Mi chiedono in molti un giudizio chiaro e complessivo sulla prima guerra mondiale. Eccolo qua in sintesi.
Sono passati cento anni dall’inizio (per noi italiani, che mettemmo un anno circa, dopo l’estate del ’14, a cambiar bandiera) di quel conflitto durato in realtà quattro anni, dal 1914 al 1918, che si usa denominare “prima guerra mondiale”. 1. Quale il ruolo e il contesto di quel conflitto nel quadro della storia contemporanea? “ 2. Quali le ragioni che determinarono il maturarsi di quel tragico evento, che costò al mondo decine e decine di milioni di morti? 3. Quale ne furono il senso e le conseguenze? 4. Quale la lezione che dobbiamo trarne? 5. Conclusioni.
1. Il ruolo e il contesto. La storia si organizza convenzionalmente “per secoli”, cioè per blocchi di cento anni ciascuno. Si tratta evidentemente di un uso e di un còmputo di comodo: tuttavia, attraverso questo espediente, si tende a sottolineare come periodicamente le condizioni e l’assetto del mondo siano soggetti a mutamenti. Uno storico marxista inglese, Eric Hobsbawm, scrisse anni fa un libro di grande successo il cui titolo suona, nella traduzione italiana, Il secolo breve: per lui difatti il Novecento, caratterizzato dall’età dei grandi totalitarismi, sarebbe cominciato con la guerra ’14-18 e terminato negli Anni Novanta del Novecento, con il crollo del “muro di Berlino” e il dissolversi dell’esperienza socialista sovietica. Oggi si potrebbe però pensare, al
contrario, che quello aperto dal conflitto del ’14 fosse (sia) un secolo lunghissimo, dal momento che s’inaugurò con la fine dell’egemonia europea sul mondo, l’avvento di altre grandi potenze (USA e URSS), quindi il duello/dialogo tra esse (la “guerra fredda”) e poi l’apertura di una fase di ridefinizione degli equilibri mondiali e di sviluppo di quella che sin usa definire la “globalizzazione”, con l’emergere sia di nuove potenze mondiali o regionali (Brasile, Russia, India, Cina – il cosiddetto BRIC, cui andrebbero forse aggiunti Israele e l’Iran), sia di un malessere profondo che riguarda i ceti subalterni di tutto il genere umano e del quale sarebbero espressione, ad esempio, le guerre incessanti in Asia e in Africa, il fermento dell’America latina, il fondamentalismo religioso e il terrorismo, il problema della fame nel mondo, le migrazioni. Uno storico tedesco di idee conservatrici, Ernst Nolte, ha parlato del periodo 1914 – 1945 come di una “guerra dei Trent’Anni”, notando giustamente che la seconda guerra mondiale fu la conseguenza dei cattivi e ingiusti trattati di pace che avevano concluso la prima. Forse però si dovrebbe andare oltre quest’analisi, in quanto anche la conclusione della seconda guerra mondiale ha lasciato aperte questioni che già si erano profilate con la prima (una per tutte: quella vicino-orientale): e allora la guerra iniziata nel ’14 si potrebbe considerare ancora in corso, una “guerra dei Cent’Anni” della quale peraltro non si vede per il momento la fine.
2. Le ragioni. Ai primi del Novecento, sembrava che quattro paesi fossero le potenze – guida d’Europa attorno alle quali si ordinavano in un complesso sistema di amicizie e di alleanze tutti gli stati secondari o minori: Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia. Tutti questi stati erano anche titolari di autentici imperi coloniali in Asia, in Africa, in Oceania, mentre nel continente americano – del quale non si erano ancora ben colte le potenzialità – gli Stati Uniti d’America stavano energicamente facendo accettare a tutti il principio che solo ad essi sarebbe spettata la leadership continentale. Ma agli USA si pensava ancora come a un grande e ricco sì, ma periferico e un po’ rozzo paese.
L’Europa appariva la padrona del mondo: nonostante si credesse di essere arrivati alfine a organizzare un’età di concordia e di prosperità (la Belle Époque, a cavallo tra i due secoli), tuttavia si delineavano alcuni conflitti. Francia e Inghilterra erano paesi organizzati secondo i princìpi della democrazia parlamentare e dell’economia liberale; Austria, Germania e Russia (cui andrebbe aggiunto anche l’impero ottomano) , in modo diverso tra loro seguivano i princìpi delle monarchie costituzionali consultive, cioè oligarchi che e autoritarie. Inoltre tra Francia e Germania esisteva una vecchia tensione per le regioni di frontiera (Alsazia, Lorena, Ruhr, Sahr), ricche di giacimenti di ferro e di carbone; l’Inghilterra sentiva minacciato il suo predominio militare e mercantile sugli oceani dall’attività marinara e cantieristica tedesca; Russia e Inghilterra si disputavano i territori dell’Asia centrale; l’Impero ottomano esteso tra Europa meridionale, Asia occidentale e Africa settentrionale appariva in crisi e Russia, Francia e Inghilterra ambivano ad appropriarsi di brandelli di esso (anche l’Italia era della partita), mentre la Germania ne sosteneva il capo, il sultano d’Istanbul con le sue finanze e il suo supporto tecnologico; inoltre nella penisola balcano-danubiana i confinanti interessi austroungarici (Austria e Ungheria si erano unite nel 1867 restando stati distinti, ma sotto la monarchia di un unico sovrano di casa Asburgo ch’era imperatore in Austria, re in Ungheria) erano minacciati dalla Russia che ambiva ad arrivare con le sue flotte al mediterraneo e per questo mirava perfino a possedere Istanbul. Questi contrasti maturarono nell’estate 1914: il casus belli si verificò appunto in una città bosniaca appartenente all’impero austriaco ma contesa dal giovane stato serbo e dilagò in una serie di mobilitazioni militari e di dichiarazioni di guerra a catena. I fronti erano costituiti da Germania, Austria – Ungheria e Turchia da una parte e da Gran Bretagna, Francia e Russia dall’altra. Nel corso del conflitto si andarono aggiungendo l’Italia (ex alleata di Germania e Austria -Ungheria, che nel 1915 mutò campo), e gli USA (al fianco di Gran Bretagna e Francia); la Russia, sconfitta dalle armate tedesche e sconvolta nel 1917 da due successive rivoluzioni, si ritirò dal conflitto; il Giappone corse a sua volta in aiuto a Inghilterra, Francia e Stati Uniti; i paesi arabi, sedotti dalla promessa (non mantenuta) d’indipendenza che avevano loro formulato francesi e inglesi, si ribellarono al sultano d’Istanbul che era loro sovrano e come califfo anche loro capo religioso.
3. Il senso e le conseguenze. Il senso si trae dal confronto tra la realtà di oggi e il messaggio inviato al mondo dai vincitori, i quali – riuniti dal 1919 a Versailles in Francia per sottoscrivere insieme con i vinti (cioè per imporre loro) i necessari trattati di pace, dichiaravano per bocca del mediatore che avevano scelto, il presidente statunitense Woodrow Wilson, che quella sarebbe stata “una pace definitiva, pensata per mettere fine a tutte le guerre”. In realtà, molti paesi anche vincitori (tra i quali l’Italia) restarono insoddisfatti dell’esito del conflitto e pretesero una revisione dei trattati di pace. Inoltre, nonostante i vincitori avessero proclamato il diritto di tutti i popoli all’autodecisione e quindi dell’indipendenza di tutte le nazioni , alcune di esse furono accorpate ad altre in nuovi stati che nacquero già segnati da conflitti interni (Yugoslavia e Cecoslovacchia). Quanto alla Germania, il suo territorio fu mutilato di regioni ricche e importanti a ovest (i bacini minerari alsaziani, della Ruhr e della Sahr), diviso in due dall’enclave portuale di Danzica, città tedesca assegnata a uno stato nuovo (la Polonia) per garantirgli lo sbocco al mare, e caricata di pesantissimi debiti di guerra che non le era possibile pagare dal momento che le mutilazioni territoriali le avevano quelle ricche aree che, sole, le avrebbero permesso di far fronte alle cifre enorme che le venivano richieste: alla fine la risposta tedesca a quell’infamia si presentò puntualmente, e si chiamò Adolf Hitler.
Nel Vicino Oriente, spartito tra francesi e inglesi secondo un sistema sostanzialmente ancora coloniale (nonostante agli arabi si fosse promessa l’indipendenza), s’insediarono anche alcune decine di migliaia di coloni sionisti creando ulteriore inquietudine tra le popolazioni arabe già mal disposte in seguito alle mancate promesse fatte loro. Anche il Giappone era deluso e contava di rifarsi sul territorio cinese, dove l’impero si era frantumato. Le conseguenze del conflitto del ’14-’18 furono il porsi della condizioni di quello successivo,’39-’45, e dei conflitti che ad esso sarebbero seguiti da quello di Corea del ’52 fino ai giorni nostri.
4. La lezione. L’Europa entrò nel conflitto del ’14-’18 apparentemente padrona del mondo; ne uscì ormai definitivamente compromessa. Il regime coloniale del mondo cominciò dopo il ’18 a disfarsi in seguito alla presa di coscienza da parte dei popoli soggetti della realtà della repressione e dello sfruttamento cui erano stati sottoposti; gli squilibri sociali e la grande crisi economica del ’29 segnarono l’ascesa dei regimi totalitari i quali tentarono di fornire risposta ai problemi nati dalla società di massa ai quali il liberalismo e il liberismo, che pur li avevano determinati, non erano stati capaci di porre rimedio. Oggi in Asia e in Africa si continuano a pagare gli errori commessi dai vincitori del 1918, cui si nono aggiunti i problemi suscitati dalla questione petrolifera, da quella israeliano-palestinese e dallo sviluppo dell’indiscriminato sfruttamento delle ricchezze naturali dei due continenti (e anche dell’America latina) da parte delle cosiddette lobbies, le imprese finanziarie, economiche e tecnologiche multinazionali che sfruttano indiscriminatamente forza – lavoro e risorse di solito con l’appoggio di corrotti governi locali e senza curarsi dei diritti e degli interessi dei popoli. Il disagio da ciò prodotto, la sovrappopolazione e l’iniqua distribuzione della ricchezza (con un eccessivo concentramento di essa nelle mani di pochissimi e la gigantesca diffusione della povertà) sono causa di malessere, di terrorismo, di diffusione di ideologie estremiste a base apparentemente religiosa, di migrazione dai paesi impoverite di masse umane intere alla ricerca disperata di migliori condizioni di vita.
5. Conclusioni. Tutti i problemi dell’età presente possono ricondursi direttamente o indirettamente allo squilibrio mondiale causato dalla guerra del 1914-18. Ovviamente, non è possibile dir nulla di certo a proposito di quel che sarebbe potuto accadere se essa non fosse mai stata combattuta. Si può comunque ipotizzare che la crescita economica mondiale sarebbe stata più ordinata e meno tumultuosa; che lo sviluppo dell’affrancamento del popoli dal regime coloniale avrebbe avuto un carattere meno violento e che forse si sarebbero potute evitare una decolonizzazione e una ricolonizzazione economico-finanziario-tecnologica tanto disastrosa; che si sarebbe evitato altresì il fenomeno delle esperienze totalitarie e mantenuto invece l’equilibrio delle esperienze sovrastatali a carattere plurinazionale e di quelle sociopolitiche fondate sul sistema misto elettorale-consultivo, che in Germania e in Austria-Ungheria dopo la fondazione del Secondo Reich e della Duplice Monarchia K.u.K aveva dato buoni risultati; che il mantenimento di stati forti e ordinati e la loro collaborazione reciproca avrebbe in qualche modo tenuto a bada la tendenza di capitalisti, imprenditori e speculatori a costituire lobbies come quelle che adesso stanno rovinando il mondo sfruttando e lucrando profitti in un’allucinante situazione anomica internazionale; che sarebbero venuti a mancare molti motivi di odio e di rancore che hanno alimentato stragi razzistiche e conflitti religiosi ed etnici; che il processo d’integrazione mondiale sarebbe stato più equilibrato; che si sarebbero potuti combattere più efficacemente lo sfruttamento intensivo e selvaggio di certe aree del pianeta, la sperequazione economica, l’inquinamento, la desertificazione.
Franco Cardini