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SCONTRO DI CIVILTA' (MALATE). di F.M. Agnoli

Mi sono spesso chiesto perché quando in qualche parte del mondo, in particolare in Medio Oriente, ci trova a fronteggiare il dolore (e la rabbia) per una nuova strage di cristiani ad opera di musulmani  l’establishment occidentale, in tutte le sue componenti e sfaccettature, si rifiuti di parlare di guerra di civiltà o di religioni e condanni alla gogna mediatica chi si azzarda a farlo (ovviamente ci sarebbe anche l’altra faccia della medaglia, costituita dalle stragi di musulmani ad opera degli occidentali attraverso l’invio sul loro territorio di cosiddetti peacekeepers o, più spesso, l’impiego di droni e bombe supposte “intelligenti”, ma in questo caso il problema viene risolto negandolo attraverso una semplice variazione verbale: non si tratta di guerra o di violenza, ma, appunto, di un’operazione di peacekiping).

Eppure in un recente articolo, “Non abusare della religione”, pubblicato nel numero di febbraio 2015 di Studi cattolici, il filosofo francese  Hervé Pasqua, riflettendo sulle “atrocità che ci vengono descritte e le dimostrazioni di fanatica intolleranza legate alla fondazione del Califfato in Iraq e di cui sono vittime i cristiani di Oriente”, non esita a  parlare di un conflitto “che oppone l’Oriente all’Occidente”.

L’articolo di Hervé Pasqua, abbastanza complesso, riguarda in realtà  un aspetto diverso del problema: il filosofo si chiede quale sia l’essenza della religione in quanto tale (quindi, di ogni religione), partendo dalle riflessioni di un suo quattrocentesco predecessore, Niccolò Cusano, nel libro La pace della fede, ed evidenzia la necessità che l’Europa/Occidente (in sostanza la vera colpevole dell’attuale situazione) si rimetta in discussione e si interroghi seriamente sul suo apporto alla religione. Quindi non tanto o non solo la questione che qui interessa. Tuttavia le sue considerazioni offrono un valido filo d’Arianna per giungere ad individuare i motivi dell’ostinato  rifiuto  ad ammettere l’esistenza di una “guerra di civiltà” e/o “di religione” (in realtà totalmente coincidenti se si concorda con Pasqua nel ritenere che la religione “riguarda l’uomo, l’insieme della sua realtà e delle sue dimensioni sociali, cosmiche, storiche,  esistenziali”).

Il fatto è che al termine “civiltà” la nostra cultura attribuisce sempre un valore positivo (non altrettanto, in Occidente, a quello “religione”, ma, per l’appunto, in Occidente, a seguito del fraintendimento del senso e significato del fenomeno religioso, il problema posto dalla “guerra di religione” è considerato meno grave, soltanto un’appendice, consequenziale alla presenza  in campo di popoli meno progrediti dell’europeo, della guerra di civiltà). Tutto diviene più facile se si comprende che vi sono momenti storici nei quali i termini civiltà e religione indicano o coprono un sistema di fenomeni negativi (non solo singoli fatti, ma un vero e proprio sistema, perché il guasto, quale che sia la causa che l’ha provocato, riguarda la base sulla quale poggia l’intera costruzione).

Pasqua concentra la sua attenzione principalmente sulla religione, esattamente come aveva fatto Cusano, che era stato indotto a scrivere da quanto stava allora accadendo a Costantinopoli appena caduta nelle mani dei musulmani, ma la religione o la sua assenza (ammesso che si possa parlare di una società senza religione, dal momento che come insegnano gli esempi dell’URSS e della Cina, anche l’ateismo è una religione coi suoi dogmi ed i suoi riti) rappresentano l’anima di ogni civiltà sicché parlare dell’una implica sempre la presenza, magari sullo sfondo del discorso, ma comunque determinante, dell’altra.

Secondo il filosofo francese  le atrocità di cui sono vittime i cristiani d’Oriente “devono chiamare in causa sia la pietà dei musulmani sia l’indifferenza  religiosa degli occidentali”. Difatti per quanto riguarda l’Occidente (riassumo e semplifico molto un discorso di ben maggiore spessore), se la religione è ricerca di Dio, quindi, ricerca di una verità universale, perché trascendente, “L’Europa, privilegiando l’azione, la praxis, a detrimento della contemplazione, sarebbe a dire della theoria, che in greco aveva in theos (Dio) la sua radice, si è chiusa in una visione del mondo, che esclude qualsiasi forma di trascendenza”. Quindi  una Weltanschauung, che comporta la distruzione della dimensione universale della verità  con conseguente trionfo della molteplicità dei punti di vista, sicché la verità che “non si adegua più al reale”  “si dissolve nella rete circolatoria degli scambi dove la legge del più forte l’imporrà a tutti. Quando ogni forma del trascendente scompare, il senso del divino si altera, deraglia e finisce per divinizzare qualunque cosa. La morte di Dio ha generato degli idoli – sesso., denaro potere – che esigono dei sacrifici umani. Ne consegue che il conflitto di cui stiamo parlando, che oppone l’Oriente  all’Occidente, assume l’aspetto di un  conflitto fra fanatismo e idolatria, entrambe forme di corruzione del fatto religioso”.

Per quanto riguarda la controparte (l’Oriente) entra in gioco il fanatismo religioso, che è, a sua volta, una forma di idolatria.  Il fanatico religioso sostiene e difende  accanitamente un’opinione particolare, ritenendola una verità universale, scambia la sua verità con la verità, il che lo induce ad assumere un atteggiamento intransigente nei confronti di ciò che non sia la sua verità. Dal momento che  questa verità è soltanto una sua opinione nata dall’autoconvincimento della  quale non può  dimostrare con la ragione la fondatezza, il fanatico  “ripudia l’uso della ragione e impone con la violenza il suo discorso, altrimenti incapace di giustificarsi, contro tutto e contro ogni pensiero. La pseudo religione del fanatico non ammette il dialogo, il fanatismo si radica nella determinazione di voler assegnare un valore incondizionato a una volontà limitata, Il fanatico impone la propria volontà agendo in nome di Dio, del quale egli non è più il luogotenente, ma si assume il ruolo. Non accetta altri assoluti, crede solo in se stesso. Arriva così fino all’idolatria, alla divinizzazione. Riducendo il diritto assoluto  di Dio a un diritto  dell’io divinizzato, il fanatismo rappresenta un abuso della religione”.

Una volta che si trovano a confrontarsi e a competere, come anche in passato è accaduto in molti casi, ma  di necessità con molto maggiore frequenza in un mondo globalizzato, lo scontro fra queste due idolatrie, assolutamente incompatibili proprio perché idolatrie, cioè verità relative che pretendono entrambe all’assoluto, diviene inevitabile. Se non si vuole usare il termine “proibito”  scontro di civiltà, magari specificando “civiltà negative”, si può ricorrere al linguaggio del filosofo, tuttavia a rischio di incomprensibilità per chi non ha seguito l’intero ragionamento, e parlare di scontro fra due  forme di abuso di religione o di corruzione del fatto religioso.

Trattandosi di uno scontro fra entità negative è impossibile una scelta di campo. Dove invece è indispensabile distinguere è per le vittime, per quanti cioè a causa dello scontro perdono la vita, la salute, il futuro. Vittime, difatti, possono essere anche gli accecati seguaci dell’una o dell’altra idolatria, ma soprattutto, in un numero immensamente più grande, innocenti, del tutto estranei al conflitto in quanto fedeli, pur nei limiti dell’imperfezione umana, all’essenza della religione, che – come diceva il cardinale  Cusano e ripete il filosofo Pasqua – “consiste nel mettere in relazione, nell’unire (religare) gli uomini tra loro in comunione col Dio unico” sicché, pur  nella diversità dei riti e delle osservanze religiose  “tutti sono alla ricerca di Dio – sarebbe a dire alla ricerca della verità”, che, in quanto unica, non è un’opinione.

Francesco Mario Agnoli

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