Lasciamo passare qualche giorno dai risultati delle amministrative. E senza farci distrarre dall’obbligato teatrino dei commenti di parte, teatrino in cui ognuno recita una parte più fissa di quelle delle tragedie greche – commenti che sono a misura di e concernono solamente i professionisti della politica – vediamo cosa è ragionevole trarne sul fronte del rapporto fra italiani ed Europa. Guardiamo in alto. E facciamolo per punti.
La rilevanza solo locale delle amministrative. È ovviamente una fesseria. L’affermazione avrebbe un senso se vi si affrontassero solo liste locali, libera ed esclusiva espressione del territorio comunale. Invece si affrontano partiti nazionali, con tanto di grand tours di leaders dei miei coturni. I media nazionali sono squallidamente e ossessivamente asserviti alle esigenze propagandistiche dei partiti nazionali. Le tematiche discusse sono ovviamente per lo più nazionali ed europee (lavoro, emigrazione, sicurezza, crisi…). Infine, di elezioni in Europa ve ne sono molte, ed ognuna di queste rispecchia un momentaneo consenso, che è l’unico consenso che in democrazia parlamentare “il popolo” può esprimere. Ed è questo che ora ci interessa.
Destra, sinistra… la lenta morte delle categorie illuministe oramai dovrebbe essere evidente a tutti; non lo è per chi campa di posizioni politiche (sempre meglio che lavorare…). Una delle cose positive che i 5 stelle hanno dimostrato è che la modernità erede del giacobinismo è sepolta anche – persino – in Italia.
Assenteismo. Progresso dilagante: l’Italia in marcia veloce verso le percentuali di partecipazione degli USA. Il che non impedisce ai professionisti della partecipazione di governare egualmente, com’è ovvio, obbedendo ad altri. La domanda vera è la seguente: perché oggi un cittadino che non mangia di politica e non è infeudato ad un partito dovrebbe scomodarsi per andare a votare? L’assenza di speranza è la più profonda delle denunce nei confronti dell’ipocrisia della democrazia parlamentare, in cui nulla conta così poco come il parere del popolo. Il governo Renzi è il terzo governo di fila, in Italia, mai votato da alcuno. Appunto.
I moderati. Questo mostro mitologico risulta finalmente e felicemente estinto anche nella penisola. Milioni di piccoli e medi borghesi sono massacrati da anni di crisi e di tasse, di balle massmediali sulla “crescita” e dalle mille difficoltà della vita di ogni giorno. Se c’è qualche incazzato in Italia questo è l’ex-moderato. L’ossessione centrista per questo sogno del passato proietta in realtà la propria angoscia per il prossimo appuntamento elettorale.
Cumenda a casa. Assieme al dinosauro moderato, queste elezioni hanno confermato la fine del mito del cumenda super partes, il tecnocrate eguale a destra come a sinistra, vestito Armani e che risolve i problemi perché ha studiato al MIT e parla in inglese con accento meneghino. La Lega è riuscita a perdere anche Varese candidandone uno. Forse, dopo 7 anni di fallimenti, anche la tecnocrazia fuori Bruxelles sta stufando anche i meno avvertiti? Per il centrodestra: bisogna perdere Milano e Varese per accorgersene?
Basta con l’Europa. In Italia 5 stelle, due terzi della destra e i rottami della sinistra si sono scoperti sulla stessa barricata. Contro l’Europa. Disdoro dei benpensanti arroccati attorno alla burocrazia statale/comunitari. Ma in realtà nessuno fra questi “cattivi” ha richiesto lo spostamento del territorio italiano in Africa. Semplicemente, nel linguaggio becero di oggi essere contro l’Europa e l’Euro significa averne le tasche piene di una tecnocrazia imbelle e in perenne stato alterato di coscienza che vive e si riproduce endogamicamente, geneticamente modificata, nei grandi acquari di Bruxelles e Strasburgo, fra alghe policrome, pesci tropicali e allucinazioni libertine. Era questa l’Europa Unita sognata da Schuman? Mah.
Dategli brioches. Stucchevole e da ghigliottina il disprezzo con cui le élites che campano sulle spalle del bilancio pubblico in Italia ed in Europa inondano i tentativi di ritorno al territorio, l’attenzione verso la concreta realtà di tutti i giorni in cui la persona normale vive, o sopravvive. Anche perché non può fare altro. Patetica imitazione delle caricature dell’aristocrazia francese di fine settecento, ma a differenza di queste del tutto autentica, scivola fra un vernissage ai Parioli ed un incontro in Feltrinelli. In Francia la chiamano gauche caviar. In Italia, in qualche trattoria del grossetano, più popolarmente, “i sinistronzi”. Risultato: in tutt’Europa, mentre i quartieri ricchi sono “di sinistra” (ovvero appartengono a quella marmellata liberal-radical-socialista che ha nel libertinismo pratico l’omega delle proprie prospettive rivoluzionarie per il nuovo millennio), le periferie, i poveri, i non garantiti votano “populista”. Con rinnovati cori di disdoro, disdegno e disapprovazione degli “erre moscia”. N’est pas qu’un debut…
Un’altra Europa è possibile. Di fatto, in modo differente da nazione a nazione, cresce la domanda di un’Europa diversa. Un’Europa dei popoli, attenta a storie ed identità dei territori. Un’Europa confederale, col minimo di funzioni comuni (toga, spada e moneta) di pubblica proprietà, con una nuova politica estera comune separata dai diktat dei poteri forti globalismi. Pensateci: cosa accomuna Podemos e la Lega? Altera tempora currunt…
Blade Runner.