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SOSPENSIONE DI SCHENGEN E UN'EUROPA MAI INTEGRATA APPIENO. di Claudio Giovannico

Mappa dei paesi aderenti all’area Schengen.

Alcuni mesi addietro scrivevo su questa testata in merito agli effetti corrosivi provocati dal fenomeno migratorio ai danni dello spazio Schengen di libera circolazione e, di conseguenza, del progetto comunitario stesso. Bisogna, difatti, partire dalla considerazione secondo cui Schengen rappresenta il maggiore e più concreto successo politico messo in atto dall’Unione Europea ai fini dell’integrazione dei popoli d’Europa. O, almeno, ha rappresentato ciò fino ad un annetto fa o poco più.
Si è iniziato, in effetti, a discutere in ordine alla solidità e all’effettiva tenuta dell’area Schengen a partire dagli attacchi terroristici di Parigi del gennaio dello scorso anno. I tragici eventi di Charlie Hebdo, cui sono poi seguiti gli attentati di novembre, sempre avvenuti a Parigi, hanno mostrato le falle del sistema della pubblica sicurezza in Europa, strutturato ancora sulla base di competenze nazionali, che tuttavia mal si conciliano con fenomeni di dimensione globale quali il terrorismo internazionale e gli imponenti flussi migratori.
Le due problematiche suddette, non sempre necessariamente legate l’una all’altra, hanno messo in seria difficoltà, tanto gli Stati nazionali, quanto l’apparato europeo, mostrando le forti asimmetrie presenti nei diversi livelli di gestione di simili eventi. L’Unione Europea attualmente non dispone di una politica volta a fronteggiare l’immigrazione che sia del tutto comune ai diversi Stati membri, (vigendo un regime di competenza concorrente), così come non si è ancora pervenuti a una integrale gestione a livello europeo delle politiche d’asilo.
Di fronte all’intensificarsi di minacce terroristiche e all’aumento dei flussi migratori, il sistema di libera circolazione previsto dagli accordi di Schengen è entrato in crisi dal momento in cui l’Europa non è stata capace di fronteggiare le suddette circostanze per mancanza di strumenti adeguati, nell’ambito delle politiche d’immigrazione, d’asilo e di sicurezza interna.
Ciò ha destabilizzato il sistema Schengen, cosicché, di fronte alla lentezza e alla difficoltà delle istituzioni europee nel rispondere alla crisi, gli Stati nazionali hanno iniziato gradualmente a recuperare le proprie istanze, disponendo prima i controlli alle frontiere, per poi successivamente chiuderle, sospendendo temporaneamente gli accordi, in occasione di particolari circostanze in gradi di minacciare l’ordine pubblico o la sicurezza interna.
Recentemente, l’area di libera circolazione delle persone ha conosciuto il picco di questa crisi, da quando alcuni degli Stati membri dell’area Schengen (Austria, Germania, Svezia, Norvegia, Francia, Danimarca), e non solo, hanno fatto ricorso al temporaneo ripristino delle frontiere interne. L’incapacità delle istituzioni comunitarie di trovare una soluzione condivisa e l’insostenibilità di una situazione sempre più pressante hanno prodotto l’ipotesi che si potesse addirittura sospendere Schengen per «due anni», ai sensi dell’articolo 26 del relativo accordo. Lo conferma l’annuncio di alcune settimane fa della Germania di voler procedere ad una sospensione «a tempo indefinito».
Va considerato, allo stesso tempo, che le colpe non vanno addossate esclusivamente all’Unione. Le difficoltà che questa ha incontrato nel mettere in atto un piano di ridistribuzione dei migranti vanno rintracciate anche negli atteggiamenti ostili di molti Paesi europei, i quali hanno sempre considerato il fenomeno migratorio quale un problema dei Paesi del Sud del continente europeo, Italia inclusa.
Le politiche di asilo dettate dalla Convenzione di Dublino hanno sempre fatto “comodo” in tal senso ai Paesi del Nord, i quali adesso, spaventati invece dall’enorme flusso di persone in arrivo da Africa e Paesi arabi e verso loro diretto, propongono addirittura la creazione di una “mini-Schengen”, che guarda caso non includerebbe i Paesi costieri, né quelli dell’Est e dei Balcani, altra rotta privilegiata dai migranti per entrare in Europa.
La tanto declamata “solidarietà” oggi pare essere scomparsa dai discorsi e dai comunicati stampa di alcuni leader europei quando si parla di politiche di immigrazione e di asilo. Emergono così tutte le contraddizioni insite nel modello di integrazione ideato a Bruxelles, per cui da un coordinamento economico sarebbe poi dovuta conseguire un’unione politica.
È bene altresì considerare che la crisi del sistema Schengen potrebbe avere altri effetti oltre alle limitazioni relative alla libera circolazione delle persone. Difatti, questa libertà risulta strettamente collegata alle altre libertà di circolazione di carattere economico, quali quelle inerenti i beni, i servizi e, soprattutto, i lavoratori. Con ogni probabilità, il ripristino delle frontiere nazionali comporterà un aggravio dei costi in ordine ai commerci tra Stati, dovuto in primis al rallentamento dei tempi delle transazioni e degli scambi economici. Vi è, pertanto, il serio rischio che ciò provochi un’ulteriore peggioramento della situazione d’instabilità del mercato interno europeo, già provato fortemente dalla crisi economico-finanziaria dell’Eurozona, finendo per mettere in discussione l’intero progetto dell’Unione Europea.

Claudio Giovannico

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