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“Monsieur Hollande, je ne suis pas Charlie Hebdo”. di F. M. Agnoli

    A parte l’unanime e doverosa condanna per la violenta soppressione di vite umane, l’attacco del terrorismo islamico alla sede parigina della rivista satirica Charlie Ebdo ha suscitato, nei mass-media e nell’opinione pubblica reazioni parzialmente diverse. Alcune sottolineano in modo particolare i pericoli conseguenti alla sempre più massiccia presenza islamica in Europa fino al rischio della sua islamizzazione, come previsto, proprio per la Francia e per il non troppo remoto 2022, dal romanzo “Sottomissione” di Michel Houellebecq – fra l’altro uscito in libreria  il giorno dell’attentato. Altre (in particolare quelle ufficiali del presidente Hollande, del governo francese e di quanti si sono sentiti in dovere di identificarsi con il settimanale oggetto dell’aggressione,  esponendo cartelli con la scritta “Je suis Charlie Hebdo”) mettono in primo piano l’attacco alla libertà di opinione e di espressione, vanto di tutta la cultura occidentale, ma di cui la Francia si pretende, anche nella circostanza, la prima garante e paladina.

    Soprattutto via web, dove gli interventi sono meno condizionati dall’ufficialità, molti hanno  contestato questa  seconda versione e hanno ricordato che in Francia la libertà di opinione procede quanto meno a corrente alternata. Una presa di distanza debitamente motivata, che merita di essere condivisa.

      Indubbiamente è vero che in Francia in tema di religione si può dire tutto senza tenere il minimo conto della sensibilità delle persone per le quali la religione è parte essenziale della propria vita, in sostanza una libertà di offesa della quale Charlie Hebdo approfittava largamente dissacrando  (spesso del tutto gratuitamente, cioè senz’altro scopo che quello di mettere in ridicolo) non solo la religione di Maometto (spesso maltrattata più sul piano politico che su quello strettamente religioso – pur se nel caso dell’Islam la distinzione è difficile o addirittura impossibile-) ma, ancor prima e ancor più, quella di Cristo.

   Per converso in Francia, alla faccia della libertà di opinione, si è processati e si va in galera per negazionismo (un reato che ha tanti aspetti quante sono le verità di Stato: l’olocausto ebraico, l’eccidio armeno, la schiavitù, e le altre di eventuale, futura approvazione). Non basta, perché se Charlie Hebdo era  libero di pubblicare immagini orribilmente offensive anche per il più tiepido e svagato dei cattolici (la SS. Trinità in versione gay, per Natale il parto della Madonna) in Francia si è a rischio di essere arrestati per omofobia solo perché, a sostegno della famiglia naturale, si indossa una maglietta con un uomo e una donna che tengono fra loro, per mano, uno o due bambini.

    Evidentemente in Francia vi è immagine e immagine e, quindi, opinione e opinione: Come dire che si tratta di libertà di opinione condizionata al benestare del governo. Per questo “monsieur Hollande, je ne suis pas Charlie Hebdo”.

 Francesco Mario Agnoli

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