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LA COLPA DELLA RUSSIA. di Francesco Mario Agnoli

Vladimir Putin, 63 anni, e Barak Obama, 54 anni.

L’ambasciatore Guido Lenzi sul numero Luglio-Settembre 2015 di “Libro Aperto” si pone il problema della responsabilità degli attuali cattivi rapporti fra Russia e Europa o forse, più esattamente, tra Russia e occidente euro-americano, come lui stesso lo definisce. Un occidente che nel corso dell’articolo (“Con la Russia c’eravamo tanto amati…”) fa spesso capolino, anche nelle vesti della Nato, dietro le spalle dell’Europa.
Lo scritto si apre col rammarico di “un ritorno delle antiche impostazioni antagonistiche proprie della visione realistica invece che di quella idealistica, collaborativa , dei rapporti internazionali”. Per l’ambasciatore la responsabilità di questo ritorno è tutto della Russia, anzi della Russia di Putin, perché, se è sua opinione che la visione idealistica non possa fare a meno della Russia, quest’ultima, dopo le aperture di Gorbaciov, di Eltsin e del primo Putin, “ha purtroppo recuperato l’antico suo manto nazionalista. In un messianesimo che da rivoluzionario è diventato reazionario”. Dopo avere sollecitato la collaborazione dell’Occidente, in nome “degli interessi comuni dell’umanità” e della necessità della ricostruzione di una “casa comune”, la nuova Russia, “incapace di riformarsi per adattarsi al corso degli eventi mondiali, ha invece poi finito coll’auto-emarginarsi, in un istinto difensivo, diventato aggressivo”.
Dal nostro punto di vista nel ragionamento dell’ambasciatore, che evidentemente crede nel corso della Storia nel senso di un suo progressivo sviluppo necessariamente in positivo (la Russia difatti si sarebbe “auto-emarginata dal corso della Storia nella sua configurazione post-moderna” e Putin non sarebbe in grado “di tenere il passo con l’andamento della Storia”), vi è una pecca di fondo, convinti come siamo che non esistano né “le sorti magnifiche e progressive”, di cui parla con malinconico sarcasmo Giacomo Leopardi, né un ineluttabile corso della storia. La storia è quale la fanno gli uomini con le sue svolte, le sue imprevedibili deviazioni, i suoi ritorni, i suoi colpi a sorpresa sicché la configurazione post-moderna del corso cui fa riferimento il Lenzi è semplicemente quella elaborata a Washington quando si illudeva all’inizio di un mondo unipolare e del secolo (o del millennio?) americano. Del resto proprio a Washington si era creduto, con la teoria della fine della storia, che questo corso avesse raggiunto la quiete del suo sbocco finale nel mare piatto della democrazia liberal-liberista. La Cina, il mondo musulmano, forse più di ogni altro la Russia si sono incaricati di smentirlo.
La diatriba sul corso della storia e le magnifiche sorti e progressive è secolare e certo non sarà risolta ripetendo argomenti logorati dall’uso, che già non sono riusciti a persuadere nessuno fra gli aderenti all’una o all’altra tesi. Quanto alla visione “idealistica dei rapporti internazionali”, che in qualche misura ne partecipa e che il Lenzi contrappone, privilegiandola e lamentandone l’abbandono, a quella realistica (in altri termini la real-politik), che dire se non che l’ideale troppo spesso degrada nell’ideologia. Significativamente un altro ambasciatore (en rétrait), Sergio Romano, in un colloquio con tempi.it ha qualificato come “ideologica” nella questione siriana la posizione di Obama, che in quanto presidente degli Stati uniti d’America è ovviamente (per il Lenzi) il principale e più autorevole protagonista della visione idealistica dei rapporti internazionali.
Avendo opinioni diverse, ci atterremo ai fatti, alle azioni degli uomini quali la realtà quotidiana le dispiega davanti ai nostri occhi.
Per l’ambasciatore la vera colpa di Mosca è di non avere aderito, mani e piedi legati, al corso della storia elaborato e voluto dall’occidente euro-americano (una colpa in qualche parte e in minor misura condivisa dall’Italia, anch’essa posta sul banco degli imputati perché, a differenza che in tutti gli altri paesi europei, se non la politica, l’informazione e l’opinione pubblica imputerebbero all’America e, “in posizione ancillare”, all’Unione europea “il deliberato tentativo di umiliare l’antico antagonista”).
Lenzi ha ragione quando afferma (si tratta della semplice constatazione di un fatto) che Putin rinnega “apertamente l’operato dei suoi immediati predecessori” (l’illuso Gorbaciov, mai amato e nemmeno accettato dal popolo russo, e l’ubriacone Eltsin). In realtà la svolta da lui impressa alla politica di un paese traumatizzato dall’improvviso crollo dell’URSS, per un decennio in ginocchio davanti all’occidente euro-americano e pronto a svendere i propri valori (e, insieme a questi, le proprie ricchezze naturali e le proprie industrie) può anche passare agli occhi di un integralista occidentale per il rifiuto di una auspicata, ma non meglio precisata “introspezione catartica”. Si tratta invece, molto più semplicemente, del recupero da parte di un paese e di un popolo della propria identità, della propria cultura (di cui fa parte anche la Chiesa ortodossa, al Lenzi un po’ indigesta), della propria posizione nel mondo. Ma è appunto questo recupero a dare fastidio allo schieramento patrocinato dall’ambasciatore, per il quale la Russia “isolata dai movimenti, Umanesimo, Riforma, Controriforma, Illuminismo, che hanno creato la civiltà occidentale” sarebbe “tuttora priva della linfa vitale che contraddistingue le altre nazioni europee”. Peccato che sia proprio la grande maggioranza dei pensatori europei (per non parlare dei popoli) a mettere seriamente in dubbio che questa linfa vitale scorra tuttora nelle vene delle nazioni dell’UE.
In calce all’articolo l’autore stende una cronologia (comunque utile da consultare), che traccia le varie tappe del rapporto fra l’ultima URSS e la nuova Russia da una parte e l’occidente dall’altra. Si tratta indubbiamente di fatti, che tuttavia non offrono nessun sostegno né alla apodittica affermazione di una Russia “dichiaratamente postasi “fuori legge”, in aperta contestazione delle norme di comportamento generalmente accettate”, né di quella (da lui riportata) di Kissinger: “Tutto della Russia, il suo assolutismo, le sue dimensioni, ambizioni e insicurezze globali, rappresenta una implicita sfida al concetto tradizionale europeo di ordine internazionale, costruito sull’equilibrio e il riserbo”.
Indubbiamente al tramonto dell’URSS e subito dopo il suo tracollo vi fu un momento nel quale da più parti si pensò possibile un definitivo superamento di ogni contrapposizione e lo stesso Putin espresse attaccamento all’Europa, definendola, come ricorda il Lenzi, “culla della democrazia e della civiltà, uno dei più importanti poli dell’emergente mondo multipolare e, in quanto tale, partner strategico della Russia”. Ma già in quel momento e proprio in quelle frase balzavano evidenti le divergenze fra l’occidente euro-americano, che sognava, anzi considerava già realizzato un mondo uni-polare (a proprio vantaggio), e la Russia, che aspirava invece ad un mondo multipolare, del quale l’Europa doveva essere di per sé, non insieme a Washington (non necessariamente nemico o avversario, ma “altro”) uno dei più importanti poli e, in quanto tale, “partner strategico della Russia
E’ fin troppo facile dimostrare coi fatti che l’attuale concetto europeo di ordine internazionale è costituito dalla totale soggezione a Washington, con qualche fuga in avanti (Francia e Inghilterra), ma sempre nella direzione segnata. Del resto Kissinger, e con lui Lenzi, che, citandolo, condivide, si sono lasciati sfuggire una sostanziale verità: ciò che preoccupa sono le dimensioni della Russia, che ne fanno il vero contraltare del colosso americano, l’ostacolo ad un possibile surrogato (Cina permettendo) del desiderato mondo uni-polare, e che si spera di trovare il modo di ridurre, anche se per il momento ci si è limitati a tentativi di rosicchiamento ai margini (nel 2008 la guerra in Georgia, nel 2014 la rivolta eterodiretta di piazza Maidan, l’accordo di associazione fra UE, Ucraina, Moldova e Georgia).
In definitiva, l’unico caso concreto di supposta violazione da parte russa delle “norme di comportamento generalmente accettate” cui l’ambasciatore fa riferimento è quello dell’annessione della Crimea e della “guerra ibrida” delle regioni russofone nell’Ucraina occidentale.
Assoluto silenzio invece, a parte un brevissimo accenno finale al “rebus mediorientale”, sulle operazioni di Parigi, di Londra, della Nato e, soprattutto, di Washington in Medio Oriente (dove la Russia è adesso intervenuta legittimamente, perché su richiesta del legittimo, secondo le regole del diritto internazionale, governo siriano). E’ ben vero che l’articolo di Guido Lenzi è stato scritto prima dei recentissimi avvenimenti e dell’intervento sul campo dell’aviazione russa contro i terroristi dell’Isis e di al-Nusra (si potrebbe perfino sperare che questi avvenimenti lo inducano ad un catartico ripensamento delle sue tesi), ma già prima gli interventi dei paesi euro-occidentali in quella zona del mondo costituivano radicale “violazione delle norme di comportamento generalmente accettate”.
Perentoria al riguardo l’opinione del già citato ex-ambasciatore e collaboratore del Corriere della Sera Sergio Romano, che, sentito sulle critiche mosse ai bombardamenti iniziati dai russi in Siria, ha replicato, proprio con riferimento alle regole del diritto internazionale: “Da questo punto di vista ci sono analogie nel modo in cui le grandi potenze del mondo si comportano nella regione. Anche la coalizione arabo-occidentale degli Stati Uniti, infatti, ha sempre condotto raid senza essere legittimata dall’Onu e né Obama né la comunità internazionale hanno protestato quando i raid francesi hanno ucciso 12 bambini in un campo di addestramento dell’Isis o quando l’Arabia Saudita in Yemen ha centrato per sbaglio una festa di matrimonio, uccidendo più di 100 persone” (vale la pena di rimarcare che gli USA non hanno più – se mai lo hanno avuto – diritto di parola in capitolo dopo che il 3 ottobre, i loro aerei a Kunduz, in Afghanistan, hanno bombardato per una buona mezzora un ospedale dei “Medici senza frontiere”, cagionando la morte di dozzine di operatori sanitari e pazienti).
In ogni caso adesso si ha la prova (indiscutibile perché proveniente da Washington) di quale sia il rispetto “delle norme di comportamento generalmente accettate” da parte degli Usa e, per usare il linguaggio del Lenzi, in posizione ancillare dell’Europa, dalle accuse avanzate contro la Russia dal senatore statunitense John McCain, già candidato repubblicano alla presidenza, che ha dichiarato alla Cnn : “Posso assolutamente confermare che i primi raid degli aerei russi sono stati contro individui e gruppi finanziati e addestrati dalla nostra Cia”.
Non Mosca, ma l’agenzia di stampa vaticana Zenith ha dato notizia dell’indignata reazione di mons. Jacques Behnan Hindo, guida dell’Arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisib. che ha definito “inquietanti” le parole di McCain. A suo avviso queste “rappresentano un’ammissione spudorata del fatto che dietro alla guerra ad Assad c’è anche la Cia, e che si tratta di un conflitto etero-diretto da circoli di potere lontani dalla Siria e dai loro alleati nella regione mediorientale”. L’Arcivescovo siro cattolico si è chiesto come mai a !4 anni dall’11 settembre gli USA protestano perché i russi colpiscono le milizie di al-Qaeda in Siria e domanda: “Che vuol dire? Che adesso al-Qaeda è un alleato degli Usa, solo perché in Siria ha un altro nome? Ma disprezzano davvero così tanto la nostra intelligenza e la nostra memoria?”.
Pressoché nello stesso senso per quanto riguarda la responsabilità dell’occidente euro-americano nella drammatica situazione siriana si era pronunciato anche in un incontro pubblico a Roma pochi giorni prima (a intervento russo non ancora iniziato) il vescovo cattolico (maronita) di Aleppo Georges Abou Khazen.
In definitiva su quanto accade in Medio Oriente non si può non condividere l’opinione di Stefano Vernole, responsabile delle relazioni esterne del Centro Studi Eurasia Mediterraneo (CESEM), che ritiene evidenti le responsabilità occidentali “nell’approvazione della strategia statunitense del caos: rivolte arabe, golpe e bombardamenti”. Ma se questo è vero, diviene inevitabile chiedersi perché si dovrebbe addebitare alla Russia e soltanto alla Russia, come vorrebbe il Lenzi, la responsabilità del “ritorno alle antiche posizioni antagonistiche” e perché le azioni dell’occidente euro-americano favorirebbero una visione idealistica dei rapporti internazionali e quelle russe determinerebbero invece un ritorno alla vecchia e demonizzata posizione realista.
Il Lenzi potrebbe forse replicare che quanto accade ora in Medio Oriente è conseguenza di una situazione già deteriorata dai precedenti comportamenti russi, primo fra tutti l’annessione della Crimea, dove “la Russia si è impantanata”, ma anche qui è di fin troppo facile constatazione (basta prendere il calendario) come anche la Crimea non venga prima, ma dopo gli interventi americani o euro-americani in Iraq, in Libia, in Siria.
Come si è detto Lenzi trascura o sottovaluta gli eventi del Medio Oriente, ma nella parte finale del suo scritto comunque auspica che la Russia sappia andare oltre la Crimea per coinvolgersi in altre questioni, come, appunto, il rebus mediorientale, dove il suo contributo è essenziale. E’ probabile che non sia così, ma, se sincero è il suo auspicio e se – come scrive – ”l’attributo di una grande potenza consiste nella capacità di influenzare gli eventi, non di ostruirli con atteggiamenti intimidatori, antagonistici”, l’ambasciatore dovrebbe approvare l’intervento dei caccia russi, che, oltre tutto, in una settimana hanno ottenuto maggiori risultati dei bombardamenti della coalizione euro-arabo-americana in un anno. L’influenza sugli eventi è indubbia e i primi ad ammetterlo (con rammarico) sono proprio Washington e la Nato.
Francesco Mario Agnoli

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