Da quando ha acquisito crescenti caratteri di drammaticità la vicenda, ormai epocale, dell’immigrazione dalle periferie del mondo verso l’Europa è stata accompagnata dal sottofondo di un continuo richiamo al Trattato o Convenzione di Dublino. Un Trattato di cui fino a poco fa l’opinione pubblica aveva capito solo che l’Italia deve tenersi tutti i migranti che sbarcano sulle sue coste e per di più riprendersi quelli che, dopo essere sbarcati, erano riusciti a raggiungere la Francia, la Germania o l’Inghilterra. A svelarne in parte gli arcani ha provveduto la cancelliera Angela Merkel dichiarando che la Germania è pronta ad accogliere tutti i profughi siriani senza invocarne le regole per rispedirli al paese di primo ingresso (in pratica l’Italia e la Grecia, ma più quest’ultima da quando i siriani hanno scoperto che la via Turchia-Balcani è relativamente più sicura di quella del Mediterraneo e del canale di Sicilia).
L’improvvisa conversione ad U della Merkel, in precedenza fra i “falchi” del Trattato, desta sospetti, perché coincide con l’altrettanto improvvisa esplosione in termini quantitativi della via dei Balcani, che, coinvolgendo paesi come Grecia, Macedonia e Serbia, nei quali i migranti non intendono fermarsi e che, a loro volta, vogliono liberarsene al più presto facilitandone il transito, le ha fatto comprendere l’impossibilità di una politica diretta a fare dell’immigrazione un problema dei soli paesi mediterranei. In ogni caso un buonismo molto utile per l’immagine sua e della Germania, offuscata dal rigore nei confronti del debito greco. Per di più la preferenza ai siriani, vittime di una guerra feroce, ma i più occidentalizzati anche in termini di preparazione culturale e tecnica, le consentirà, al momento, inevitabile, della ripartizione per quote, di dire che la Germania ha già fatto la sua parte e tocca agli altri accollarsi quelli nord-africani e dell’Africa nera. Non per nulla il premier inglese Cameron ha mangiato la foglia e si è affrettato ad aprire le porte del Regno Unito). Insomma, fino a ieri nessuno li voleva, adesso si è aperta la caccia al profugo siriano.
Nell’immediato la nuova politica di accoglienza della Merkel pone problemi anche alla Germania, in particolare alla Baviera, dove (a Monaco) è stato allestito il primo centro di accoglienza. Per alleviare le difficoltà la cancelliera ha pensato bene di evitare arrivi dall’Italia e non ha esitato a chiedere una temporanea e localizzata sospensione del principio della libera circolazione all’interno della Ue. Tuttavia, dal momento che Schengen è intoccabile, ha scelto, per non comparire in prima persona, una singolare procedura “regionalizzata”. E’ toccato infatti al Land della Baviera chiedere alla Provincia autonoma di Bolzano, che, avuto il consenso di Roma, ha aderito, di intensificare i controlli al Brennero, in pratica di sospendere per qualche giorno Schengen e di bloccare i migranti diretti in Germania via Austria, come ha capito benissimo il presidente della provincia atesina, Arno Kompatscher, che, prima di essere costretto a rimangiarsela dalla political correctness europea, ha emesso una nota ufficiale in tal senso e ha predisposto locali per la sosta di 400-500 migranti (non risulta che il provvedimento sia stato revocato). Meno comprensivo il governo ungherese, che ha attribuito alla Merkel la responsabilità del caos in cui è sprofondata la sua capitale, invasa da migliaia di migranti, che inneggiano alla Merkel e assaltano i treni che dovrebbero portarli in Austria e in Germania. L’Ungheria, che, a differenza di Grecia, Macedonia e Serbia, si è assunta il compito di baluardo dell’Europa contro l’invasione migratoria, intende ( o intendeva) procedere alla identificazione e registrazione dei profughi e accusa la Germania di incoerenza e prepotenza, perché, mentre continua a sostenere la vigenza delle regole di Dublino, si assume il diritto di disapplicarle. Insomma per tutti continua a valere Dublino, ma la Germania può trascurarlo sia pure, nel caso, a fin di bene (nessuno può negare la particolare tragicità della situazione siriana). In realtà la Merkel un aggancio potrebbe cercarlo nella cosiddetta “clausola di sovranità” del Trattato, secondo la quale “ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda [..] anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento”. E’ vero che la clausola sembra fare riferimento a casi singoli e non a migliaia di persone tutte d’un colpo. Tuttavia la Cancelliera, anche se si è ben guardato dal farlo finché il fenomeno non ha investito i paesi dell’Europa centrale, può sempre giustificarsi dicendo che la realtà presa in considerazione dal Trattato di Dublino era di un fenomeno di proporzioni ridotte se non minime. Ingigantitosi questo a dismisura, anche il contenuto delle regole va adeguato.
La Convenzione di Dublino, approvata il 15 giugno 1990, riguardava in effetti una realtà completamente diversa. E’ passato appena un quarto di secolo, ma il mondo si è trasformato. Il 1990 è l’anno della riunificazione della Germania, della liberazione in Sud-Africa di Nelson Mandela, dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, in Italia del VI governo Andreotti, della trasformazione del PCI in PDS, della condanna di Adriano Sofri (e altri) per l’omicidio Calabresi. Vicende, anche per noi che le abbiamo vissute, del tempo che fu, al quale appartengono sia la Convenzione sia la realtà che intende disciplinare. La Convenzione, pur se inquadrata nell’ambito delle Comunità europee, era ancora un Trattato vecchia maniera, voluto dagli Stati contraenti (Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Pesi Bassi, Portogallo, Regno Unito) e aperto all’adesione di altri Stati anche non comunitari. Ne era oggetto non la situazione degli Stati investiti da un’ondata immigratoria allora nemmeno immaginabile, ma, nella “loro comune tradizione umanitaria”, la garanzia ai rifugiati (all’epoca poche decine o centinaia) “di un’adeguata protezione, come previsto dalla convenzione di Ginevra del 28/7/1951 e dal protocollo di New York del 31/1/1957”.
Dopo una dozzina d’anni, consolidatasi il centralismo burocratico della Ue, la Convenzione venne sostituita, pur continuando a sussistere un certo legame dal punto di vista dei contenuti e dei richiami, il 18/2/2003, da un regolamento comunitario, il cosiddetto Regolamento Dublino II, che ne ha cambiato la natura giuridica. Difatti non si è più in presenza di un Trattato (sempre denunciabile dalle parti contraenti), ma di un atto autoritativo dell’Unione, anzi del sommo atto autoritativo, perché immediatamente efficace e vincolante per tutti gli Stati membri a differenza delle Direttive, che per acquistare efficacia debbono essere recepite, cioè da questi introdotte con legge nei rispettivi ordinamenti. Nel 2003 il mondo è molto cambiato (è già avvenuto l’attacco alle Torri Gemelle e gli Usa stanno preparando la guerra all’Iraq, la DC è scomparsa e l’Italia è retta dal governo Berlusconi II), ma la situazione immigratoria è ancora relativamente tranquilla, almeno per quanto riguarda Africa e Asia. Nel frattempo si era verificato sì, con lo sbarco nel porto di Brindisi il 7 marzo 1991 di 27.000 albanesi, il primo caso europeo di emigrazione di massa, ma quella albanese fu considerata, e tale rimane, una vicenda tutta italiana, forse perché Vittorio Emanuele III, oltre che Imperatore d’Etiopia, è stato Re di Albania o, più probabilmente, a causa della italica colonizzazione televisiva di quel paese. In ogni caso il Regolamento, pur mutato nella sua natura, nella sostanza non si discosta molto dal Trattato originario. Il riferimento è sempre alla protezione del rifugiato, cui è finalizzata anche l’assoluta prevalenza attribuita al criterio della competenza dello Stato di primo ingresso per la concessione del diritto di asilo e la successiva gestione dei rifugiati.
A Dublino II ha fatto seguito il Regolamento n. 604, Dublino III, attualmente in vigore, approvato il 26/6/2013, in contemporanea con due Direttive,“Procedure” e “Accoglienza” (l’efficacia di queste ultime è subordinata al loro recepimento), sicché è in realtà a questo che vanno rapportati i continui richiami all’applicazione del Trattato. Nel 2013 la situazione immigratoria, pur se i numeri erano di gran lunga inferiori, cominciava a presentare caratteristiche analoghe all’attuale, e, facendosene in parte carico. la nuova normativa europea mira a realizzare, alla luce anche di alcune decisioni della Corte di Giustizia dei Diritti Umani (a conferma che il punto di riferimento principale resta, nelle intenzioni, la condizione del rifugiato) un Sistema Europeo Comune di Asilo, ponendolo – è stato scritto – “come base uniforme al fine di evitare disparità nel trattamento delle persone e nell’esame delle loro domande” in quanto “gli studi effettuati negli ultimi anni mostravano ancora differenze sostanziali tra i sistemi di protezione dei diversi paesi, sia per quando riguarda le misure di accoglienza, sia relativamente alle percentuali di riconoscimento, sia rispetto alle procedure di esame della domanda”. Un risultato auspicato (da molti governi neanche tanto o per nulla), ma non conseguito. Adesso il solito duo Francia-Germania, autonominatisi diarchi d’Europa, ha preso al riguardo un solenne impegno, che, dal momento che il fenomeno migratorio li ha direttamente investiti, forse manterranno.
Francesco Mario Agnoli