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ATTACCO ALL'UCRAINA. INTERVISTA A MAURIZIO CARTA. A cura di Marcello Ciola.

Intervistiamo il saggista Maurizio Carta, autore del libro Attacco all’Ucraina edito da Sandro Teti, che ci parlerà della situazione in questo Paese martoriato ormai da tre anni di guerra civile.

A cura di Marcello Ciola.

M. Carta, ATTACCO ALL’UCRAINA, ed. Sandro Teti, 2015.

Partiamo dal significato del titolo: “Attacco” da parte di chi o cosa? Come mai è stato intitolato in questa maniera?
Le ipotesi sul tavolo erano tante, abbiamo dibattuto a lungo con l’editore Teti e con il direttore della casa editrice, Paolo Bianchi. Il nostro timore era che sei, sette mesi fa, il lettore che seguiva il main stream informativo poteva avere la sensazione che “l’attacco all’Ucraina” potesse essere da parte della Russia, anche perché così i grandi media italiani così hanno presentato la crisi. Però è pure vero che c’era poco spazio per tentare di condensare in un titolo le opinioni di dieci persone che la pensano diversamente sia sulla faccenda in sé, che sui singoli ambiti d’intervento. Per cui abbiamo deciso, su suggerimento del direttore, di dare questo titolo perché a noi sembrava che l’Ucraina fosse una posta in gioco. Volevamo suggerire che la crisi ucraina non avesse niente a che vedere con la volontà e gli umori degli ucraini; anzi, che questi fossero strumentalizzati soprattutto a beneficio di interessi esterni. Insomma, una crisi interna al Paese ma causata da forze esterne o esasperata da forze esterne.

Di chi sono quindi le responsabilità di questa crisi? Immagino che il libro non trovi una risposta univoca in questo senso.
Il libro ha diversi punti di vista ma tutti gli autori sono concordi nel dire che un’Ucraina dentro la NATO e forse anche dentro l’Unione Europea (UE) non riflette gli interessi degli ucraini ed esaspera il confronto della Federazione Russa con queste due organizzazioni. In più, tutti gli autori sono concordi nel dire che l’Ucraina dovrebbe seguire una vocazione neutralista. Almeno oggi, né con l’Unione Euroasiatica, né con l’UE/NATO. Partendo da questo punto di vista si potrebbe capire già meglio quali sono le responsabilità di questa crisi: è una crisi ai confini della Federazione Russa, che ha a che vedere con dinamiche più complesse; su questo invito a leggere l’intervista a Caracciolo e il saggio del Prof. Calzini, che spiegano benissimo che l’Ucraina è la pedina fondamentale di una riedizione del famoso “Grande Gioco” del XIX secolo.
I fattori possono essere tanti. Innanzitutto esistono dei fattori di debolezza interna: non bisogna mai dimenticare che l’Ucraina ha perso un ventennio, che è il Paese con le peggiori performance economiche tra quelli dello spazio post-sovietico. Nessun Paese ex-sovietico soffre di un mancato sviluppo come l’Ucraina, ed è sorprendente perché non era sicuramente uno dei pezzi meno importanti dell’URSS.

A tuo parere, la Russia ha delle responsabilità? Si è mostrata in qualche maniera impreparata o negligente nei confronti della crisi?
Su questo esistono molti punti di vista, anche dentro il libro: c’è chi dice come il Professor Calzini che il limite della Russia sia stato nell’accettare, per molti anni e per calcoli di convenienza politica, che l’Ucraina non fosse un soggetto politico forte e che alla fine potesse essere cooptata all’interno dell’Unione Euroasiatica come una pera matura che cade dall’albero. C’è chi dice, come Lucio Caracciolo, che in realtà un’Ucraina nella sfera di influenza occidentale è per la Russia una perdita tout court: Mosca si è ricongiunta con la Crimea ma ha perso tutta l’Ucraina, e questo non è un gran guadagno. Poi c’è chi, come me, pensa che in realtà la crisi ucraina sia il risultato non voluto di scelte perseguite. A me sembra che Putin certe volte pecchi di eccessivo realismo politico. Quando il Presidente russo, a metà dicembre del 2013, incassa l’accettazione da parte dell’Ucraina del pacchetto di aiuti pari a 15 miliardi di dollari, consegnando in fretta la prima tranche il 20 dicembre (sono i 3 miliardi che ballano oggi), dà le cose ormai per fatte: mi riferisco all’adesione di Kiev al progetto di Unione Euroasiatica, che infatti partirà 6 mesi dopo. La protesta di piazza, ormai montante ed entrata nel vivo, viene molto sottostimata. La considerazione che fa il Cremlino è semplice: l’Ucraina ha una convenienza oggettiva ad accettare l’aiuto della Federazione russa. Quei fondi sono la stampella in grado di tenere a galla il Paese (tanto è vero che successivamente l’Ucraina ne ha chiesto una cifra speculare al Fondo Monetario Internazionale). In quel momento – siamo alla vigilia dei Giochi di Soči – Putin ha probabilmente avuto la prematura sicurezza di esser riuscito a ricostruire il vecchio spazio geopolitico dell’URSS.
Il limite è stato nel non capire che questo passaggio non era affatto un tratto di strada qualsiasi: era una scelta di campo importante, rispetto alla quale buona parte del Paese non stava con Janukovyč. E poi, da anni, erano in piedi trattative per aderire il Trattato di Associazione con l’UE, anch’esso ritenuto fondamentale. La politica non sempre segue dinamiche del tutto razionali.

Abbiamo parlato del debito ucraino con la Russia. Una cifra simile è stata chiesta al FMI che recentemente pare abbia dichiarato che per avere il prestito non è necessario estinguere il debito con la Federazione Russa, andando praticamente contro alle regole di condotta del FMI…
Le cose sono andate più o meno così: prima del caso dei 3 miliardi di dollari da restituire alla Federazione russa, somma per la quale l’Ucraina è ora insolvente, era impossibile che il FMI concedesse un prestito a una nazione che era a sua volta già insolvente rispetto a un’altra nazione. Questo principio è saltato, perché il FMI si è detto favorevole a foraggiare l’Ucraina anche nel caso in cui quest’ultima risulti insolvente nei confronti di un altro Stato (in questo caso la Russia). È una cosa molto grave anche perché la Russia ha proposto un compromesso davvero ragionevole: un piano di risarcimento in tre anni che contemplava unmiliardo di dollari l’anno (le scadenze a dicembre 2016, 2017 e 2018). Contestualmente Mosca chiedeva però garanzie al FMI e agli alleati occidentali di Kiev. L’Ucraina ha detto no.

Non converrebbe a nessuno elargire un ulteriore prestito a uno Stato insolvente se non per interessi politici che esulano da quelli economici (in quanto l’Ucraina è praticamente in default).
È uno Stato in default e soprattutto è uno Stato che ha una bassa sostenibilità dei suoi debiti. Stranamente quello che sento poco sottolineare dai commentatori è che l’Ucraina sia uno dei Paesi più poveri dello spazio post-sovietico (come detto) e dell’Europa. Il Paese ha un prodotto interno lordo (PIL) di appena 177 miliardi di dollari e nel momento in cui ne deve restituire 15 o 17, va ovviamente in difficoltà. L’estrema povertà e le enormi disuguaglianze sociali sono le costanti ucraine degli ultimi 20 anni. Al governo sono andate maggioranze espressioni di diverse parti del paese ma il modo di muoversi è stato sempre lo stesso: mercanteggiare l’appartenenza a un campo o all’altro (Federazione russa e Occidente) per ottenere favori sotto forma di linee di credito, rendite (passaggio dei gasdotti) o materie prime a basso costo. Un po’ poco per pensare a un futuro degno.

Ci sono state da poco le elezioni amministrative. Cosa suggerisce il risultato di queste elezioni?
Suggerisce innanzitutto che l’elettorato ucraino è disintegrato, nel senso che l’affluenza alle urne è sotto il 50% (al secondo turno spesso siamo al di sotto del 35%). Diciamo dunque che l’elettorato attivo è molto ridotto e quando si verifica questa situazione è quasi sempre un elettorato organizzato per gruppi di interesse. Non è un caso che la politica ucraina sia in mano a diversi oligarchi. Poi, in generale, possiamo dire che c’è un blocco dell’opposizione che nel sud-est del Paese è ri-diventato maggioranza e che c’è la solita spaccatura politica tra regioni occidentali e regioni sud-orientali. In generale, trovo singolare che in un periodo di forte mobilitazione e travaglio sia cresciuto l’astensionismo. Solitamente avviene il contrario. Se consideriamo che fino al 2007 l’affluenza alle urne sfiorava il 70%, dobbiamo concludere che c’è una forte disaffezione alla politica.

Il conflitto a che punto è arrivato?
È al momento congelato. C’era fino a qualche tempo fa il problema di Gorlovka che era sotto bombardamenti della Guardia Nazionale. Da qualche tempo sostanzialmente non si spara più. Dopo Minsk II (febbraio 2015) si è sparato fino a settembre/ottobre scorsi. Ora si è creato un confine piuttosto certo e l’esercito delle Repubbliche di Doneck e Lugansk fa di tutto per mantenerlo tale. Nessuno dei contendenti è nella posizione di riaccendere la miccia, seppure è quello vorrebbe qualche esaltato. La situazione economica è così disastrosa che appare improbabile una riapertura delle ostilità. Anche i principali sponsor dei due schieramenti (USA e Russia) non hanno per niente voglia di ricominciare la guerra by proxy. La situazione è dunque congelata anche se gli accordi di Minsk non sono rispettati, perché andrebbe modificata la costituzione in senso federalista (e non è stato fatto), andrebbero realmente ritirate le armi pesanti dal fronte (fatto in maniera molto parziale), eccetera. Il destino di quelle terre si giocherà su altri tavoli.

Sembra che l’attenzione si sia spostata di nuovo sulla Crimea dopo il taglio dell’energia elettrica proveniente dall’Ucraina.
Quello è stato un atto di vandalismo perpetrato dai soliti noti di Praviy Sektor. Ricordiamo che la Crimea ha anche un serio problema di approvvigionamento idrico e che questa complicazione è stata uno dei fattori che ha condizionato la scelta di Chruščëv di cedere il governo della regione alla RSS di Ucraina. Oggi sembra che la Federazione Russa ne sia uscita fuori ripristinando la distribuzione di acqua ed elettricità in tutta la penisola. Si andrà avanti così fino a quando queste forze estremiste non saranno marginalizzate.

Quindi nel medio periodo non c’è una soluzione definitiva per questa regione.
Sono convinto che sia il Donbass che la Federazione Russa pensano che il tempo lavori per loro. Il problema è a Kiev, perché lì c’è un governo con poca presa popolare, che non ha risolto i problemi atavici dell’Ucraina (corruzione, burocrazia eccetera): un governo alla canna del gas dal punto di vista della finanza pubblica e che sta facendo pagare la crisi alle classi popolari. L’ultimo report della Banca Mondiale (BM) dice che l’inflazione dell’Ucraina quest’anno è al 46%. Senza rivalutazione dei salari e delle pensioni significa che il grosso sulla crisi viene scaricato sui ceti popolari. Il Paese ha un settore agricolo ancora importante per cui i ceti bassi hanno ancora gli strumenti per sopravvivere, se fosse un’economia più avanzata ci sarebbero problemi ancora maggiori. Il PIL nel 2015 è crollato del 12% e per il 2016 le previsioni della BM dicono che ci sarà una crescita di appena l’1%. Per un Paese che ha il PIL dell’Ucraina è una crescita praticamente nulla. Come detto l’Ucraina ha 177 miliardi di dollari di PIL, la Grecia 240 milioni di dollari; la prima ha 45 milioni di persone (almeno nominalmente, senza far la tara di Crimea e Donbass), la seconda 11 milioni di abitanti, questo vuol dire che la disastrata Grecia, pecora nera dell’UE, ha una dinamica del debito pubblico molto meno preoccupante di quella dell’Ucraina. E anche se il Paese fosse unito, l’apparato industriale del Donbass (fiore all’occhiello della vecchia Ucraina) è decotto e senza l’energia a basso costo fornita dalla Russia non sta sul mercato. Questo spiega, tra l’altro, perché la guerra messa su dalle milizie delle Repubbliche di Doneck e Lugansk sia una guerra di resistenza e di sopravvivenza: non avevano alternative.

L’Ucraina potrebbe salvarsi?
Il Paese potrebbe anche salvarsi ristabilendo rapporti di normalità con la Russia. Questo non vuol dire entrare nell’Unione Euroasiatica, significa semplicemente non distruggere i rapporti con il proprio principale partner commerciale, nonché con il soggetto interessato a tenere in piedi l’Ucraina per il semplice fatto d’essere terra di passaggio di gasdotti. Anche gli americani ultimamente hanno lamentato che a seguito del cambio di governo non è stato fatto nulla affinché il Paese venisse normalizzato (anche solo dal punto di vista della corruzione e dello strapotere degli oligarchi). Il problema è che soffiando sul fuoco della crisi, gli americani non si sono interrogati circa le sue conseguenze. Ora il quadro politico è molto mobile ed è chiaro che questo è un governo in difficoltà. Oltretutto questi esponenti politici li abbiamo già visti all’opera e ne conosciamo lo spessore: vorrei ricordare che Porošenko era già stato ministro, che Jacenjuk e Tymošenko fanno politica da vent’anni e sono quindi corresponsabili del disastro ucraino.

E come possiamo valutare Janukovyč?
Janukovyč era al capolinea! Quando dico “risultati non voluti di scopi perseguiti”, voglio dire che prima dello scoppio della crisi (inizio 2013), molti sondaggi già davano Janukovyč perdente al ballottaggio contro tutti i leader dell’opposizione fatta eccezione per Tyahnybok, leader di Svoboda. Quindi la crisi nasce in un momento in cui il Partito delle Regioni e la compagine di governo sono in fase discendente. La grande responsabilità dell’Europa (e lo dice anche il Prof. Aldo Ferrari nel suo saggio) è stata nel non scegliere il ruolo di arbitro ma nel prendere le parti di una componente politica rispetto all’altra. L’UE andando dietro i diktat statunitensi non ha reso un grande servizio agli ucraini, i quali avevano bisogno di tutto tranne che di una guerra civile con 9.000 morti del tutto inutili. È anche assurdo che l’Europa non abbia detto niente sui continui bombardamenti dell’esercito fedele a Kiev nel Donbass. L’artiglieria non ha dispensato chiese, ospedali, quartieri popolari, fermate di bus pubblici, eccetera. È un conflitto che contiene tantissime tragedie e meschinità: mi riferisco alla sospensione dell’erogazione delle pensioni agli anziani dei territori ribelli. Nei villaggi, moltissimi vecchi hanno dovuto mettere insieme dall’oggi al domani la cena con la colazione. Parliamo di un Paese nel quale da tempo esiste una frattura latente ma che non è mai arrivato a questo punto. Quante famiglie ucraine parlano ogni giorno russo? Quante hanno un parente in Russia? È un conflitto totalmente artificioso in cui non esistono i reali motivi dello scontro.

Come ne escono gli Stati Uniti da questa situazione?
Gli Stati Uniti sono nella posizione più comoda perché sono dall’altra parte del planisfero, però rischiano da due punti di vista. In primo luogo, il tentativo di far cambiare pelle al Paese è fallito e come dice il Professor Calzini è stata una fortuna: questa maggioranza avrebbe potuto governare il sud-est dell’Ucraina solo attraverso uno spietato regime di occupazione. Quindi è stato un bene che la popolazione locale abbia resistito, perché probabilmente in tal modo sono stati evitati molti morti. L’altro punto di vista è economico: gli USA hanno probabilmente ipotizzato ingenti investimenti nello shale gas ucraino. Ora rischiano di perdere tutto perché con l’attuale prezzo del barile lo shale gas non conviene estrarlo. L’Ucraina è un Paese senza asset e, quindi, senza interessi strategici che lo sostanziano. Poi, se si ricuce l’asse Berlino-Mosca, gli Stati Uniti ne escono danneggiati anche dal punto di vista geopolitico. Gli Stati Uniti ci hanno messo la faccia e hanno fortemente sponsorizzato il governo in carica. Se l’attuale maggioranza perde la sfida della ricostruzione gli USA perdono la faccia anche tra la stessa opinione pubblica ucraina. È vero che non vi sono notevoli perdite economiche ma questa, ricordo, è una delle crisi in cui le motivazioni economiche sono le più difficili da scorgere.

Un’ultima cosa da aggiungere sul libro?
Sì, rispetto agli altri testi usciti sul tema, “Attacco all’Ucraina” è l’unico che ha un’esposizione completa degli eventi fino al maggio 2015. Gli altri testi sul mercato sono spesso solo di analisi. Nel nostro libro abbiamo invece voluto dedicare molto spazio alla cronaca, un elemento che spesso altrove latita. Senza conoscere i fatti è difficile farsi una opinione. Ho monitorato personalmente centinaia tra siti, giornali e blog, mettendo insieme tutte le notizie possibili. In tal modo abbiamo cercato di rendere la crisi più intellegibile e chiara. Da segnalare inoltre i saggi del Professor Cardini e del Professor Ferrari, che tratteggiano le profonde radici storiche del conflitto ucraino.

Ringrazio Maurizio Carta a nome di tutta la redazione di Domus Europa

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