Scandalo petrolio in Basilicata. I signori degli idrocarburi all’attacco del Belpaese
L’oro nero che condiziona l’Italia
Giuseppe Oddo è autore con Andrea Greco del libro “Lo Stato parallelo” (Chiarelettere)
Lo scandalo petrolio in Basilicata accende i riflettori sulle multinazionali dell’oro nero in grado di condizionare la politica e la pubblica amministrazione. Abbiamo intervistato Giuseppe Oddo, autore con Andrea Greco del libro “Lo stato parallelo” (Chiarelettere), un’inchiesta sull’Eni, “uno Stato nello Stato”, che ha impegnato i due giornalisti per quasi cinque anni. Oddo (già inviato del “Sole 24 Ore”) e Greco (vice caposervizio a “la Repubblica”) hanno interpellato ex funzionari, addetti ai lavori, politici, studiosi, verificando minuziosamente bilanci e documenti di ogni tipo, anche privati. Il risultato? Uno spaccato sull’Italia degli ultimi sessant’anni, che va dalla Dc di Fanfani e le aperture di Moro alle giravolte di Berlusconi, miglior alleato di Vladimir Putin.
Il petrolio condiziona la politica in Italia?
“È inevitabile. È così da sempre, ancora prima che nascesse l’Eni. I grandi monopoli privati e le grandi compagnie americane come la Esso fecero di tutto, nel dopoguerra, per impedire la nascita dell’Eni e per fare in modo che lo Stato regalasse i giacimenti di metano della Val Padana alle varie Esso, Edison e Montecatini. Il petrolio e il gas continuano ad essere, nonostante l’avanzata delle energie rinnovabili, le fonti di energia prevalenti su scala mondiale e sono indispensabili per un paese come l’Italia che dispone ancora oggi di una delle industrie manifatturiere più importanti d’Europa.
Le inchieste della Procura di Potenza sul Centro olii di Viggiano e Tempa Rossa avranno ripercussioni sul Governo nazionale?
Le stanno già avendo. Il ministro Maria Elena Boschi dovrà rendere conto, non solo alla magistratura penale ma anche al Parlamento, del perché di un emendamento fatto rientrare dalla finestra perfavorire gli interessi del compagno della ex ministra Guidi. Il problema è anzitutto politico. Renzi dice che era un atto dovuto, quello della Boschi. Lo spieghi in parlamento. Purtroppo, le vicende su Banca Etruria hanno messo in luce un intreccio familistico all’interno del governo, tra padri, figli e amici dei figli, che non giova alla sua reputazione.
Il petrolio sembra essere la fortuna ma anche la maledizione di certa classe politica… In Brasile lo scandalo Petrobras ha messo nei guai l’ex presidente Lula e l’attuale presidente Rousseff. In Italia potrebbe succedere lo stesso, viste le inchieste in Basilicata?
È difficile fare paragoni tra due paesi così diversi. In Italia nel 1992 è esplosa l’inchiesta “Mani pulite”, di cui i fondi neri dell’Eni gestiti dalla Karfinco sono stati il capitolo principale. Forse oggi il Brasile sta vivendo una stagione simile. Credo però che Renzi, più che le ripercussioni giudiziarie, debba temere i contraccolpi politici dell’inchiesta di Potenza: il fatto che l’iniziativa della magistratura sia caduta nel momento peggiore per il governo, ad appena quindici giorni dal referendum anti-trivelle. Molti elettori che non sarebbero andati alle urne di certo ci ripenseranno, anche se i fautori del “no” sono tuttora in netta superiorità mediatica.
Come dovrebbero essere gestiti i rapporti tra Stato e multinazionali operanti in settori strategici, come quelli degli idrocarburi?
Lo Stato dovrebbe agire nell’interesse della collettività senza lasciarsi condizionare dal potere dell’Eni e delle multinazionali in genere. Lo Stato non può identificarsi con l’Eni, è qualcosa di molto più vasto, né l’Eni può pensare di surrogare funzioni statuali o di governo come la politica estera e la politica energetica. I problemi originano da questa commistione. Il governo ha un suo potere di indirizzo sull’Eni e lo Stato in quanto azionista deve controllarne l’operato, ma nel rispetto dell’autonomia dell’impresa. Allo stesso modo l’Eni non può pensare di piegare lo Stato ai propri interessi. La storia ci dimostra che i buoni risultati dell’Eni sono coincisi con un corretto rapporto istituzionale da parte del governo. L’Eni è rinata dopo il ’92 quando, con la trasformazione dell’ente pubblico in società per azioni, fu nominato un nuovo management, reciso il legame con la politica, che generava corruzione, e rilanciata l’iniziativa industriale su scala internazionale. Quando la politica è ritornata a invadere gli spazi dell’impresa, come nel periodo berlusconiano, l’Eni ha ricominciato a peggiorare i risultati al di là del crollo dei prezzi del petrolio e a svolgere compiti impropri. Anche Renzi tende a immischiarsi negli affari esteri dell’Eni sponsorizzando, soprattutto dopo la crisi Ucraina, un asse energetico Nord-Sud tra Europa e Africa in contrapposizione a quello storico Est-Ovest tra Russia e Europa. Sono stati tuttavia manifestati dubbi sulla effettiva convenienza e percorribilità di un distacco dalla Russia in campo energetico.
Spesso si dice che l’oro nero è causa di crisi internazionali, anche guerre, e crisi politiche. È solo un luogo comune?
L’accesso e il controllo delle fonti di energia è da sempre fonte di conflitti, soprattutto in Medio Oriente, dove si concentrano le più grandi riservedi petrolio a basso costo di produzione. Lo abbiamo visto, senza andare tanto lontano, dopo i fatti del 2001 con l’intervento armato in Afghanistan e successivamente in Iraq, e più recentemente con la primavera araba e la disintegrazione della Libia. Il filo conduttore di tutte queste crisi èstato il petrolio. Ma non bisogna pensare solo alle guerre. La Russia di Putin ha usato il gas come arma di pressione e di ricatto per cercare di riconquistare il ruolo di grande potenza nei confronti dell’Occidente, perduto con la dissoluzione dell’Urss. Si è servita del gas per tenere sotto scacco sia i paesi dell’Unione europea, grandi consumatori di metano, sia gli ex Stati satelliti come l’Ucraina, il Turkmenistan, la Georgia, per impedirne lo sganciamento economica e militare da Mosca.
Gennaro Grimolizzi