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TRA LEGGE E TRADIZIONE. LA BATTAGLIA DELLA PIANA DEI MERLI. Di Nicolò Dal Grande

“Sono le ballate e non le leggi a costruire le nazioni”, ebbe a dire nel 1704 Andrew Fletcher, quando la sua Scozia batteva gli ultimi respiri come Regno indipendente, prima di essere annessa definitivamente al governo di Londra (1707). Una potente affermazione quella dell’esule avvocato scozzese, che sottolinea esplicitamente due diverse concezioni di “patria”; quella “stabilita dalla legge”, poggiante sull’etica liberale e sull’idea di Stato-nazione moderno, dove l’individuo “singolo” è chiamato a stringere legami con altri individui “singoli” della sua comunità nel formare le strutture atte a governarla, e quella “dell’essere” – in senso filosofico del termine –, fondante su un legame ontologico dell’individuo con la sua terra di appartenenza, alla tradizione trasmessa cui fa riferimento, ai membri della sua comunità e alle strutture che da sempre la reggono. Concezione quest’ultima che ancora oggi è alla base del patriottismo del popolo serbo, poggiante sulle ballate e i canti che da secoli sono tramandati di generazione in generazione; una tradizione che da secoli si rispecchia in un evento storico che segnò i destini della Serbia e dei Balcani per centinaia d’anni: la Battaglia della Piana dei Merli del 1389.

     In Serbi, Croati, Sloveni. Storia di tre nazioni, J. Pirijevec introduce la storia serba con una delle leggende che da secoli questo popolo si tramanda, l’incontro alla vigilia della decisiva battaglia contro il turco ottomano tra il principe Lazar Hrebeljanović e Sant’Elia, latore di un messaggio della Madre di Dio, che poneva il condottiero serbo innanzi alla scelta tra la vittoria e la gloria terrena o la sconfitta e la gloria nei cieli per lui e il suo popolo. Il principe, conscio della caducità delle cose terrene, avrebbe scelto la sconfitta, lasciando “[…] l’esaltante consapevolezza di aver testimoniato col proprio sacrificio la redenzione di Cristo, ma nel contempo un sottile, struggente rimpianto per il Regno terreno, e la determinazione di riconquistarlo per congiungere i due regni nello splendore di una sola vittoria”[1].

     Nella memoria collettiva del popolo serbo, la battaglia della piana dei merli rappresenta “l’avvenimento”, lo spartiacque tra la grandezza del Regno medievale e la cattività sotto l’ottomano; la fine di un glorioso passato e il principio del cammino per riconquistarlo. La storia dell’antico Regno di Serbia vide le proprie origini nel VII secolo d.C., con l’invasione dei Balcani – facenti parte dell’Impero romano d’oriente – per opera dei popoli avari e degli slavi loro alleati; dovettero passare secoli di contese, di formazione e dissoluzioni di piccoli regni, di confronti e guerre contro i potenti vicini bizantini, ungheresi e bulgari affinché una compagine stabile prendesse forma nel turbolento universo balcanico. Fu tra il XII e il XIV secolo che i serbi, sotto la dinastia dei Nemanja, convertiti da tempo al cristianesimo ortodosso, edificarono il loro Stato che, dal nucleo originario nel Montenegro e nel Kosovo – sede del Patriarcato di Peç, dal 1349 suprema autorità religiosa per i serbi – , giunse ad estendersi dal Danubio al Golfo di Corinto, eccellendo nelle arti e nella cultura. Fu proprio all’apice della grandezza che il Regno serbo venne a confrontarsi con il nascente Impero ottomano.

     Reso debole dall’estinzione della casata dei Nemanja e dalla  divisione dei territori, nel 1371, con la vittoria a Marica, gli ottomani penetrarono in profondità minacciando l’intera penisola. Fu allora che l’ultimo dei principi serbi indipendenti, Lazar, si unì in alleanza con Tvrtko I Kotromanić, sovrano della Bosnia, Regno orbitante attorno la corona d’Ungheria. Il 28 Giugno 1389, gli eserciti serbo-bosniaco e ottomano si sfidarono nella piana dei merli.

     Il resoconto della battaglia e il suo svolgimento, data la scarsezza di fonti attendibili e di dati storici reali, ci viene descritto nel grandioso ciclo epico dei racconti tramandanti la storia di un duello tra le forze del bene cristiane e quelle degli infedeli islamici. Lo scontro vide contrapposti 25.000 cristiani contro un esercito di 40.000 tra turchi e vassalli alleati – tra cui molti cristiani –; durò una giornata, durante la quale le forze slave seppero tener testa valorosamente all’invasore, uscito vittorioso solo grazie al tempestivo supporto di rinforzi e – secondo la vulgata – al tradimento del genero di Lazar, Vuk Branković. Caddero in quella giornata sia il principe Lazar, catturato e decapitato, che il sultano Murad I, ma soprattutto perì in battaglia l’intera aristocrazia serba.

     Kosovo Polje fu decisiva; la distruzione dell’aristocrazia serba rese impotente ciò che restava del Regno; ne approfittarono gli ottomani per occupare e colonizzare la Macedonia e gli ungheresi per annettersi l’area settentrionale; tra gli inizi del XV e la prima metà del XVI sec., gli ottomani avrebbero completato la conquista dei Balcani, giungendo a minacciare Vienna. Da allora per il popolo serbo, la battaglia rappresenta il fulcro della tradizione; incarna l’inizio di tutte le sventure della Serbia e della soggezione ai turchi ottomani, ma anche l’inizio della speranza e della resurrezione, nella consapevolezza che Dio, per il sacrificio di Lazar – santo per la Chiesa ortodossa – e dei nobili serbi, avrebbe un giorno liberato il popolo dalla schiavitù.

     La Battaglia della Piana dei Merli non è solo un evento storico: è il cuore della tradizione serba. E inevitabilmente, unito alla tradizione religiosa del patriarcato di Peç e delle origini dell’antico Regno, è alla base delle rivendicazioni dello Stato serbo nei confronti della neonata Repubblica del Kosovo, sorta nel 2011 sotto protezione dell’Onu, in una terra che, dal XVIII secolo, ha visto l’elemento etnico serbo venire scacciato dal turco in favore della migrazione dell’elemento albanese, nel tentativo di contenere la riconquista europea dei Balcani, iniziata sul finire del XVII secolo. Una contesa lungi dall’essere risolta facilmente e che, ancora una volta, pone di fronte i concetti di “patria” per la legge e “patria” dell’essere, che ora si confrontano sul suolo dove, secondo la tradizione, un fiore purpureo nasce laddove un giorno di seicentoventicinque anni fa,  Lazar e i suoi cavalieri versarono il sangue per la Serbia e la cristianità.

Nicolò Dal Grande

[1] Pirijevec J., Serbi, Croati, Sloveni. Storia di tre nazioni, Bologna, Il Mulino, 2002, pag 11.

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