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INVITO LUDWIG WITTGENSTEIN. LA GUERRA, LA PRIGIONIA, IL “TRACTATUS”.

La Biblioteca Archivio del CSSEO organizza a Trento, mercoledì 4 novembre, alle ore 17,30, nella “Sala degli Affreschi” della Biblioteca comunale (Via Roma 55), l’incontro-dibattito “Ludwig Wittgenstein. La guerra, la prigionia, il Tractatus”.

Interviene Massimo Libardi.

Nella grande mostra viennese “Traum und Wirklichkeith: Wien 1870-1930”, il visitatore che attraverso le varie sale giungeva a quella dedicata alla Grande guerra si lasciava alle spalle le note del “Bel Danubio blu” che sfumavano in rumori di scoppi ed esplosioni, colpi di fucile, grida dapprima lontane e confuse poi più vicine e improvvisamente si trovava di fronte la grande tela “Die Namenlosen 1914” di Albin Egger Lienz. Quadro che con le sue schiere compatte di contadini e operai vestiti da soldati che avanzano, piegati sotto un cielo vuoto e persi in una landa deserta, è forse la più realistica rappresentazione dei combattenti nella Grande guerra. Nel corridoio che univa le due sale della Künstlerhaus, al centro di una sorta di garitta di cemento, sopra un piedistallo grezzo vi era una teca al cui interno si trovava un cuscino di raso illuminato da una lampadina penzolante da un semplice filo elettrico. Sul cuscino era posto il dattiloscritto del “Tractatus”. L’allestimento, in modo visivamente efficace, metteva in luce il rapporto tra guerra e “Tractatus”.

Per molti scrittori il periodo passato al fronte è stato cruciale nella loro formazione: un esempio paradigmatico, per restare nell’ambito della cultura tardo-asburgica, è quello di Robert Musil. Si tratta di un riferimento non peregrino perché tra l’autore de “Luomo senza qualità” e il filosofo viennese esistono molteplici punti di contatto. Proprio come la Grande guerra è un’esperienza fondamentale per la genesi del capolavoro musiliano, allo stesso modo segna in modo indelebile la composizione del “Tractatus”. Se fino alla guerra Ludwig Wittgenstein era stato un uomo “del tutto estraneo alla società umana” e concentrato sui problemi dei fondamenti, questa nuova realtà lo mette di fronte a problemi che riguardavano l’ambito della religione e dell’etica: iniziato come un libro sulla logica il risultato è un libro il cui nucleo è l’etica.

In una famosa lettera a Ludwig von Ficker, l’editore del “Brenner”, cui si era rivolto per la pubblicazione del “Tractatus”, Wittgenstein da per scontato che il suo interlocutore non fosse in grado di capirlo, cerca di dargli una chiave di lettura. Nella prefazione – così scrive – avrebbe dovuto esserci “una proposizione, che ora di fatto lì non c’è, ma che io ora scriverò per Lei […]. In effetti io volevo scrivere che il mio lavoro consiste di due parti: di quello che ho scritto, ed inoltre di tutto quello che non ho scritto. E proprio questa seconda parte è quella importante. Ad opera del mio libro, l’etico viene delimitato, per così dire, dall’interno; e sono convinto che l’etico è da delimitare rigorosamente solo in questo modo.

La stesura del “Tractatus” coincide con il periodo bellico. Quando scoppia il conflitto gran parte delle tesi logiche sono pressoché definitive, anche se Wittgenstein continuerà a ragionare intorno ai problemi della logica fino alla metà del 1916, ma tutte le riflessioni che riguardano l’etica, l’estetica, Dio e il mistico – che nel “Tractatus” iniziano dalla proposizione 6.9, che segna un cambiamento di tonalità dell’opera – sono elaborate al fronte. Questi sono i passi che rendono unico e per molto tempo indecifrabile il “Tractatus, che a questo punto non è più un trattato di logica (aspetto sempre negato dall’autore e sostenuto ad esempio dai suoi lettori del Wiener Kreis), ma uno dei più importanti testi filosofici del Novecento

Dopo aver combattuto sul fronte orientale, in seguito all’armistizio con la Russia, viene trasferito sull’Altopiano dove parteciperà all’offensiva di primavera e dove sarà catturato e inviato nel campo di prigionia di Cassino. Quando viene rilasciato torna a Vienna, ma ora è un uomo profondamente cambiato. La fine della guerra e il ritorno dalla prigionia corrispondono a due decisioni radicali: la scelta di diventare maestro elementare e quella di spogliarsi della ingente fortuna ereditata dal padre. Tornato a casa si libera del proprio patrimonio: d’ora in poi vivrà di una povertà francescana rifiutando il superfluo, vestendo decorosamente ma con estrema semplicità, abitando tra pochi mobili essenziali e nessun oggetto che non fosse strettamente utile. Il 16 settembre inizia un corso per diventare insegnante elementare. Continuerà a indossare l’uniforme anche dopo la fine della guerra, anche Wittgenstein fa parte della schiera degli ‘uomini inattuali postumi’ che non sono in sintonia con “la corrente della cultura europea”, né hanno “comprensione verso i suoi fini”: “Io scrivo quindi veramente per amici dispersi negli angoli del mondo”.

Il suo pensiero era fortemente radicato nella complessità linguistica e culturale del mondo asburgico e in “Pensieri diversi” sono numerose le osservazioni sulla mentalità dell’ebraismo mitteleuropeo. Come per molti sudditi del grande impero danubiano il suo crollo rappresentò la fine di un mondo e l’affermarsi della civiltà tecnologica e industriale che avrebbero portato a una inevitabile decadenza: “Non è insensato, ad esempio, credere che l’era scientifica e tecnica sia l’inizio della fine dell’umanità; che l’idea del grande progresso sia un abbaglio, come anche quella che si finisce per giungere alla conoscenza della verità; che la conoscenza scientifica non arrechi nulla di buono o di desiderabile e che l’umanità, mirando ad essa, cada in una trappola. Non è affatto chiaro che non sia così”.

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