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CHE COSA E' IL DISTRIBUTISMO E CHE COSA NON E'.

Médaille J.C., “Distributismo. Una politica economica di equità e di equilibrio”, Edizioni Lindau.

Capita spesso che quando si parla di distributismo la gente rimanga un po’ spiazzata, non conoscendo il termine. La maggior parte intende, estrapolando un possibile significato dal nome, che sia qualcosa che abbia a che fare con qualcuno che distribuisce qualcosa a qualcun’altro. E la cosa rimane nel vago.
Certamente il distributismo non è questo.
Che cosa veramente è, allora?
Il distributismo nasce nella prima metà del secolo scorso in Inghilterra. I suoi fondatori sono tre personalità importanti del mondo politico-culturale di allora: G.K.Chesterton, H.Belloc e padre McNabb.
Che cosa proposero e propongono? In estrema sintesi, due premesse e quattro direttive chiare.
Prima premessa: mettere da parte le ideologie e fare appello, per quanto riguarda l’agire economico-politico-sociale, alla ragionevolezza ed al senso comune. Immediata conseguenza: l’economia non si deve occupare solo di fare quadrare bilanci contabili ma di garantire alle famiglie ed a chi lavora un’esistenza umana e dignitosa basata sulla giustizia sociale. Economia, giustizia e politica sono quindi intimamente connesse.
Seconda premessa: l’uomo è un essere sociale che si realizza in un contesto di relazioni con il proprio prossimo a vario livello: famiglia, lavoro, Stato. A ciascun livello si devono creare le condizioni per una convivenza ottimale tra le persone. Ciò che caratterizza l’uomo è anche la sua libertà creativa, che deve essere perciò potenziata al massimo. Tale libertà non è solo una libertà da ma soprattutto una libertà di: libertà di avere una famiglia, di avere un lavoro, di essere tutelato dallo Stato rispetto ai propri diritti fondamentali contro l’arroganza del più forte.
Prima direttiva: la famiglia è una società naturale che consente all’uomo di crescere e di formarsi. Tale società naturale deve essere tutelata e garantita dagli ordinamenti legislativi, soprattutto nella sua indipendenza economica.
Seconda direttiva: la proprietà privata è un bene essenziale che consente all’uomo di sviluppare le proprie potenzialità in maniera libera e creativa e non servile. E’ di fondamentale importanza quindi che si creino le condizioni per una sua massima diffusione tra la popolazione. Questo consentirà anche una massima resa della proprietà e dei beni, perchè nulla come l’occhio del padrone può ingrassare il cavallo. Per ottenere questa massima diffusione c’è una sola strada: favorire l’unione tra capitale e lavoro, favorire cioè che chi lavora possa anche diventare proprietario dei mezzi di produzione. In questo modo si potrà continuare a beneficiare del capitale ma si metterà al bando una volta per sempre il capitalismo, la cui essenza è proprio la separazione tra capitale e lavoro. In questo modo il lavoro tornerà ad essere un mezzo di realizzazione dell’individuo e la sua qualità ed il suo senso nell’orizzonte esistenziale della persona tornerà ad essere predominante, favorendo una crescita di ricchezza umana e produttiva reale. Il profitto e la speculazione verranno sostituiti dalla remunerazione, che è il giusto compenso per il proprio operato e non avranno più un ruolo trainante come purtroppo succede oggi. Il perenne conflitto tra capitale e lavoro, fonte di secolari ingiustizie e di costanti e gravissime sperequazioni sociali, verrà risolto dal basso. Si giungerà ad una situazione di stabilità ed equilibrio economico, in cui ci sarà sempre chi può produrre e chi può comprare. In questo modo l’iniziativa e le capacità del singolo verrano utilizzate al massimo ed il merito tornerà ad essere al centro dell’agire economico-sociale, fatta salva la tutela e la solidarietà verso i più deboli.
Terza direttiva: l’uomo realizza la sua libertà anche attraverso il lavoro in un preciso contesto sociale e territoriale. Perchè il lavoro sia un’occasione di libertà, chi lo esegue deve essere in grado di potere partecipare alla decisioni di tutte le questioni concrete che lo caratterizzano: formazione, definizione degli standard quantitativi e qualitativi di produzione e dei servizi offerti, onorari minimi e massimi, tassazione, tutela previdenziale e pensionistica e quant’altro. E’ necessario quindi che si creino dal basso dei contenitori in cui questo tipo di discussione avvenga e prenda forma. Stiamo parlando del principio corporativo. Il principio corporativo, cioè l’aggregazione di persone per comparto lavorativo condiviso, al di là di ogni divisione di classe, deve pertanto essere ripreso e imporsi come modalità prevalente di rappresentanza democratica, sostituendo la ormai desueta ed inefficiente rappresentanza di tipo partitico. Il lavoratore-proprietario deve essere messo nelle condizioni di decidere le cose concrete del suo lavoro, non di votare una volta ogni cinque e demandare il tutto a dei funzionari di partito, vulnerabili ai condizionamenti del grande capitale ed incapaci di realizzare la volontà del popolo.
Quarta direttiva: la finanza e la moneta oggi indubitabilmente governano il mondo. Esse invece devono tornare ad essere uno strumento al servizio del bene comune. Per far questo c’è una sola strada: la moneta deve nascere unicamente ed esclusivamente di proprietà dei cittadini e dello Stato e non del sistema bancario privato come, nell’ignoranza generale, avviene oggi, generando la perversione sociale del debito generalizzato. I gravi problemi economici-sociali che ci attanagliano (tasse esose, debito pubblico e privato, perdita del potere di acquisto dei salari e delle remunerazioni) hanno infatti la loro radice in folli convenzioni monetarie che il sistema bancario è riuscito ad imporre nel segreto delle stanze del potere, all’insaputa dell’opinione pubblica.
Senza questo passaggio ogni altro progetto di cambiamento sarà vano e sarà destinato a rimanere mero flatus voci. Chi controlla la moneta controlla il mondo, come sanno bene i banchieri.
Sesto: lo Stato svolge una funzione importantissima nella tutela e garanzia del bene comune. Tuttavia esso dovrebbe lasciare spazio alla società reale in tutti quei settori in cui questo è possibile.
Quando si dice lasciare spazio alla società reale non si intende concedere via libera alla mano invisibile del mercato, e quindi alla legge del più forte, ma affidare compiti sociali ed economici ai membri delle gilde e corporazioni presenti sul territorio, gilde e corporazioni normate da leggi che garantiscano, come già detto, la lotta ai monopoli, la partecipazione democratica dei propri affiliati, regole condivise che combattano la concorrenza sleale e tutto quanto possa inficiare un mercato equo, efficiente, stabile e prospero. Il settore dell’educazione, della sanità potrebbe quindi essere gestito da questa forma di privato sociale, dove il profitto sarebbe solo il giusto compenso per le proprie fatiche e non il fine principale di ogni impresa economica. Lo Stato distributista è quindi ben lontano dallo Stato social-comunista, che accentra su di sé il potere reale e la proprietà dei beni. Allo stesso modo lo Stato distributista è lontano anni luce dalla Stato capitalista, che, come succede oggi, concentra il potere nelle mani di un gruppo ristretto di capitalisti detentori di immense ricchezze – i grandi banchieri, le grandi multinazionali – i quali di fatto controllano la politica ed i mass-media attraverso il potere dei soldi.
Il distributismo quindi è tutto questo, nella sua interezza. Togliamo una delle quattro direttive e non avremmo più il distributismo ma un suo ibrido incapace di incidere davvero sulla realtà presente.
Il distributismo non è una proposta confessionale, pur essendo stato fondato da persone cattoliche ed essendo profondamente ispirato alla Dottrina Sociale della Chiesa. Il distributismo è aperto a tutti gli uomini di buona volontà.
Il distributismo non si identifica con singole e specifiche ricette tecniche, che devono essere discusse approfonditamente di caso in caso con il supporto di esperti in materia.
Il distributismo indica una strada, una visione alternativa al social-comunismo ed al capitalismo, ed ovviamente al fascismo che rappresenta ormai non più di un fatto storico, ponendosi al di là delle ideologie che dividono, disponibile al dialogo con tutti sulla base del senso comune e della ragionevelezza.
In Italia il distributismo ha preso forma nel Movimento Distributista Italiano (distibutismomovimento.blogspot.com) che ha già avviato una serie di iniziative ed attività al fine di aggregare quante più persone possibile ed incidere nel panorama politico nostrano.
Il Movimento Distributista Italiano è in contatto con associazioni ed istituzioni distributiste di tutto il mondo, nell’intento di consolidare una rete internazionale in grado di affrontare i problemi globali che minacciano la nostra civiltà.

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