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IL MITO DELLA CIVILTA’ GRECA. QUANTO VALE UN MITO FONDATORE? di F. Cardini

Che la civiltà dell’Occidente moderno sia fondata sul primato della finanza e dell’economia, ormai lo sappiamo tutti: anche i più ingenui tra noi. Tutto si fa per i soldi, nulla si muove senza danaro. Non è una legge naturale: sono esistiti tempi e civiltà nei quali vigevano altri valori. Ma la nostra è questa: ce la siamo scelta e costruita. Semmai, si può riflettere adesso – anzi, dovremmo seriamente farlo – su che cosa sia divenuto
realmente e concretamente il danaro adesso che non è ormai più ancorato rigorosamente a una unità di misura obiettivamente valutabile
– com’era un tempo l’oro –, adesso che in molti paesi la circolazione del contante viene addirittura limitata per legge e la valuta rischia sempre di più di divenire un valore virtuale, un numero. Certo svegliarsi una
mattina ed accorgersi che il nostro mondo riposta sui pilastri del Nulla sarebbe quel che una civiltà nihilista come la nostra logicamente merita. Ma non di questo vogliamo ora parlare. Per soldi, ci stiamo giocando e forse perdendo la Grecia. Non è poi un gran male? Che cosa significa in fondo questo staterello egeo-balcanico nato a metà dell’Ottocento
dalla frana del sultanato ottomano, affidato alla dinastia bavarese dei Wittelsbach, poi avventurosamente divenuto repubblica e sempre sviluppatosi zoppicando con un’economia basata soprattutto sul turismo e sul reddito di una banda pletorica di statali svogliati?
Il fatto è che quel piccolo paese aveva un grande orgoglio, e siamo stati noi europei a darglielo. Per quel paese sono andati a combattere e magari a morire dei geni europei come lord Byron. Certo, quel miscuglio di genti levantine che lo popola ha poco a che fare con achei, con dori, con attici, con peloponnesiaci e via discorrendo. Ma è il paese dove si va per ammirare il Partenone e le rovine del santuario di Delfi, il paese di Omero e di Saffo, di Argo e di Micene, di Platone e di Aristotele.
L’Europa moderna non ha un bel niente a che fare, storicamente e obiettivamente, con l’antica Grecia. Forse ha a che fare con l’eredità romana, che a sua volta aveva metabolizzato l’eredità ellenistica
(attenzione! Non quella puramente ellenica: il che vuol dire che c’era un bel po’ dell’Oriente immessovi dall’avventura di Alessandro Magno e dai
suoi esiti): ma della Grecia noi occidentali ci eravamo scordati al punto che, nel medioevo, il greco non veniva più letto e le opere dei greci antichi le abbiamo ricevute tradotte nel XII-XIII secolo dagli arabi attraverso la Spagna. La gente del medioevo, gli antichi greci, li
aveva anche antipatici: Iliade e Odissea le erano note solo attraverso epitomi latine e semmai franchi e germani – come del resto i romani stessi – si sentivano legati ai troiani.
Ma poi vennero l’umanesimo e il Rinascimento; e quindi, un paio di secoli dopo, l’Illuminismo e il Neoclassicismo, e poi la grande cultura filologica classica soprattutto tedesca dell’Ottocento. L’arte, la poesia, la filosofia, perfino la musica, tutto fu ripensato e ricostruito sulle basi di un’antichità greca metabolizzata, ripensata, trasformata. Se il medioevo aveva sì letto Platone e Aristotele ma a modo suo, rimpastandolo di
cristianesimo, si fece di tutto per tornare alle pure fonti del sapere ellenico. Dopo di che, con un abilissimo gioco di prestigio, si rovesciò la frittata: e quella cultura greca antica che avevamo ricostruito (con tutte le mistificazioni del caso) e della quale ci eravamo unilateralmente figli ed eredi diventò, nella nostra coscienza, la nostra vera origine.
C’inventammo quel nobilissimo albero genealogico: ci costruimmo una madre nobilissima e ci comportassimo come se davvero fossimo stati suoi figli. Un mito fondatore. Una grossa mistificazione. Ma perdinci, se ci abbiamo creduto: è dal Quattrocento dei neoplatonici fiorentini al Settecento di Goethe e di Winkelmann all’Ottocento di Foscolo e di Leopardi che ci crediamo. Ci hanno creduto soprattutto i tedeschi: andatela a vedere, la loro Grecia, nella Museeninsel di Berlino e nel Walhalla di von Klenze. Sentitela pulsare, nei versi dell’Iperion
e nelle note della Sesta Sinfonia di Beethoven. Non è vero che l’Ellade è la nostra madre, ce lo siamo inventato questo mito fondatore. Ma ci abbiamo creduto generazione dietro generazione, banco di liceo su
banco di liceo, leggendo caratteri greci minuscoli alla bizantina e pensando che fossero quelli classici del tempo di Pericle, ammirando colonne ed archi ripensati da architetti toscani e sassoni eppure credendoli dorici e corinzi. Ma la Grecia non paga. E’ un piccolo paese popolato da piccola gente ignorante che ha sfruttato per anni il proprio apparato statale e che è vissuta vendendo ricordi sul Partenone e ammannendo gyros sbruciacchiato e retzina che sapeva di detersivo a
incauti turisti. Un piccolo paese di gente spiantata. E allora sì, buttiamola pure a mare. Senza nessuna gratitudine per quel che senza saperlo e senza volerlo i loro padri, che non sono nemmeno i loro padri veri, ci hanno regalato. Ulisse e Medea, Platone e Aristotele, Eschilo e Policleto, il Partenone e Delfi. Paccottiglia, roba di scuola. Ma non erano questi i fondamenti universali sui quali riposava la nostra civiltà universale, superiore a tutte le altre? Sì, va bene: ma i conti debbono
tornare, i numeri debbono quadrare, questo danaro che non ha più copertura aurea impera nei files della Banca Centrale Europea e senza la garanzia di quella cosa concretamente parlando inesistente non c’è nulla che valga, né religione, né eroismo, né poesia, né civiltà.
A questo siamo ridotti, meine liebe Frau Merkel. Ma stasera, se ci passa in auto dalla cancelleria andando a casa, dia un’occhiata alla Porta di Brandeburgo e pensi a che cosa significano quegli archi e quelle statue, da dove provengono, a che cosa alludono.
E ripensi magari a quel che ha detto una volta Ezra Pound: se qualcuno non è capace di difendere le proprie idee, i casi sono due: o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui.
Che cos’è l’Europa, Frau Merkel? Che cos’è la tradizione europea
che ci siamo illusi fondasse le sue radici sull’antica Ellade? Nulla, se non ce la sentiamo di far qualche sacrificio per tenere con noi la sua sgraziata nipotina, la Grecia fallita e in bancarotta. Non sarà che, in fondo, siamo noi a non valere un accidente?

Franco Cardini

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