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ALL’EUROPA LE MACROREGIONI SERVONO DAVVERO? di Claudio Giovannico.

All’interno dei complessi meccanismi di governance dell’Unione Europea si profilano gradualmente nuove soluzioni di governo intermedie, a cavallo tra Stati membri e Unione Europea, atte a pervenire a una sempre maggiore integrazione fra i popoli europei.

La macroregione “adriatico-ionica”.

Al fine di conseguire un maggiore sviluppo di vaste aree territoriali – definite macroregioni – caratterizzate da medesime condizioni ambientali e naturali, sulle quali insistono più Stati nazionali, a partire dal 2007 l’Unione Europea ha avviato innovativi programmi di cooperazione transfrontaliera. Questi si inseriscono all’interno della c.d. “politica di coesione” e perseguono quale obiettivo principale il raggiungimento della coesione economica e sociale delle predette aree regionali.
La strategia europea definisce le macroregioni quale strumento indispensabile per l’attuazione di determinati piani di sviluppo territoriali su suolo europeo, per cui più Stati risultano coinvolti in un’unica struttura cooperativa, senza dover ricorrere ai tradizionali accordi internazionali. Si tratta di un modello di multilevel governance, concepito per attuare misure politiche comuni a più Stati all’interno di una determinata area geografica. Tale tipo di governance non forma, tuttavia, un nuovo livello di governo, difatti non prevede legislazioni ad hoc, né forme specifiche di finanziamento comunitario e, pertanto, non pone in essere nuove istituzioni. Si tratta della c.d. regola dei “tre no”: no new legislation, no additional EU funds, no new institutions. Un modello di cooperazione per cui le sfide ambientali, economiche e di sicurezza comuni a più regioni, appartenenti a Stati diversi, vengono inquadrate all’interno di una pianificazione congiunta e multi-attoriale.
Ad oggi, risultano attive tre strategie macroregionali a livello europeo, quella per la Regione del Mar Baltico, quella per la Regione del Danubio e quella per la Regione Adriatico-Ionica, mentre è attualmente in fase di definizione quella relativa alla Regione Alpina.
La cooperazione territoriale europea viene considerata da Bruxelles fondamentale nella costruzione dello spazio comune europeo costituendo uno dei pilastri del processo di integrazione, a tutt’oggi ancora incompiuto. Le macroregioni sono state difatti concepite al fine di ridurre la distanza tra l’Unione e i suoi territori, inserendosi in una logica di rafforzamento della dimensione regionale all’interno dell’Unione europea, che ha come precedente, sul piano istituzionale, la creazione nei primi anni Novanta del Comitato delle Regioni e il successivo potenziamento del suo ruolo.
In tale contesto sorgono, tuttavia, diverse questioni politiche di fondo. Da un lato, la strategia macroregionale sembra costituire un approccio pragmatico alla necessità di trovare modalità nuove per rendere più efficacie la politica pubblica a livello transnazionale di area vasta e tra i diversi attori, coordinando meglio istituzioni e risorse già esistenti. Dall’altro, ci si chiede se tale approccio, per quanto appaia innovativo, possa portare a risultati efficienti, nonostante agisca per mezzo dei medesimi attori delle tradizionali procedure (governi nazionali e organismi sovranazionali in primis). O se addirittura non costituisca pericolo di nuove divisioni e tensioni. E, ancora, se sia possibile un efficace coordinamento delle diverse fonti – a monte di diversi programmi, politiche e organismi di governo – in assenza di norme, di fondi specifici e di nuove istituzioni.
Non è invero sufficientemente chiara la struttura di tale governance, in merito al rapporto tra i diversi livelli istituzionali, ponendosi così il rischio che si verifichino – a discapito dell’efficienza – forme di conflittualità tra i vari attori proprio a causa dei diversi livelli di governance coinvolti. Ciò che sembra più evidente è il modesto coinvolgimento degli enti regionali e locali nelle strategie finora adottate. Le macroregioni, sebbene rappresentino un approccio interessante alle politiche di cooperazione transfrontaliera, de facto conservano una profonda debolezza in relazione alle dinamiche di bottom-up, per cui gli attori locali dovrebbero invece svolgere un ruolo più rilevante nel decision-making, in ossequio al tanto declamato principio di sussidiarietà. Al contrario, il processo decisionale risulta sostanzialmente rimesso a dinamiche cc.dd. top down, in cui gli organi comunitari e al limite gli Stati membri – in quanto componenti del Consiglio – detengono potere in tal senso privo di contrappesi.
Anziché introdurre un’innovazione nella gestione delle politiche europee, parrebbe che le strategie macroregionali esprimano, dunque, vecchie formule inserite all’interno di contenitori nuovi.
Considerato l’attuale contesto istituzionale europeo, affetto com’è da un grave deficit democratico dei processi decisionali, le strategie macroregionali rappresentano – a modesto avviso di chi scrive – null’altro che un interessante esperimento, il quale tuttavia non si discosta minimamente dallo status quo. Pertanto, se all’Unione Europea stesse davvero a cuore ridurre il gap con i cittadini e il territorio dovrebbe provvedere a riformare la propria architettura istituzionale piuttosto che cercare soluzioni ibride difficilmente praticabili.

Claudio Giovannico

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