Il new deal inaugurato dal Ministro Franceschini presenta due punti di forza innegabili: l’Art Bonus e la riorganizzazione interna dei più importanti musei italiani. Per il primo aspetto và evidenziato come il punto focale dell’Art Bonus non consiste tanto nell’aumento della percentuale del ritorno fiscale quanto nell’aver saggiamente introdotto una fattispecie nuova e a forma “aperta” tale da permettere l’elargizione fiscale a sostegno di qualsiasi miglioramento effettivo delle condizioni di tutela e di valorizzazione di beni culturali e/o di luoghi della cultura, come le sedi museali. Il Ministero Beni Culturali tramite il suo livello di alta amministrazione sembra aver in parte ridotto la portata concreta di questa innovazione in quanto ha introdotto con la circolare n° 47/15 la restrizione data dalla novità di un conto corrente dedicato di tipo “generalista” attraverso cui convogliare tutte le elargizioni liberali, ad eccezione di quelle destinate ai 20 Musei Autonomi. La scelta amministrativa sembra confliggere con la natura dell’Art Bonus quale normativa self executing, che già alcuni musei avevano iniziato ad attuare liberamente, cioè tramite il rilascio di un semplice attestato a fronte del pagamento da parte del benefattore di fatture relative ad incarichi predisposti dai Musei stessi. Presso la Pinacoteca di Brera si utilizzava la formula di incarichi di forniture e servizi già indicanti il soggetto benefattore quale soggetto delegato al pagamento. La scelta amministrativa del Ministero si comprende nel senso di “concentrare le forze” evitando dispersioni nella gestione del mecenatismo a favore dell’arte e alla cultura e in considerazione del fatto che per un certo tipo di benefattori è indifferente la destinazione delle risorse elargite ma solo l’ottenimento del vantaggio fiscale, mentre per i 20 Musei Autonomi i loro connotati fortemente caratterizzanti giustificano una piena autonomia gestionale anche a livello di elargizioni liberali. L’interpretazione interna ministeriale ha calcato la mano sul carattere “liberale”, cioè “individuale e spontaneo”, delle elargizioni, non considerando come la loro concreta fenomenologia contempli spesso un previo gentlemen agreement relazionale e informativo fra Museo e benefattore in rapporto a progetti, incarichi, e scenari condivisi e conosciuti, rispetto ai quali il rapporto diretto “benefatore/fornitore del Museo” garantiva la massima velocità ed effettività di attuazione delle finalità pubbliche dell’Art Bonus stesso! L’impatto negativo di questa anomala “restrizione amministrativa” di una norma legislativa rischia tuttavia di rivelarsi superiore alle previsioni in quanto esistono tipologie di benefattori ai quali interessa l’effettività di una determinata destinazione ad un determinato Museo o sede culturale. Il costringere ad una gestione unificata le elargizioni liberali, senza che sia certo il riaccredito agli Istituti di riferimento, genera un disagio a livello di dilazione dei tempi di realizzazione effettiva del sostegno e discrimina fra i 20 Musei Autonomi e tutti gli altri numerosi e importanti Luoghi della Cultura statali. Detto questo nonostante quest’ “ombra operativa” l’Art Bonus resta un’innovazione importante, che stà dando i suoi frutti ma andranno apprezzati però solo in una logica di lungo periodo, in quanto i tempi di “adattamento sociale” alle novità ci sono sempre ma se l’Art Bonus venisse rinnovato, come tutti gli auguriamo, o, ancora meglio, istituzionalizzato, porterà molto probabilmente vantaggi duraturi e misurabili. L’ultimo grande vantaggio dell’Art Bonus è dato proprio dal suo incoraggiare tutte le elargizioni liberali, sia di persone fisiche che di persone giuridiche, le quali a sua volta sono significativamente utili anche a livello gestionale-organizzativo, in quanto non necessitato di pubblici avvisi o di qualsivoglia tipologia di selezione o gara. Il tema dell’obbligo di una vera e propria gara residua in realtà solo nel caso di un’esternalizzazione connotata dall’esclusiva di attività di rilievo (pubblico se fatte per l’interesse pubblico) quali il fund raising e la sponsorizzazione (intesa quale occupazione di spazi di visibilità), mentre negli altri casi di sostegno economico (tranne le elargizioni liberali prive di destinazione) che riguardano la valorizzazione basta per la loro legittima attuazione, oltre la soglia dei 40.000 euro, la soddisfazione dei principi comunitari in tema di trasparenza e di parità di trattamento, realizzabile ad esempio con un pubblico avviso sul sito web dell’Istituto. L’altra grande innovazione del Ministro Franceschini riguarda la definizione di una struttura organizzativa interna dei Musei Autonomi che, dopo due secoli di deficit organizzativo, finalmente focalizza la mission dei Musei e li configura quali aziende culturali finalizzate a scopi di pubblico interesse. Mentre prima anche i grandi Musei dipendevano quasi sempre da Soprintendenze che rischiavano di restare, gestionalmente, delle corti monarchiche autoreferenziali, mentre oggi abbiamo con il D.M. 23.12.2014 la definizione di 5 macroaree, ciascuna delle quali avrà un suo referente: direzione, collezioni e ricerca, allestimento e sicurezza, area amministrativa e area marketing-fund raising- relazioni al pubblico. Quest’ultimo settore rappresenta la maggiore novità e vanta il merito di coordinare e unificare in una visione strategica complessiva da una parte relazioni esterne e rapporti con il pubblico (funzionalizzando il Museo quale insieme di servizi al pubblico) dall’altra l’aspetto gestionale con quello di promozione (marketing e fund raising). Si genera così un ciclo virtuoso interno che permetterà finalmente di sfruttare al massimo livello le potenzialità attuative e propulsive dell’Atto di Indirizzo del 2001, ancora non adeguatamente attuato a livello di Musei Statali, anche le ovvie ragioni della presenza fino ad oggi di “esseri pubblici eccessivamente ibridi dati dalla commistione poco armonizzabile fra Soprintendenze e Musei: un po’ enti di ricerca, un po’ enti di controllo sul territorio e, solo residualmente, soggetti di valorizzazione, sistematica e programmata, dei propri giacimenti culturali e artistici. Pure troverà giovamento una maggiore e più concreto avvicinamento delle politiche di Istituto agli indirizzi politico-amministrativi generali in quanto la maggiore specializzazione e funzionalizzazione delle attività rinvia sempre a target chiari, precisi e misurabili. L’ultimo fattore di grande innovazione è chiaramente riscontrabile nell’autonomia contabile, che favorirà le attività di autofinanziamento (es: merchandising, concessione utilizzo spazi e immagini), e nella previsione di una nuova contabilità di bilancio, oltre che la previsione della pianificazione di tutte le attività. La grande scommessa dei 20 Musei Autonomi sembra quindi ora passare a due punti deboli rimasti sul campo e con un grave ritardo storico: l’attività di comunicazione (mai del tutto esternalizzabile) e la “campagna acquisti” per potenziare le già assai limitate risorse umane ministeriali, considerando l’assenza di nuovi concorsi e con le varie ondate di pensionamenti in corso. La prova del nove dei 20 nuovi Musei è data dalle prossime gare di affidamento dei servizi aggiuntivi. Si coglierà l’occasione per investire in tecnologia e comunicazione, evitando antiquati ed elefantiaci bandi di gara omnibus?
Giacomo Maria Prati