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IL “MIRACOLO DI ZHENGDING”. BREVE STORIA DEL CRISTIANESIMO IN CINA. di Nicolò Dal Grande

L’anno 2016 passerà alla storia, in ambito cristiano, come l’anno della Misericordia per l’indizione da parte di Papa Francesco del noto Giubileo. In tutto il mondo cattolico si è assistito all’apertura delle cosiddette “Porte Sante”, ovvero le aperture di determinate basiliche simboleggianti l’accesso alla “città celeste”, luogo di transito dal male al bene e veicolo di remissione dei peccati; porte apribili solamente in occasione dell’inaugurazione di un Giubileo.

Padre Matteo Ricci (1552-1610).

Tra le “Porte Sante” aperte, ha fatto notizia quella cinese di Zhengding, dischiusa il 13 Dicembre scorso; l’evento è stato riportato con una certa attenzione dei media in quanto i fedeli cinesi hanno gridato al “miracolo”. Non si è trattato di nessuna “epifania” né di una qualche inspiegabile guarigione: l’intervento della Provvidenza, esaltato dai fedeli, si riferisce al rispetto della celebrazione da parte delle forze governative cinesi e all’assenza di alcun tentativo di dispersione della folla dei credenti da parte delle forze di polizia. Se ai più potrebbe apparire paradossale l’affermazione dei cristiani cinesi, in vero il rischio di potenziali incidenti era più che concreto a causa della presenza del vescovo officiante, Mons. Giulio Jia Zhiguo, non riconosciuto dal governo per la sua “ostinazione” a non aderire all’Associazione Patriottica, l’organismo riguardante la formazione del clero cattolico sotto totale controllo del partito comunista cinese; da anni Mons. Jia Zhiguo è costretto agli arresti domiciliari e a numerosi tentativi di indottrinamento coatto, nonostante il suo grande impegno nel sociale, a favore di orfani e portatori di handicap, che gli è valso le simpatie della popolazione e persino della polizia.
L’astio del governo cinese nei confronti delle minoranze cristiane, in primis cattoliche ma anche protestanti, è un tema noto ai più; numerose sono state e sono tuttora le discriminazioni e le persecuzioni ai danni delle comunità dei fedeli. Da sempre il governo cinese guarda con ostilità alla religione cristiana per svariate ragioni, da quelle storico/culturali, con il culto cristiano etichettato ad elemento culturale alloctono e conseguentemente “invasore”, a quelle politiche, poggianti sull’accusa del vedere il cristianesimo quale strumento delle potenze imperialiste straniere. Di qui l’ostilità dei governi, tolleranti solo verso i vescovi cattolici aderenti all’associazione patriottica controllata dal partito, che ne organizza il catechismo e decide quali sacerdoti possano essere ordinati.
Le radici dell’ostilità cinese nei confronti del cristianesimo, e in particolare del cattolicesimo, non sono proprie del comunismo maoista; hanno origini più antiche, sulle quali pesarono in modo decisivo anche alcune decisioni della Chiesa romana.
Se le prime tracce di comunità cristiane in Cina si possono far risalire al VII secolo, legate alla presenza di gruppi di nestoriani – epurati durante la repressione voluta dalla dinastia Tang -, tuttavia è dal XIII secolo che il cristianesimo prende piede, grazie all’azione dei missionari francescani, dei quali si ricorda l’attività del Beato Giovanni da Montecorvino (1244-1328). Bisognerà attendere però il XVII secolo per vedere il cattolicesimo radicarsi con una certa stabilità; grande merito spettò all’azione missionaria dei padri gesuiti, su tutti quella di Padre Matteo Ricci (1552-1610). Maceratese di nascita, il Ricci è riconosciuto come uno dei più grandi missionari cristiani nella storia della Cina, alla cui evangelizzazione si dedicò dal 1582 sino alla morte. Grazie alla predicazione del Ricci e dei gesuiti, migliaia di cinesi abbracciarono la fede cattolica.
Il successo delle conversioni si dovette ad una grande abilità del gesuita nell’evangelizzare i cinesi attraverso il metodo dell’inculturazione, ispiratagli dal suo mentore Padre Alessandro Valignano (1539-1606) e della quale il Ricci fu fervente sostenitore. Già citata da Papa Gregorio I Magno (540 c.a. – 604), l’inculturazione, nella Chiesa cattolica, mira a fondere il messaggio cristiano nella mentalità delle culture da evangelizzare, adottandone e trasformandone i riti e le credenze da non cristiane a cristiane, dando origine così a una nuova espressione religiosa all’interno della Chiesa. In merito Padre Ricci ebbe la brillante intuizione di fare propria la dottrina del confucianesimo – con il buddhismo e il taoismo una delle tre grandi dottrine maggioritarie in Cina -, presentando il cristianesimo come naturale sviluppo di essa; una simile affermazione permise di presentare la religione cristiana non come un culto straniero e invasore, ma come un “seme” germogliato al momento opportuno, favorendo al contempo la concezione che il culto degli antenati, praticato dalla maggioranza della popolazione, non fosse in antitesi con il cattolicesimo ma potesse trovarne asilo. L’intuizione di poggiarsi sul confucianesimo per evangelizzare i cinesi, aprì al Ricci le porte d’accesso presso le élite culturali del Celeste Impero, favorendo come detto la conversione di migliaia di cinesi, inclusi numerosi mandarini. A questo scopo il gesuita dedicò la sua vita, contribuendo non solo all’attività missionaria, ma anche ad allargare il già straordinario patrimonio culturale del paese, introducendo i principi di astronomia e quelli matematici euclidei e lasciando una vasta produzione letteraria, tra cui uno straordinario atlante del mondo in cinese, del quale curò la traduzione.
La grande opera compiuta dal gesuita, seppur di grande impatto, incontrò inaspettatamente un’accanita opposizione proprio a

A. Rosselli, ESSERE CRISTIANI IN CINA, Pavia, Gianni Iuculano Editore, 2008.

Roma. Avversari furono gli ordini francescano e domenicano che, a differenza dei gesuiti che agivano principalmente presso i ceti colti della società cinese, operavano a stretto contatto con il mondo rurale, dove i riti antichi erano vissuti con maggiore intensità rispetto alla corte imperiale o agli ambienti culturali. Timore di quest’ultimi era che il metodo dell’inculturazione, anziché portare a una conversione del popolo, sfociasse nell’abbandono di dogmi cristiani in favore di riti pagani, dando origine a una nuova religione sincretistica. La cosiddetta “controversia dei riti cinesi” che contrappose i gesuiti a francescani e domenicani si concluse nel 1742 con la bolla Ex quo singulari di Papa Benedetto XIV (1675-1658), con la proibizione e il bando dei riti cinesi. La decisione della Santa Sede non solo assestò e mise in crisi le missioni dei gesuiti in Cina, ma sviluppò un’ostilità acerba insita alla corte del Celeste Impero, che tornò a diffidare del cristianesimo e di chi lo predicava, sino a divampare in aperta ostilità che ancora oggi si avverte.
Un’ostilità che si sarebbe inasprita nel secolo seguente, durante l’età dell’imperialismo europeo e della crisi dell’Impero cinese; se da un lato le concessioni alle potenze occidentali favorirono la ripresa delle predicazioni cristiane, specialmente protestanti, il cristianesimo da allora fu sempre percepito come un culto d’importazione straniera, strumento delle mire espansionistiche ai danni della Cina. Il seguente crollo dell’Impero nel XX secolo in favore della Repubblica cinese, a sua volta abbattuta dalla Rivoluzione maoista, che portò al tentativo di sradicamento del cristianesimo sul suolo cinese, attraverso la soppressione delle istituzioni, deportazioni ed esecuzioni sommarie. Un progressivo e costante inasprimento delle discriminazioni dei fedeli cinesi, che oggi gridano al miracolo ogni qualvolta una celebrazione si concluda senza il controllo o il permesso della governo centrale.

Nicolò dal Grande.

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