L’INPS è uno dei tanti istituti pubblici creato, negli anni ‘30, dal fascismo nell’ambito della sua politica dirigista volta a porre il capitale a servizio del bene comune e della socialità nazionale, quindi del lavoro, anziché lasciarlo libero di usare ed abusare. Infatti in origine l’Istituto si chiamava INFPS: Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale. E’ notizia di questi giorni che l’attuale presidente dell’INPS, Tito Boeri, economista bocconiano (non si è mai ben compreso se di indirizzo neokeynesiano o neoclassico o che altro …), ha proposto un suo piano di lotta alla povertà che contempla un “reddito minimo garantito”, pari a 500 euro al mese, per gli over 55 disoccupati, i quali quando restano senza lavoro difficilmente ne trovano un altro perché troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per essere assunti (gli imprenditori preferiscono i giovani da ricattare mediante il contratto “a tempo indeterminato” ma che dura solo tre anni, introdotto dal governo Renzi) (1). Il piano Boeri prevede di finanziare tale reddito minimo garantito attraverso il prelievo di una congrua quota dalle pensioni indecorosamente alte, quelle che vanno dai 3500 euro in sù, e dalle pensioni vergognose attualmente lucrate dai politici, anche se hanno fatto solo un giorno in parlamento, o dai sindacalisti che, alla faccia dei lavoratori, si sono a suo tempo assicurati prebende pensionistiche da favola. Insomma, una proposta di solidarietà che un governo che si dice di sinistra avrebbe dovuto apprezzare e sostenere a tutto campo. Ed invece, Matteo Renzi ha dichiarato che non se ne parla perché la proposta di Tito Boeri è politicamente costosa. Secondo Renzi la proposta toccherebbe anche le pensioni da 2000 euro. Boeri non esclude che ciò possa accadere ma sicuramente in una percentuale molto inferiore a quelle delle pensioni più alte. Resta comunque il fatto che per coloro che hanno una rendita pensionistica sui 2000 euro donare 50 euro al mese affinché un loro fratello – in senso sia cristiano che nazionale – possa avere di che vivere dovrebbe essere cosa accettabile. C’è che magari già lo fa in proprio per senso di cristiana carità. Costoro fanno certamente una cosa buona e meritoria. Ma è evidente che se la cosa fosse organizzata si potrebbe raggiungere una più vasta platea di persone in difficoltà e sarebbe certamente meglio. Per Matteo Renzi, l’uomo che governa l’Italia senza essere mai stato eletto dal popolo italiano, insomma toccare i maxi-pensionati, i politici farabutti ed i sindacalisti corrotti è “politicamente costoso” perché non porta voti. In quest’ottica renziana sono altri i provvedimenti che invece portano voti: ad esempio gli “80 euro” dell’anno scorso o il togliere la tassa sulla prima casa senza distinguere tra chi ha una casa normale e chi vive in abitazioni da nababbo. Matteo Renzi – ci dispiace per chi lo difende imputandone le scelte ai suoi “cattivi consiglieri liberisti” – pratica apertamente una politica favorevole esclusivamente all’offerta ossia, tradotto, al solo capitale. Quello di Renzi è neoliberismo condito con chiacchiere, slide e twitter per ingannare i polli. E chi non casca nella trappola diventa, restando in campo ornitologico, un “gufo”.
Ora, di fronte all’ostilità del governo Renzi, Tito Boeri ha fatto una mossa notevole. Pochi se ne sono accorti. Sabato 7 novembre 2015, approfittando di una udienza concessa ai dipendenti dell’Inps, è andato in piazza San Pietro da Papa Francesco e gli ha pubblicamente parlato dell’Inps, di quale missione vuole egli imporgli e della necessità di sovvenire ai tanti disoccupati, giovani e di media età, che la crisi ha lasciato senza lavoro, disperati e privi di prospettive. Nel discorso di Boeri vi è stato anche un chiaro, benché implicito, riferimento alla sua proposta di “reddito minimo garantito”, bocciata da Matteo Renzi. Papa Francesco ha benevolmente replicato con un discorso di estrema difesa dei diritti del lavoro. Un discorso degno della migliore Tradizione del Magistero Sociale dei Papi.
Adesso siamo tutti curiosi di vedere cosa dirà il “parvenu” di Firenze. Dirà che le idee di Tito Boeri restano inappropriate anche se “benedette” dal Papa? Oppure semplicemente, come molto più probabile visto il suo stile, tacerà?
Nel frattempo, a sinistra sembra che qualcosa si muova anche se ancora, ridicolmente, al suono di canzoni, che sono probabilmente dei falsi storici, come “bella ciao” (sembra, infatti, che il presunto, “mitico”, inno partigiano sia stato scritto nel dopoguerra riadattando un vecchio canto d’amore delle mondine piemontesi).
Invece a destra, c’è ancora il completo pantano. Con un Matteo Salvini che mentre innalza il suo neonazionalismo anti-euro, e tristemente xenofobo (la “nazione” è cultura e non etnia), sposa però una idea liberista come la “flat tax”, che elimina ogni proporzionalità tra ricchi e poveri nel pagamento delle tasse, e si prepara ad un riaccordo con il moderatismo liberale, e doppiopettista, di Berlusconi. Giorgia Meloni corre lo stesso rischio: invece di rifondare una qualche destra sociale è in pericolo di restare succube di Forza Italia, a meno che non sappia ricomporre i tanti spezzoni della defunta Alleanza Nazionale o del vecchio Movimento Sociale Italiano.
Luigi Copertino
NOTE
1) Tecnicamente il “reddito minimo garantito” non deve essere confuso con il “reddito di cittadinanza” proposto dalla sinistra antagonista e dai grillini. Si tratta, infatti, di due provvedimenti sociali completamente diversi. Il reddito minimo garantito è una provvidenza indirizzata soltanto alle fasce di popolazione in difficoltà con l’obiettivo non solo di sovvenirle ma anche di consentirne il reingresso nella realtà produttiva. Infatti solitamente il reddito minimo garantito è collegato ad iniziative di formazione professionale, alle quali il beneficiario deve sottoporsi, ed è erogato fintanto che non riesca a ricollocarsi senza poter rifiutare un nuovo lavoro se confacente con la sua vecchia professionalità o quella successivamente acquisita. Il reddito di cittadinanza, invece, è presentato come un diritto soggettivo riconosciuto per il solo fatto di essere cittadini o di risiedere da un certo tempo in un territorio. Sarebbe, pertanto, riconosciuto a tutti, indipendentemente se ricchi o poveri e dovrebbe essere di consistenza tale da consentire ai cittadini di scegliere a quale attività professionale dedicarsi senza essere soggetti a costrizioni o necessità economiche. Il reddito di cittadinanza è dunque concepito, dalla sinistra antagonista, come uno strumento di “liberazione dalla necessità di lavorare” – ovvero, come spiega ad esempio un Andrea Fumagalli, docente di macroeconomia, nella sostituzione del “lavoro pena”, di matrice calvinista e capitalista, con il “lavoro gioia” quale vocazione antropologica alla creatività e realizzazione personale – ed, al tempo stesso, come base di forza per poter contrattare alla pari con il capitale l’offerta e le condizioni di lavoro. E’ evidente che qui siamo di fronte alla scelta tra uno strumento, il reddito minimo garantito, realisticamente praticabile che, infatti, è presente, in forme diverse, in tutti i Paesi europei (salvo Italia e Grecia) e raccomandato dalla stessa UE (benché in un’ottica ordoliberale), ed una proposta, il reddito di cittadinanza, che è al momento utopica con riguardo alle fonti finanziarie per concretizzarla (nonostante che diversi calcoli avanzati dai suoi propugnatori dimostrino possibile in che misura ed in che modo raccogliere le somme necessarie) e che anche laddove dovesse, un domani, diventare finanziariamente praticabile continuerebbe a scontare un forte tasso di utopicità consistente, a prescindere dal Sacrificio Redentivo della Croce e quindi dall’esito escatologico della storia umana, nella trasposizione nella realtà post-adamitica della nostalgia delle origini adamitiche ovvero del lavoro gioia in luogo dell’attuale lavoro pena. Esiste, in ordine al reddito di cittadinanza, una alternativa, quella della cosiddetta scuola auritiana, fondata sul concetto di “proprietà popolare della moneta”, quindi sull’attribuzione in proprietà ai cittadini, all’atto dell’emissione monetaria, del “valore indotto”, che di essi costituisce fiduciariamente il potere d’acquisto, insito nei simboli monetari inteso quale bene immateriale. La proposta auritiana appare più praticabile benché l’erogazione del reddito monetario ai cittadini non potrebbe evidentemente avvenire mensilmente ma soltanto periodicamente, con frequenza pertanto non troppo frequente, in occasione delle emissioni di moneta legale.