Il 2016 è il quattrocentesimo anniversario della morte di Shakespeare (1564-1616), il massimo autore di teatro in Europa e forse nel mondo. In varie città ed università hanno avuto o avranno luogo grandi eventi: ricordiamo per esempio le iniziative degli atenei di Verona e di Venezia.
Nonostante la sua notevole fama, Shakespeare non è un autore molto letto in Italia, forse perchè la cultura teatrale è in genere assai trascurata. Pochi sono perciò anche quelli che lo hanno visto recitato sulle scene. Una grave lacuna, data la profondità psicologica dei suoi indimenticabili personaggi. Perchè sono i personaggi, con la loro caratterizzazione, il vero punto di forza dell’autore e non gli intrecci, invero non troppo originali, spesso mutuati da altre opere secondo la consuetudine del tempo (gli autori erano ancora sensibili al principio dell’auctoritas e in fondo volevano mettere in scena cose o storie già in qualche modo familiari al pubblico). Gli intrecci sovente non si innalzano al di sopra della media dei lavori teatrali dell’epoca ma Shakespeare, con il suo inimitabile lavoro di scavo psicologico, ha messo in scena la vita nella sua interezza.
Nel suo teatro troviamo la smania per il potere (Macbeth, Riccardo III), la malinconia saturnina di certi caratteri troppo sensibili e in ultima analisi perdenti (Amleto, Riccardo II), la gelosia patologica (Otello), la perfidia umana che sfocia nell’ orrore e nell’ angoscia (Re Lear), l’incantevole fiaba ambientata nella foresta (Come vi piace), la gagliarda e un po’ sboccata vita del popolo (Le Allegre Comari di Windsor), l’elegante storia di amor cortese (I due gentiluomini di Verona), lo stupendo arazzo del folklore inglese con gli scherzi notturni del Piccolo Popolo (Sogno di una notte di mezza estate). Senza contare i lavori di generi più eruditi come il dramma classico (Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra) e i drammi storici di argomento medievale, tratti dalla storia inglese, talvolta a sfondo nazionalista e patriottico e talvolta quasi continuazione degli exempla del teatro del medioevo.
Abbiamo parlato di Verona e non a caso: qui lo scrittore ambientò alcune delle sue opere: il celeberrimo dramma Romeo e Giulietta (che fece nascere tutta una mitologia dei due personaggi e dell’amore in genere nella città scaligera) e I due gentiluomi di Verona (la cui seconda parte si svolge però a Milano), mentre la Bisbetica domata si svolge a Padova ma con il coprotagonista Petruccio provienente da Verona. A Venezia si sono ambientati invece Il mercante di Venezia e la prima parte dell’Otello mentre la deliziosa commedia La dodicesima notte ha per sfondo una imprecisata Illiria che può corrispondere all’incirca alla costa dalmata.
Tutte queste ambientazioni ci possono autorizzare a parlare di uno Shakespeare “adriatico”, uno Shakespeare che prediligeva questo tipo di setting: nessun’altra area europea, a parte l’Inghilterra e le ambientazioni classiche (antica Roma ecc) è stata oggetto di una così costante predilezione.
La critica è pressochè unanime nel suddividere i lavori teatrali di Shakespeare in quattro fasi: una prima fase giovanile di sperimentazione in cui il giovane drammaturgo (che era anche attore e regista) si cimentò un po’ con tutti i generi teatrali : la tragedia senechiana degli orrori (Tito Andronico), il dramma storico (Trilogia di Enrico VI, Riccardo III), la commedia di carattere (La bisbetica domata), la commedia di ispirazione classica (La commedia degli errori), la storia d’amore di ambiente cortese e cavalleresco (I due gentiluomini di Verona).
Ma il genio dell’autore inizia a spiccare il volo con i primi capolavori: Romeo e Giulietta e Il sogno di una notte di mezza estate.
La seconda fase, coincidente all’ incirca con gli ultimi cinque anni del 16° secolo, è la fase delle belle, deliziose commedie a lieto fine, le più amate dal pubblico (Il mercante di Venezia, Come vi piace, La dodicesima notte) e dei migliori drammi storici ispirati alla storia medievale inglese (Enrico IV, Enrico V, Riccardo II), drammi pensosi, arricchiti di una seria riflessione storica e politica.
La terza fase ( da collocare nei primi anni del Seicento) è quella delle grandi tragedie come Giulio Cesare, Amleto, Otello, Macbeth, Re Lear dove l’analisi del male insito nel cuore umano raggiunge impensate profondità. Anche le commedie scritte in questo periodo, pur avendo un (artificioso, posticcio) lieto fine, sono piuttosto tragicommedie e rivelano il pessimismo dell’ autore che non si fa illusioni sulla natura umana, sostanzialmente impotente ad operare il bene.
Evidentemente le opere della terza fase riflettono un periodo critico per l’ autore che, disilluso sul piano politico, fu anche colpito da dolorose vicende personali come la morte dell’unico figlio maschio (gli rimasero due figlie). Purtuttavia l’autore, da vero umanista cristiano, non giudica e si china pieno di compassione sulle sofferenze e contraddizioni del cuore umano.
Del tutto diversa la quarta e ultima fase in cui Shakespeare compose i suoi particolarissimi “drammi romanzeschi” cioè dei lavori, pur di argomento “serio”, con un lieto fine, improntati ad una fantasia romanzesca, fiabesca e delicata, e ad una nuova filosofia piena di amore ed indulgenza per l’ uomo. Sono drammi in cui si sente una fede nella redenzione del cuore umano, anche colpevole, ma non privo di speranza. Qualcuno li ha chiamati “drammi della riconciliazione” ed infatti spesso finiscono con una riconciliazione tra nemici ed avversari con l’ esclusione di ogni vendetta o finale tragico.
Prospero, il mago protagonista della Tempesta, l’ultimo lavoro dell’ autore, è stato esiliato su di un’isola deserta (con la figlia Miranda) dal fratello Antonio che gli ha usurpato il ducato. Ma Prospero non si arrende alla disperazione e nell’ isola si avvale delle sue conoscenze magiche per sopravvivere. Quando un giorno si avvicina all’isola una nave su cui viaggia il fratello usurpatore Antonio, Prospero suscita sí una tempesta (da qui il nome del lavoro) obbligando i naviganti ad approdare sull’isola ma poi rinuncia alla vendetta che potrebbe prendersi facilmente e invece si riconcilia con il fratello che si è del resto pentito. Il mago tornerà nella sua patria ma prima spezza il bastone magico e congeda gli spiriti che erano al suo servizio.
L’abbandono delle arti magiche da parte di Prospero equivale all’ addio di Shakespeare al teatro: “Qui finiscono i nostri incantamenti…”dice il poeta che poi afferma, con una sconcertante anticipazione di Freud: “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni…”. Qual é allora la vera illusione? L’ illusione scenica o il grande teatro della vita cosiddetta reale della quale l’ autore stesso aveva scritto: “La vita é una commedia ed ogni uomo recita sette parti” poi elencandole, dall’ infante al vecchio decrepito?
Shakespeare non scrisse solo per il teatro. In effetti fu anche un ottimo poeta lirico e i suoi sonetti sono tra i più belli mai scritti in inglese. Scrisse anche alcuni poemetti su soggetti classicheggianti seguendo le mode letterarie del tardo Rinascimento: il suo poemetto Venere e Adone pare anticipare il ben più lungo e prolisso Adone del Marino.
Il teatro di Shakespeare parla allo spettatore contemporaneo perchè tratta di argomenti – a cominciare dal potere- sempre attuali. Ha infatti ispirato film, musiche, quadri e perfino fumetti e spot pubblicitari. I rifacimenti teatrali delle sue opere in chiave moderna non si contano e non sempre si sono dimostrati validi o almeno interessanti. Ma tutto questo almeno conferma l’ elogio commosso che di Shakespeare (appena morto) fece il contemporaneo e collega scrittore Ben Jonson: “Egli non era di un’epoca, ma appartiene a tutti i tempi”.
Luisa Paglieri