Passeggiando lungo l’immensa “Galerie des Batailles” all’interno della Reggia di Versailles, il visitatore si troverà letteralmente circondato da imponenti tele raffiguranti gli episodi militari che Luigi Filippo I, re di Francia tra il 1830 e il 1848, volle che fossero rappresentati per dare lustro e gloria alla nazione francese. Tra un ritratto di Napoleone e uno di Enrico IV a Parigi, trova posto l’opera di Charles de Steuben, intitolata la Battaglia di Poitiers. Terminato nel 1837, il dipinto (4,65m x 5,42m) raffigura Carlo Martello, comandante delle truppe franche, cavalcare trionfante un cavallo bianco, brandendo una scure (probabile riferimento alla francisca, arma-simbolo dei Franchi) e indossando la corona e il mantello purpureo, simboli di regalità (anche se Carlo Martello non fu mai re). Dietro Carlo si staglia una croce bianca, elemento figurativo dominante, quasi si trattasse essa stessa di un partecipante alla battaglia. Il condottiero franco fronteggia il comandante arabo Abd al-Rahman al-Ghafiqi, raffigurato a terra, ferito da una freccia e con lunga barba bianca, come bianca è la sua veste al di sotto dell’armatura. Sullo sfondo, un immenso esercito franco travolge lo schieramento avversario.
Ho qui presentato una breve descrizione dell’opera di Steuben con lo scopo di introdurre un breve saggio, incentrato non tanto sulla battaglia di Poitiers, ma sugli eventi che portarono ad essa e sugli effetti che essa determinò nella storia europea.
In primo luogo, lo storico che vuole studiare nel dettaglio la battaglia di Poitiers si trova a doversi confrontare con la nebulosità e rarefazione delle fonti scritte a disposizione, che oltre ad essere poche e frammentate, sono di difficile interpretazione. Se le fonti arabe sono piuttosto tarde e riducono lo scontro a semplice scaramuccia, le fonti latine non brillano per completezza di informazioni, presentando versioni tra loro discordanti, soprattutto riguardo il ruolo ambiguo svolto dal duca di Aquitania Oddone, rivale-alleato della politica egemonica di Carlo Martello.
Il punto di partenza per un resoconto degli eventi che portarono alla battaglia è l’analisi della situazione della costa africana nord-occidentale e della penisola iberica. Oggi come ieri, lo scenario geopolitico nord africano erano confuso, un intreccio inestricabile di popoli ed etnie, di poteri locali e sovraregionali e di diverse dottrine religiose. Nella loro inarrestabile espansione militare-religiosa del VII secolo, gli arabi trovarono notevoli difficoltà a imporre il proprio dominio nel nord Africa cristiano e abitato dalle fiere popolazioni berbere, riuscendo a pacificare l’area magrebina solo con l’azione dell’emiro Musa ibn Nusayr (inizi VIII sec.). In questo scenario, avvenne uno di quei colpi di scena che a volte la Storia riserva in maniera inaspettata: la conquista araba della penisola iberica. Musa ibn Nusayr, difatti, spinto dal desiderio ma soprattutto dalla necessità di saccheggiare nuove terre per distribuire il bottino alle popolazioni africane da poche assoggettate, inviò nel 711 un contingente arabo-berbero-moresco in Spagna, governata dai visigoti, allo scopo di depredarne le terre meridionali. Le truppe musulmane, sconfitto l’esercito visigoto, assistettero al rapido disfacimento del Regno di quest’ultimi, tanto che Musa si mosse con un esercito più numeroso per completare quella che doveva essere una scorreria e che invece si tramutò in una conquista. Sebbene rispetto alle vittorie militari l’occupazione del territorio spagnolo si rivelasse più difficile e complicata, dopo qualche anno il controllo arabo sulla Spagna poteva dirsi stabile (rimanevano al di fuori del dominio musulmano le terre iberiche più a nord), tanto che negli anni 717-718 si registrano le prime incursioni arabe oltre i Pirenei, in cerca di bottino, riuscendo in breve tempo anche a porre basi stabili in Gallia come basi di partenza per le proprie spedizioni. In terra franca, le razzie musulmane danneggiavano soprattutto le terre del già citato Oddone di Aquitania, che ingaggiava spesso battaglia, con esiti alterni, contro i predoni arabi. Ma Oddone doveva guardarsi anche dall’espansionismo di un ben più temibile nemico: Carlo (futuro Martello). Il maior domus austrasiano continuava la linea politica del padre Pipino II, agendo con ampi spazi di autonomia e in modo completamente indipendente rispetto al legittimo re merovingio Teodorico IV. Nell’ottica di rafforzamento della propria posizione e di controllo dei territori meridionali della Gallia, Carlo cercò di estromettere gli aristocratici aquitani, sostituendoli con uomini tratti dal proprio entourage, sfruttando come pretesto proprio il pericolo rappresentato dalle incursioni arabe.
In questo clima di forte competizione interna alla compagine franca si inserì la spedizione di Abd al-Rahman al-Ghafiqi. Che sia stato chiamato da Oddone contro Carlo (accusa contenuta nella continuazione anonima dalla cronica di Fredegario) o che si sia mosso autonomamente, sconfiggendo lo stesso Oddone nella battaglia della Garonna (come invece riportato in un autore spagnolo anonimo indicato come Pseudo-Isidoro), Abd al-Rahman colpì duramente il territorio aquitano, con incendi, saccheggi, massacri e deportazione di popolazione. A differenza dei predecessori, il comandante arabo proseguì la sua marcia verso nord, forse attratto dalla ricchezza delle chiese e dei monasteri franchi, come il santuario di San Martino a Tours. Non riuscì però a giungere fino alla basilica che conteneva le reliquie del “santo nazionale” franco: il suo percorso fu bloccato dalle armate guidate da Carlo Martello.
Veniamo ora all’analisi della battaglia, cercando di limitare le speculazioni storicistiche successive, che cercano di ricostruire, con ampi margini di discrezionalità, schieramenti, manovre, etc. In primo luogo, non sappiamo né la data, né il luogo preciso dello scontro. In generale si accetta che esso avvenne nel mese di ottobre del 732 (la data tradizionale è il 10 ottobre, ma alcuni storici hanno proposto giorni alternativi), sebbene non manchi chi vuole posticiparlo al 733. Neanche il luogo si sa con esattezza: se le fonti riportano solamente che le armate musulmane mossero da Poitiers per saccheggiare la chiesa di Tours, alcuni storici individuano nel borgo di Moussais (ribattezzato Moussais-la-Bataille) il luogo dello scontro. Riguardo le forze in campo, stabilirne l’entità numerica si rivela invece completamente impossibile: le fonti o tacciono su qualsiasi dato numerico, oppure forniscono cifre inverosimili e legate più a tradizioni letterali che non a effettivi dati reali.
Di certo è che le truppe cristiane trionfarono nello scontro, uccidendo Abd al-Rahman e mettendo in fuga i musulmani superstiti. La guerra con gli arabi non era certo conclusa. Incursioni, scontri e scaramucce continuarono, anche se è da constatare che gli arabi – sempre più scossi da disordini interni– man mano scemarono i loro raid in territorio franco, tanto che non si registrarono più incursioni così a nord. Nel 759 i musulmani lasciarono Narbona, ultimo centro a nord dei Pirenei ancora occupato dagli arabi.
Se la storiografia dei secoli XVIII e XIX (tra cui spiccano i nomi di Edward Gibbon e Leopold von Ranke e in cui si può collocare il dipinto di de Steuben) ha interpretato la battaglia di Poitiers come uno dei fatti d’armi più importanti per il mondo occidentale, lo scontro che bloccò l’avanzata islamica in Europa salvandola dal dominio arabo, gli storici del Novecento hanno in gran parte ridimensionato tale visione, sottolineando i limiti della spedizione araba, che anche se fosse risultata vittoriosa non avrebbe mai potuto, per mancanza di uomini e di risorse, occupare in maniera stabile il territorio franco.
Colui che sicuramente trasse il maggior guadagno dalla vittoria cristiana fu Carlo: con il suo trionfo militare, riuscì in breve tempo a rafforzare il suo potere in Aquitania e quindi nel Regno franco, spianando la strada per l’ascesa del figlio Pipino III, che con un vero e proprio colpo di stato deporrà il re merovingio Childerico III, assumendo il titolo di rex Francorum e dando il via al governo della dinastia dei Carolingi (che prese il nome proprio da Carlo Martello), fondatrice dell’Impero che reggerà fino all’888. Una piccola curiosità: il termine martellus aggiunto al nome di Carlo è un attributo che gli scrittori di corte, nella glorificazione della stirpe carolingia, iniziarono ad accostare al nome Carlo solo nel secolo IX, anche se sembra da escludersi un collegamento diretto con lo scontro di Poitiers.
In conclusione, un breve excursus lessicografico. La battaglia di Poitiers è famosa anche perché nell’opera dello Pseudo-Isidoro si ritrova una delle primissime menzioni del termine “europei”. Sebbene alcuni studiosi considerino questa espressione un’interpolazione successiva dell’opera, è da notare che l’autore spagnolo identifica gli opposti schieramenti con termini che potrebbero apparire desueti ma che si collocano nell’orizzonte culturale iberico: gli arabi sono “ismaeliti” o “saraceni”, mentre l’esercito franco è formato da gentes septentrionales o Europenses, che combattono in formazioni serrate, rimanendo uniti come una muraglia e un blocco di ghiaccio (ut paries inmobiles permanentes sicut et zona rigoris glacialiter manent adstricti). Lungi dal raffigurare il reale schieramento di battaglia, l’obiettivo dello scrittore spagnolo è sottolineare il coraggio e l’eroismo dei franchi, che a differenza di visigoti o baschi restano fermi davanti al nemico e non scappano di fronte al pericolo.
In conclusione, personalmente credo che il pericolo arabo non debba essere eccessivamente sminuito, ritenendo plausibile che gli arabi avessero avuto la reale possibilità di instaurare un dominio stabile lungo la costa meridionale della Francia. Essi possedevano Narbona, e i più riprese avevano già portato attacchi e assedi verso i centri urbani aquitani e provenzali, quali Carcassonne, Nimes e Bordeaux. La Gallia non era l’Asia centrale, Poitiers non era Talas (odierno Kirghizistan): in quell’occasione (751), benché le truppe musulmane abbiano sconfitto l’esercito cinese, la spinta araba si disperse nell’immensità della steppa asiatica. La Francia invece, possedeva ricche abbazie e monasteri, configurandosi come una “mucca da mungere” che poteva essere colpita con regolarità sfruttando una posizione stabile nel territorio della Gallia meridionale, che avrebbe potuto essere agevolmente collegata via mare, attraverso anche le isole Baleari, da poco conquistate, con la penisola iberica e con la costa nordafricana. Se Carlo fosse stato sconfitto e la chiesa di San Martino saccheggiata, la stirpe dei futuri Carolingi avrebbe inoltre subito un brusco crollo del proprio carisma e della capacità di esercitare una leadership, mettendo in pericolo la rete di potere che Carlo e i suoi antenati stavano tessendo ai danni della stirpe merovingia, con tutta una serie di ripercussioni a catena sulla storia non solo della Francia, ma anche di Italia e Germania (ad esempio un regno franco debole non avrebbe mai potuto conquistare un’Italia longobarda che vedeva il proprio potere regio in progressivo rafforzamento). Se dunque la storia non si fa con i se o con i ma, è pur vero che la storia europea avrebbe sicuramente preso un altro corso se gli arabi avessero vinto a Poitiers.
Leonardo Sernagiotto