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PIO XII: IL PAPA DIFFAMATO. Di Luigi Copertino.

Si riaccende la polemica contro Pio XII di venerabile memoria per il presunto silenzio in merito al genocidio ebraico negli anni delle seconda guerra mondiale. Ora è la volta di una lettera ritrovata negli archivi vaticani dopo che la Santa Sede ha aperto gli annali relativi al periodo bellico del pontificato di Papa Pacelli (1). In detta lettera un gesuita tedesco informava il Pontefice di quanto stava accadendo in Germania. In realtà non è certo questa l’unica lettera che fu rivolta a Roma. Ce ne sono altre. Come minimo su può ricordare quella che Edith Stein inviò a Pio XI, il predecessore di Papa Pacelli. Edith Stein fu la brillante allieva ebrea del filosofo Husserl che, convertita, si fece suora con il nome di Teresa Benedetta della Croce ed è stata poi beatificata da Giovanni Paolo II. Anche a seguito di quella lettera Papa Ratti elaborò una enciclica contro il razzismo che la sua morte impedì fosse poi pubblicata ma che, nei contenuti fondamentali, fu ripresa nella prima enciclica, Summi Pontificatus (1939), di Pio XII, nella quale tra l’altro si deplorava l’invasione, appena avvenuta, della Polonia indirettamente condannando il regime nazista. Quando l’episcopato olandese, nel luglio del 1942, pubblicò una lettera di aperta condanna del nazismo, la risposta di Hitler fu la deportazione anche degli ebrei cattolici – fino a quel momento risparmiati – tra i quali proprio la surricordata Edith Stein e sua sorella, che morirono ad Auschwitz. Un evento tragico che impressionò fortemente Papa Pacelli e ne determinò la prudenza con la quale si comportò successivamente.

Nell’articolo al link riportato in nota la notizia del ritrovamento di questa nuova lettera dalla Germania rivolta direttamente a Pio XII, è riproposta, come al solito, la confusione storica e concettuale tra l’antigiudaismo teologico e l’antisemitismo razziale. Che non sono affatto la stessa cosa, per quanto il primo, il quale poneva una questione meramente teologica già presente in Paolo di Tarso (la sostituzione dei gentili agli israeliti come rami dell’Olivo Santo), abbia prodotto nei secoli un disprezzo verso gli ebrei con implicazioni anche sociali ma – ecco il punto – mai razziali. Quando nel XVI secolo, a causa il problema dei falsos conversos, gli ebrei che fingevano conversione, si diffuse nella Spagna del tempo il criterio discriminatorio della “limpieza de sangre” per accedere alle cariche ecclesiastiche, fu la Suprema, ossia la Santa Inquisizione, a decretare illegittimo tale criterio, dovendosi piuttosto accertare la sincerità o meno della conversione caso per caso. L’antisemitismo razziale, invece, è una trovata moderna strettamente legata al dilagare delle ideologie razziste in tutta Europa, ideologie di matrice illuminista e romantica ed infine positivista.

È evidente come Pio XII si trovò a regnare in circostanze difficili. Anche oggi non sentiamo la voce di Papa Bergoglio, ad esempio, in merito a quanto sta accadendo nello Yemen o sulla persecuzione dei cristiani in Israele. Sono chiaramente coinvolti problemi diplomatici di non facile governabilità. C’è da chiedersi se la lettera del gesuita tedesco, testé ritrovata, nel momento nel quale giunse a Roma poteva essere presa come oro colato in Vaticano senza creare un incidente diplomatico con la Germania. Come si sarebbe potuto, guerra perdurante, trovare conferma alla denuncia contenuta in quella lettera? Certo, qualcosa si sapeva e Pio XII, infatti, nei suoi radiomessaggi denunciò le persecuzioni per motivi razziali pur senza parlare esplicitamente di ebrei. Anche gli Alleati qualcosa subodoravano ma non avevano prove certe ed infatti non fecero denunce che poi sarebbero sembrate solo propaganda. Pio XII aveva conosciuto il nazismo agli inizi, quando, negli anni venti, era stato nunzio apostolico in Germania e lo considerava un movimento anticristiano come in effetti era. Però la Germania era anche un paese in larga parte cattolico e non poteva non tenerne conto. Era responsabile della sorte dei cattolici tedeschi ma anche di quella dei cattolici nei Paesi occupati dalla Germania. L’esempio di quanto era accaduto in Olanda gli stava sempre davanti. D’altro canto, la sua politica era, giustamente, di equidistanza dai contendenti, considerandosi padre di tutti i popoli e considerando la Chiesa loro madre. Non poteva schierarsi in favore di una parte contro l’altra. Ciononostante Papa Pacelli operava in segreto contro Hitler, fino ad essere indirettamente coinvolto nell’attentato del 20 luglio 1944 del conte e colonnello von Stauffenberg contro il Führer. Non è dunque un caso se Hitler, che lo sapeva suo nemico, ne aveva progettato cattura e deportazione con tanto di invasione del Vaticano. Pio XII, informato del progetto, aveva già firmato le sue dimissioni da rendere pubbliche in caso di prigionia. Poi Hitler non realizzò il progetto di deportare il Papa per le evidenti reazioni internazionali che ci sarebbero state, senza contare la crisi interna con i cattolici tedeschi e quale spinta sarebbe stata la prigionia del Papa per far aderire i cattolici di tutt’Europa alla resistenza. L’odio di Hitler per Papa Pacelli era dovuto anche al fatto che il Pontefice, con l’ordine di aprire monasteri, chiese e conventi agli ebrei in fuga, salvò circa 850.000 israeliti. I detrattori sostengono che quel salvataggio fu l’opera spontanea di tanti cattolici senza che fosse intervenuto alcun ordine formale del Papa, che infatti non è mai stato trovato. Si può rispondere ad una argomentazione puerile del genere che anche l’ordine scritto di Hitler per la “soluzione finale” non è mai stato trovato ma nessuno può dubitare che quell’ordine ci fu o che almeno il dittatore fosse al corrente dello sterminio in atto. Il fatto è che certi ordini, sia nel caso di Papa Pacelli, che aveva l’esercito tedesco e la Gestapo fuori la porta di casa, sia nel caso di Hitler, non si mettono mai per iscritto.

Questa, non nuova, querelle contro Papa Pacelli è alimentata da chi ha interesse a consolidare la “religione dell’’Olocausto”. Infatti, l’uso di un termine teologico e sacrificale per il genocidio ebraico rivela chiaramente che tale tragico evento è stato fatto assurgere ad evento “metastorico”, conformemente ai recenti sviluppi del messianismo giudaico postbiblico. Questo messianismo, perduta la fede in un Messia personale che non arriva mai, ha reinterpretato la Scrittura identificando nel popolo ebraico il “messia collettivo”. Con il suo “sacrificio” e le sue sofferenze, secondo questa esegesi, il popolo ebreo salva il mondo dal male. Ora, è evidente che siamo di fronte ad un palese tentativo di sostituire, e negare, l’Olocausto della Croce, surrogando il Sacrificio Salvifico di Cristo con il sacrificio del popolo messia. Laddove, casomai, cristianamente, le sofferenze di tutti gli uomini, quindi anche quelle degli ebrei, altro non sono che partecipazione alla Sofferenza di Cristo Crocifisso. Siccome questa dell’Olocausto ebraico è diventata ormai la religione ufficiale dell’Occidente post-cristiano, che pur si dice laico e religiosamente neutrale, non possono meravigliare le sue ricadute politiche delle quali sono attualmente vittime i palestinesi, anche quelli cristiani. Con la presenza dei partiti fondamentalisti della destra religiosa ebraica nel governo di Tel Aviv, si sono intensificati, nel silenzio assordante dei media occidentali, le persecuzioni morali, giudiziarie e fisiche subite ogni giorno dai cristiani in Israele. Inutilmente il coraggioso mons. Pierbattista Pizzaballa, patriarca cattolico di Gerusalemme, denuncia da anni queste persecuzioni. L’Occidente è sordo. Se ne può capire, del resto, le ragioni. Lo Stato di Israele controlla la politica interna degli Stati Uniti attraverso la potente lobby ebraica americana. Pertanto il povero e santo, sottolineiamo santo, Pio XII continuerà ad essere additato come il colpevole del male assoluto (il “Papa di Hitler”, secondo un libraccio, storicamente pieno di balle ed infamie, pubblicato anni fa). Con Pio XII si vuole poi mettere sotto accusa la stessa Chiesa preconciliare, “oscurantista”, superata ed emendata da quella uscita dal Concilio Vaticano II. Che Papa Pacelli sarebbe stato preso a capro espiatorio della tragedia ebraica lo aveva intuito Israel Zolli, rabbino capo di Roma nel 1943 e grande esegeta biblico, con una passione per la figura di Yeshoua, quando, proprio per la immensa carità dimostrata da Pio XII verso gli ebrei perseguitati, si decise, anche a causa di una esperienza mistica da lui raccontata nella sua autobiografia “Prima dell’alba”, a fare il passo che stava meditando da tempo ossia riconoscere in Cristo il Messia di Israele e convertirsi al cattolicesimo. Come nome di battesimo assunse, in omaggio a Papa Pacelli, quello di Eugenio.

In ordine ai rapporti tra Vaticano e Germania hitleriana viene imputata a Pacelli anche la stipula, nel 1933, del concordato con la Germania nazista, che avrebbe dato lustro internazionale al regime. Diversi storici, tuttavia, hanno giustamente fatto notare che il concordato, il quale comunque fu stipulato, per la mediazione di Franz von Papen, un conservatore non nazista, non con Hitler ma con l’allora presidente della Repubblica Paul von Hindenburg, è servito come titolo giuridico per tutelare i cattolici tedeschi e quale base per le fervide proteste verso il governo tedesco laddove esso veniva violato. «Con il Concordato siamo impiccati, senza il Concordato siamo impiccati, sventrati e squartati» affermò Faulhaber, arcivescovo di Monaco. All’ambasciatore inglese, Pio XII confessò «dovevo scegliere tra un accordo e la virtuale eliminazione della Chiesa cattolica nel Reich». L’episcopato austriaco – Hitler era nato in Austria – in quel momento al riparo dal controllo e dalla repressione nazista, espresse pubblicamente la sua valutazione del Concordato in una lettera del 23 dicembre 1933 nella quale si affermava: «Il Concordato recentemente concluso fra la Santa Sede e la Germania non significa che la Chiesa cattolica approvi alcuno degli errori religiosi del nazismo. Tutti sanno quanto è tesa la situazione fra la Chiesa e lo Stato in Germania. La Chiesa cattolica non è mai stata d’accordo con i tre errori fondamentali del nazismo, che sono in primo luogo la follia razzista, in secondo luogo il loro violento antisemitismo e in ultimo il loro nazionalismo estremo».

Papa Pacelli usò il concordato come strumento di pressione sul governo nazista. «Non ci sono dubbi sulla tenace insistenza di Pio XII sul rispetto del Concordato prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale» (Michael Phayer). Il concordato tornò utile allorché, a mezzo dell’ambasciatore germanico in Vaticano, che trasmise immediatamente la protesta pontificia a Berlino, Pio XII riuscì a fermare la razzia nel ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 (che, per inciso, non ci sarebbe mai stata senza il 25 luglio), pur non essendo riuscito ad impedire la deportazione di un migliaio di ebrei romani già partiti alla volta della Germania. Ma l’intervento diplomatico del Papa salvò tutti gli altri. Senza il concordato ciò non sarebbe stato possibile.

In ordine, poi, a certi settori del clero simpatizzanti per il nazismo va tenuto conto del fatto che il nazionalsocialismo si presentava come un antemurale al bolscevismo. Cosa stava accadendo ai cristiani, cattolici ed ortodossi, sotto Stalin era internazionalmente noto. Ciò non toglie che quel clero avrebbe dovuto usare maggiore prudenza e magari seguire l’esempio del già citato cardinal  Michael von Faulhaber  (questi fu colui che consacrò, nel dopoguerra, Joseph Ratzinger sacerdote) e del  cardinale, nonché arcivescovo di Münster, Clemens August von Galen, i quali si opposero apertamente al razzismo hitleriano e non esitarono, per la rabbia di Hitler, a far leggere, da tutti i pulpiti, l’enciclica “Mit Brennender Sorge” (“Con viva preoccupazione”), alla cui stesura avevano collaborato Pacelli cardinale e gli stessi Faulhaber e von Galen, con la quale Pio XI condannava l’idolatria neopagana della razza. Clemens von Galeni fu chiamato “il Leone di Münster” in considerazione della sua opposizione pubblica al programma segreto Aktion T4 per l’eliminazione eugenetica di disabili psichici e fisici, malati lungodegenti e terminali, e pazienti non tedeschi nonché e per le sue critiche, altrettanto pubbliche, al libro di Alfred Rosenberg Der Mythus des 20 Jahrhunderts (Il Mito del XX secolo) denunciandone l’ideologia neopagana. Famosa rimase l’omelia di Faulhaber nella quale affermò «Non dobbiamo mai scordare che non siamo salvati dal nostro sangue tedesco ma dal sangue di Cristo». Le SS interpretarono l’omelia come una presa di posizione a favore degli ebrei. Anche Faulhaber, come von Galen, fu uno strenuo oppositore del programma nazista di eutanasia. In risposta all’antisemitismo nazista il cardinale Faulhaber ordinò che bende gialle con la stella di David fossero poste su tutte le statue di Cristo e di Maria all’interno dell’arcidiocesi. Ma, cristianamente equanime, egli non esitò, il 20 giugno 1945, ad innalzare una vibrante protesta contro gli Alleati ed i Sovietici per il disumano trattamento riservato ai nazisti e agli altri membri del governo imprigionati. Si prodigò per aiutare materialmente e spiritualmente Brigitte Frank, la vedova dell’ex-governatore di Polonia, Hans Frank, nazista convertitosi al cattolicesimo poco prima della sua esecuzione nel 1946. Anche von Galen, nel 1945, già prima della resa incondizionata della Germania, prese le difese del popolo tedesco, protestando ripetutamente contro le violazioni dei diritti umani commesse dal governo militare alleato di occupazione e rigettando la teoria alleata di una colpa collettiva del popolo tedesco accusato di silenziosa accettazione del nazismo.

Il problema dell’atteggiamento tollerante di certi settori dell’episcopato verso il nazismo fu affrontato con decisione da Pio XI. Papa Ratti nelle sue encicliche si adoperò per chiarire ai cattolici quale doveva essere il criterio di discernimento. Mentre condannava il “nazionalismo esasperato” Pio XI riconosceva che la dottrina della fede, dopo ed in dipendenza da Dio, considera la patria un bene naturale da rispettare. Non è però ammissibile, per l’appunto, il nazionalismo inteso come sopraffazione dell’altrui patria o egemonia etnico-razziale. Nel concreto, tuttavia, era difficile all’epoca per molti, anche prelati, distinguere così nettamente tra nazionalismo e patriottismo, nelle circostanze del tempo. La situazione non era la stessa ovunque. Tra Spagna, Portogallo, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Italia, Germania, Romania, Belgio, Croazia ma anche Francia ed Inghilterra la situazione locale era alquanto diversa e se in alcuni casi, ad esempio nella Penisola Iberica, il nazionalismo si atteggiava più come un patriottismo, volto alla difesa dell’identità storica e spirituale della nazione, in altri invece assumeva forme razziali ed in altri ancora oscillava tra patriottismo e razzismo. Nel caso della Croazia, ad esempio, gli antichi odi tra croati e serbi aizzarono gli Ustascia di Ante Pavelić contro la popolazione serba, anche per vendetta della persecuzione che i croati subirono all’interno del regno jugoslavo a predominanza serba. Ne seguì uno sterminio della popolazione serba al quale collaborarono i francescani locali che avevano finito per identificare la causa missionaria cattolica con la politica nazionalista dello Stato ustascia. Una aberrazione “neopagana”, una idolatria, cui purtroppo quei francescani cedettero. Alojzije Viktor Stepinac, il buon arcivescovo di Zagabria, pur riconoscendo il neonato Stato croato (che si dichiarava cattolico ed aveva concluso un concordato con Roma), si oppose duramente alla politica razzista ed antiserba degli Ustascia. In una lettera a Pavelić del 24 febbraio 1942 scrisse: «Tutto il campo di [concentramento di] Jasenovac è una macchia vergognosa e un delitto che grida vendetta al cielo, è una vergogna per la Croazia … Tutta l’opinione pubblica, e specialmente i parenti delle vittime, chiedono riparazione e che si conducano davanti al tribunale gli assassini, i quali sono la maggiore sventura della Croazia» (Positio, vol. III, 1, p. 546). Ciò non gli evitò nel dopoguerra il processo come “collaborazionista” nella Jugoslavia di Tito e la condanna ai lavori forzati. Anche Stepinac è oggi infamato come Pio XII. Ma, giustamente, per marcarne la santità, a dispetto di tanti faziosi detrattori, Papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato. Queste sono le risposte da dare ai detrattori faziosi. L’auspicio è che anche Pio XII, attualmente servo di Dio, sia beatificato al più presto.

Luigi Copertino

NOTE

 

 

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