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A PROPOSITO DI INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA E DI DUE INDEBITE AZIONI DISCIPLINARI. Di Francesco Mario Agnoli

Il 29 maggio la Giunta della Associazione Nazionale Magistrati- Sezione autonoma magistrati a riposo ha con un pubblico comunicato espresso radicale dissenso nei confronti dell’iniziativa del Ministro della Giustizia intesa a promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei giudici della Corte di Appello di Milano che hanno applicato all’estradando (in USA) cittadino russo Artem Uss la misura cautelare degli arresti domiciliari rafforzati (cui l’interessato si è volontariamente sottratto dopo alcuni mesi) invece di quella della custodia in carcere. La Giunta ricorda che il merito delle decisioni giudiziarie non rientra nell’ambito degli illeciti disciplinari di cui all’art. 2 del d.lgs. 109/2006 in quanto “l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e della prova non danno luogo a responsabilità disciplinare” sicché simili iniziative “incidono negativamente sull’assetto costituzionale dell’equilibrio fra i poteri dello Stato di diritto”.

Pochi giorni dopo analoga preoccupazione (meno ufficialmente, data la differenza di posizione, ma comunque pubblicamente) è stata espressa dal magistrato Francesco Maria Fioretti, già presidente di sezione della Corte di Cassazione, a proposito di un altro caso: l’azione disciplinare promossa nei confronti della dott.ssa Susanna Zanda, giudice presso il Tribunale di Firenze. Questo magistrato (a riposo, come anche l’autore della presente nota) ricorda che l’art. 111 della Costituzione prevede come obbligatoria la motivazione della sentenze allo scopo di consentirne l’impugnazione, unico mezzo previsto dall’ordinamento per il controllo della regolarità del giudizio e l’esattezza della decisione. Al di fuori dell’esperimento dei mezzi d’impugnazione “non si può entrare all’interno di una motivazione giurisdizionale per imputare ad un giudice fatti costituenti illecito disciplinare senza incorrere nella violazione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”.

Dal momento che i mass-media, pur non trascurandola del tutto, hanno dato minor rilievo al caso fiorentino rispetto a quello milanese (sullo sfondo di quest’ultimo il contrasto fra USA e Russia in un momento di quasi-belligeranza) sembra opportuno riassumere brevemente la vicenda, evidenziando che al centro dell’addebito disciplinare rivolto alla giudice Zanda si trova un’ordinanza, emessa il 31 ottobre 2022 a conferma di precedente decreto di sospensione, in via d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.), dell’efficacia del provvedimento in data 19 ottobre 2021, col quale l’Ordine degli psicologi della Toscana aveva sospeso una psicologa “dall’attività professionale ex art. 4 D.L. 44/2021 fino a che non avesse dimostrato di essersi vaccinata contro il Sars cov 2. Secondo l’incolpazione si tratterebbe di provvedimenti (decreto e ordinanza) pronunciati “con grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile nonché sostanzialmente privi di motivazione” in quanto adottati disattendendo “le attestazioni provenienti da organi ed istituzioni nazionali ed internazionali preposti alla tutela della salute e dotati delle competenze necessarie senza procedere ad accertamenti tecnici, ma esclusivamente sulla scorta di concezioni e valutazioni puramente “personali” e “soggettive” (come tali del tutto incontrollabili), sicuramente non traducentesi in fatti notori e/o nozioni oggettivamente “condivise” ed “accettate” dalla generalità degli individui”. In tal modo la dott.ssa Zanda avrebbe “compromesso la propria credibilità di magistrato e il prestigio dell’Ordine giudiziario”.

Dato che l’ordinanza emessa dalla giudice “incolpata” consta di 22 fitte pagine suona abbastanza ridicolo affermarne l’assenza anche se l’aggiunta dell’avverbio “sostanzialmente” sta probabilmente a significare che si tratterebbe di motivazione “apparente”, in particolare per avere l’estensore omesso di scientificamente “confrontarsi” con le opposte (rispetto alle tesi accolte) opinioni delle autorità sanitarie nazionali ed europee.

In realtà la questione del non consentito ricorso alla cosiddetta “scienza privata del giudice” era già stata sollevata nel giudizio seguito al decreto, emesso “inaudita altera parte” e in quella sede aveva ricevuto motivata risposta. Anzitutto sul significato della definizione del giudice quale “peritus peritorum” e dei relativi poteri con citazione, a sostegno, di una pertinente decisione della Corte di Cassazione (n. 30733 del 21/12/2017). Poi con l’indicazione che le considerazioni poste a base della decisione non erano frutto di incontrollabili convinzioni “puramente personali”, ma fondate invece su dati riguardanti l’andamento epidemiologico provenienti da fonti scientificamente qualificate quali Eudra Vigilance ed Euronomo, facilmente consultabili via internet nel sito Aifa, su uno studio della prestigiosa rivista medica “The Lancet” e su elementi ricavabili da report dell’Aifa e dell’Iss e dalle stesse indicazioni delle case produttrici dei vaccini. A queste indicazioni di carattere generale seguono in motivazione quelle riguardanti punti specifici, quali l’inefficacia della vaccinazione nella prevenzione del contagio, gli affetti avversi gravi e fatali delle vaccinazioni, la natura sperimentale dei vaccini, che hanno indotto la giudice a ritenere la legislazione italiana in materia incompatibile con la Carta di Nizza, la Convenzione di Oviedo e altre fonti, dirette e indirette, del diritto comunitario (fra le quali la risoluzione europea n, 2361/21) e con la stessa Carta costituzionale italiana e, conseguentemente, a disapplicarla.

Tutte argomentazioni che è perfettamente lecito non condividere, ma che comunque possono essere legittimamente contraddette unicamente con lo strumento previsto ad hoc dalla Costituzione e non con strumenti impropri, punitivi per il giudice che non si adegua alla volontà politica e di ammonimento e pressione per gli altri che fossero tentati di imitarlo. Non per nulla la fondamentale importanza dell’autonomia e indipendenza della magistratura è stata appena sottolineata da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-204/21), che ha condannato la Polonia per avere realizzato con una riforma del dicembre 2019 un sistema giudiziario “incompatibile con le garanzie di accesso a un tribunale indipendente e imparziale”. La Polonia si è esposta ai fulmini dell’Unione perché perseguito lo scopo attraverso modifiche legislative del sistema previgente, ma il risultato può essere raggiunto anche, forse più gradualmente, ma con minori rischi “europei” e tuttavia con non minore efficacia, attraverso l’utilizzo in maniera impropria di strumenti esistenti e di per sé, nel proprio ambito operativo, perfettamente legittimi. Il timore è che, per l’appunto, anche in Italia si stia provando a realizzare un allargamento dei poteri d’intervento e di controllo dell’Esecutivo a spese, oltre che del Legislativo (come da tempo in atto), adesso anche del Giudiziario, con mezzi che, come dice la Sezione Autonoma dei magistrati a riposo, “incidono negativamente sull’assetto costituzionale dell’equilibrio fra i poteri dello Stato di diritto”.

Qualcosa di molto peggio della supposta ( e inesistente) compromissione della “credibilità del magistrato e del prestigio dell’Ordine giudiziario”.

Mi sia concessa un’ultima, forse un po’ peregrina, annotazione da magistrato a riposo, che si rallegra nel vedere colleghi come lui seniores interessarsi della cosa pubblica, assumendosi il ruolo – si spera accettato – che un tempo si attribuiva all’esperienza e alla saggezza degli “anziani”.

Francesco Mario Agnoli

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