“Non possiederai nulla e sarai felice”. La famigerata frase, lanciata dal World Economic Forum di Davos del 2017 e riconfermata successivamente, anche con un video, dal consesso di super-oligarchi guidati da Klaus Schwab, è diventata ormai virale, citata da molti come la dimostrazione della sempre più incombente dittatura mondialista.
La frase non è solo una previsione, ma è soprattutto una minaccia arrogante, carica di disprezzo e di irrisione per tutti i popoli della terra, da parte delle élite tecnocratiche liberal, dei supercapitalisti e dei superbanchieri usurai, con lo sguaiato contorno plaudente dei guitti straricchi di Hollywood. Per inciso, deve far riflettere l’uso biecamente mistificatorio, da parte degli eco-mondialisti, del termine “felice”, come nella altrettanto famigerata e minacciosa espressione “decrescita felice”
L’ideologia praticata da costoro è una sorta di eco-comunismo che implica un attacco al benessere, peraltro spesso relativo, delle classi medie, con la distruzione degli stili di vita a cui siamo abituati, la rinuncia alle comodità e al buon cibo – o semplicemente al “cibo buono” – ma soprattutto alla “proprietà delle cose”, perché come tutti sappiamo, la proprietà privata (più esattamente il diritto garantito dalla legge alla e della proprietà privata) ci rende più liberi, più indipendenti, più sicuri nel nostro guardare al futuro. La proprietà privata è fondata direttamente sul/dal diritto naturale ed è quindi anteriore al diritto positivo, alla legge. Nonostante qualche discutibile affermazione socialista-pauperista di Bergoglio che sembra limitare e sminuire il diritto primario alla proprietà, monsignor Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste, ci ricorda che: “la Dottrina Sociale della Chiesa ha sempre sostenuto e insegnato che quello alla proprietà privata è un diritto naturale, quindi indisponibile, originario, vero, perfetto e stabile.” Scrive il cardinale Gerhard Ludwig Müller: “la proprietà privata recinge il nostro spazio vitale, traccia attorno a noi un confine che ci radica in un contesto che possiamo dire “nostro”. La proprietà privata permette i legami di senso, conserva le nostre radici.” La persona a cui viene impedito il diritto alla proprietà diventa uomo-massa, sradicato, senza storia personale e familiare, schiavizzabile, sottomesso: esattamente l’obiettivo del Grande Reset voluto dal World Economic Forum, da Schwab e prima ancora dal Club di Roma, dalle conferenze dell’ONU sulla Terra a partire da quella di Rio del 1992, dalle grandi fondazioni come quelle degli oligarchi Soros e Rockfeller, dagli pseudo-scienziati (sono in buona parte politici) dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) e ovviamente di tutto il variegato mondo ecologista e ambientalista, ben rappresentato dagli eco-terroristi che, impuniti, vandalizzano le opere d’arte, gli edifici storici e bloccano il traffico impedendo l’esercizio del diritto alla libertà di movimento. L’odio per il Bello è una caratteristica degli ecologisti, come dimostra la distruzione dei nostri paesaggi mediante gli orribili “parchi” di pale eoliche (spesso investimenti mafiosi) e degli invasivi “campi” di pannelli solari che sottraggono terreni all’agricoltura.
Infatti, è l’ideologia ecologista che giustifica l’obiettivo di ridurci allo “stato di natura”, sfamati con insetti, prostrati e resi miseri da una “decrescita felice” proclamata dalla propaganda falsa e falsificante degli ambientalisti, che ci impone di credere a una presunta crisi climatica causata da una indimostrata causa antropica. Sono migliaia gli scienziati che si ribellano all’ipotesi del “riscaldamento globale”: in Italia basti ricordare alla lettera aperta sottoscritta da più di duecento scienziati italiani, climatologi, geologi, geofisici, tra i quali anche nomi noti come Franco Battaglia, Antonino Zichichi e Franco Prodi, nella quale si affermava chiaramente che l’origine antropica del riscaldamento globale è una congettura non dimostrata, a cui ha fatto seguito una petizione internazionale di oltre 1.200 scienziati di varie discipline, inclusa ovviamente la meteorologia, tra cui Premi Nobel, titolata “There is no climate emergency”. Il testo, ampliato con uno studio approfondito, è stato anche pubblicato in Italia con il titolo “Non c’è alcuna emergenza climatica”. Riguardo al presunto “autorevole” (in realtà assai screditato), già citato Ipcc, emanazione dell’Onu, ha recentemente affermato Howard Hayden, docente di fisica dell’Università del Connecticut: “Studiano il clima in modo ingenuo e hanno creato l’industria multimiliardaria della crisi climatica, della quale hanno beneficiato.” Ed è da anni che il professor Franco Battaglia, docente di Chimica Fisica, con un curriculum internazionale che lo fanno essere nel suo campo una delle eccellenze italiane: va gridando: “Diciamolo forte e chiaro in un momento come quello in cui stiamo vivendo: non esiste alcuna emergenza climatica. Non v’è nulla nel clima di oggi che sia differente dal clima di 100, 500, 1.000 o 5.000 anni fa.”
Il terrificante progetto dei Signori del Mondo, degli sciamani della montagna incantata di Davos e di tutti gli altri, che ci vogliono ridotti in miseria per dominarci meglio, in una società meticciata dalla Grande Sostituzione, dimentica della sua storia, della sua cultura, della sua civiltà, prende di mira oggi, e non poteva essere altrimenti, la proprietà della casa e dell’auto privata, ostacolo alla “transizione ecologica” e allo sradicamento funzionale al dominio mondialista. Più in generale mette sotto attacco il nostro stile di vita e promuove una riduzione della popolazione: nel 1974 il Club di Roma, già responsabile di catastrofiche previsioni di esaurimento delle materie prime poi dimostratesi false, aveva sfacciatamente dichiarato: “La terra ha un cancro e il cancro è l’uomo”. Maurice Strong, petroliere miliardario della banda Rockfeller, promotore della “crescita zero”, presidente e segretario nazionale del Summit della Terra di Rio del 1992, aveva minacciato: “E’ chiaro che gli stili di vita e i modelli di consumo del ceto medio […] non sono sostenibili.” E ancora prima, fin dalla conferenza di Stoccolma del 1972, Strong era stato ancora più esplicito: “La sola speranza per il pianeta non è forse il collasso delle civiltà industrializzate? Non è forse nostra responsabilità far sì che ciò avvenga?”
E’ inutile cercare di vedere, dietro il Great Reset, un “grande complotto”. Non c’è alcun complotto. Tutto è stato dichiarato, preannunciato, esposto alla luce del sole, in convegni, congressi, forum e summit pubblici.
L’odio di questi finanzieri usurai per la casa in proprietà, magari di famiglia, nasce da ragioni ben chiare per chi ha un minimo di consapevolezza dei disegni di costoro: la casa ci assicura una dimora stabile, ben protetta da quei solidi muri tanto avversati da Bergoglio e invece cantata da Ezra Pound nel XLV dei suoi Cantos: “Con usura nessuno ha una solida casa / di pietra squadrata e liscia / per istoriarne la facciata”. La casa, quindi, come simbolo di stabilità, di protezione dei valori familiari, di radicamento. La casa come antitesi e antidoto allo sradicamento, all’isterica, frenetica, patologica mobilità delle persone vista come valore contemporaneo, a una “movida esistenziale” di cui non si percepisce il lato patologico, di malattia sociale e individuale.
L’attacco alla casa da parte delle élite mondialiste non è solo di oggi: già nel gennaio del 2020 vi fu un significativo, violentissimo articolo de The Economist, l’organo ufficioso del neo-capitalismo liberal, sradicante e apatride, contro la casa in proprietà. Secondo questa “autorevole” rivista, “l’ossessione occidentale delle case in proprietà” sarebbe “un orrendo abbaglio”. Possedere una casa “mette a rischio la crescita, l’equità e la fede pubblica nel capitalismo”. Testuale. Inoltre il possesso di case ha “frenato le migrazioni interne”, danneggiando il pronto reperimento di sfruttati per la produzione delocalizzata. Già: ci vogliono tutti senza radici, mobili, “migranti interni” pronti a correre là dove il super-capitalismo finanziario degli oligarchi davosiani decide di produrre. Inoltre, guarda caso, The Economist denuncia indignato che c’è una correlazione tra “il mercato immobiliare e il populismo”. Eccoli i maledetti piccoli borghesi con casetta in proprietà che votano per i partiti populisti e di destra.
Finora l’attacco alla proprietà della casa è stato condotto con un classico strumento dei regimi socialisti: l’ipertassazione, l’alternativa “dolce” all’esproprio. Il presidente di Confedilizia ha denunciato qualche tempo fa che l’aumento delle imposte sugli immobili degli ultimi anni ha fatto perdere al nostro patrimonio edilizio almeno il 30% del suo valore: sono almeno una quindicina le imposte visibili e occulte che gravano sulle nostre abitazioni. Eppure il Fondo Monetario Internazionale ci chiede di tassare ancora di più il mattone, la Commissione Europea ci impone di riformare il catasto per aumentare il prelievo e l’Ocse sostiene la teoria secondo cui è meno dannoso tassare gli immobili rispetto ad altri tipi di intervento fiscale.
Ma ecco che, qualche mese fa, negli oscuri laboratori ideologici della Commissione Europea è stata forgiata una nuova, mostruosa arma contro la casa in proprietà: il cosiddetto “efficientamento energetico”, anch’esso giustificato da quella “transazione ecologica” (“sarà un bagno di sangue”, aveva predetto l’ex ministro Cingolani) impostaci per contrastare l’impostura (“la bufala del secolo” l’ha definita il premio Nobel Carlo Rubbia) della famigerata “crisi climatica di origine antropica”.
In sostanza, questa normativa prevede che entro il primo gennaio 2030 tutte le case rientrino nella classe energetica E per poi, entro il 2033, passare obbligatoriamente alla classe D. Se la norma dovesse essere approvata, ma lo sarà data la dittatura verde che domina l’UE, sarà un salasso per il ceto medio italiano. Infatti uno dei tanti sottaciuti aspetti positivi del nostro paese, checché ne pensi The Economist, è che ben il 70,8% delle famiglie italiane è proprietario della casa in cui vive e il 28% di queste è proprietario di altre case. Si tratta spesso di case non nuove, situate in centri storici, in zone agricole o costruite prima degli anni ‘80: la loro “sistemazione” secondo i diktat verdi comporterebbe lavori importanti e costosi: cappotti termici, sostituzione di infissi e delle caldaie, installazione dei costosissimi e inefficienti pannelli solari. Più del 60% delle abitazioni in Italia hanno una classe energetica tra la F e la G. Questa follia comporterebbe dunque nuovi debiti per le famiglie, la pacchia di mutui usurai per le banche, la svalutazione del patrimonio immobiliare, espropri generalizzati. Attraverso l’alibi della “crisi climatica”, si realizzerebbe il piano degli oligarchi eco-comunisti: l’abolizione della proprietà privata delle famiglie per concentrarla presso società immobiliari multinazionali che dominerebbero, in via monopolistica, il mercato degli affitti.
Purtroppo, sembra che il nuovo governo sia rassegnato (o segretamente convinto?) rispetto a questo criminale disegno di ingegneria sociale. Al massimo, richiederà una tempistica più lasca e qualche modifica formale.
L’altro grande attacco del Grande Reset degli eco-oligarchi è quello contro l’auto privata: un attacco non solo contro il possesso, ma anche contro il diritto alla mobilità se non con gli inefficienti e sempre più cari mezzi pubblici. L’Unione Europea ha ordinato che dal 2035 sarà vietata la commercializzazione delle vetture a combustione interna: solo le costosissime auto elettriche, costose anche nella ricarica (lentissima) che è peraltro anche incerta nella sua erogazione: la Germania prepara per il 2024 razionamenti mirati alle colonnine per le batterie. Oggi, quasi tutti si possono permettere almeno un’utilitaria, magari usata. In un futuro solo i ricchi potranno possedere un’auto elettrica.
Anche in questo caso, dobbiamo ascoltare le bieche minacce di Klaus Schwab e del World Economic Forum: “le persone non hanno il diritto di possedere la propria auto. Puoi andare a piedi o condividere”. E ancora: “la proprietà dell’auto privata è insostenibile e immorale nel mondo d’oggi”. Ecco da cosa è generato il canagliesco, anticivile odio no-oil degli eco-terroristi imbrattatori e bloccatori del traffico.
In ossequio al fanatismo verde, molti comuni caduti nelle mani della sinistra (ma anche qualcuno di centro-destra) hanno da tempo iniziato una sorta di isterica persecuzione dell’auto privata, con una serie di soprusi, proibizioni, divieti, vessazioni, sanzioni economiche, molestie contro gli automobilisti, impestando le città di ZTL, zone a 30 km all’ora, pedaggi, inutili piste ciclabili che tolgono spazio al traffico, ai parcheggi e ai pedoni. E’ l’attuazione per via autoritaria a livello comunale dei diktat ecologisti fatti propri dall’Unione Europea. Milano (che ha appena aumentato costo dei mezzi pubblici), Bologna, Olbia, e poi in Europa Londra, Parigi, Helsinki, Valencia, Bilbao, Graz e altre città hanno adottato politiche ostili alla mobilità privata. Eppure, in nome del luogocomunismo ecologista, sono poche e assai fioche le voci che si oppongono a questa oppressione verde. La giustificazione della viltà è sempre la stessa: “Ce lo chiede l’Europa”, frase tra l’altro mistificante, perché l’Unione Europea degli ottusi burocrati che prendono ordini da Washington e da Davos non è l’Europa che invece è storia, civiltà, cultura.
Peraltro, la casa e l’auto sono gli obiettivi più visibili di Bruxelles, ma non sono certo i soli: sono nel mirino dei signori della UE anche l’agricoltura, l’allevamento, la carne, i latticini, i riscaldamenti delle case, l’importazione di legname, cacao e caffè da paesi accusati di “disboscare”, il petrolio e il gas anche per colpire con le sciagurate sanzioni la Russia, contro i nostri interessi e su ordine di Washington. Contro ogni evidenza, Klaus Schwab ha provocatoriamente dichiarato che i combustibili fossili “sono attualmente sottovalutati”.
Come si è detto, l’obiettivo è quello di annichilire i nostri stili di vita, di ridurre la popolazione: non dimentichiamo che questi sono gli obiettivi veri e finali degli ecologisti “per salvare il pianeta”, il che significa, semplicemente, la distruzione della nostra civiltà e il genocidio culturale (e talvolta anche fisico) di interi popoli, distruzione peraltro già in corso da decenni, se non di più.
Anche nell’edizione 2023 del Forum di Davos abbiamo visto le foto delle file di decine di jet privati parcheggiati che hanno portato i Signori dell’Economia alla loro convention annuale. Poi ci dicono che le nostre vetturette vanno vietate perché “inquinano”. Il quotidiano LaVerità ha anche raccontato che nelle agenzie svizzere che forniscono “escort e sex workers” c’è il tutto esaurito per il periodo del summit. Già: come scrivevano una volta gli impiegatucci in trasferta sulle richieste di rimborso a piè di lista per giustificare questo genere di spese: “l’uomo non è di legno”. Neanche gli eco-oligarchi.
Antonio de Felip
One thought on “I diktat eco-comunisti degli oligarchi di Davos e l’ubbidienza dell’Unione Europea. Di Antonio de Felip”
Tutto corretto