- Premessa
La comprensione dei conflitti geopolitici in atto passa necessariamente attraverso la categorizzazione, oramai inevitabile ed accademicamente e giornalisticamente affermata, della “questione climatica”, intesa il più dalle volte sotto il profilo strettamente ecologico od ecologista, ben poche volte, invece, sotto quello bellico e strategico. Bisogna considerare, tuttavia, che se poniamo sotto la chiave di lettura militare l’argomento in questione, notiamo non soltanto una discreta quantità di materiale preparatorio – o premonitorio, verrebbe da dire – ma anche un’interessante produzione dottrinale in termini geopolitici. Quanto sta avvenendo nel mondo ha visto in precedenza dei teorizzatori che hanno posto le basi per compiere le azioni concrete ed hanno anche prefigurato scenari posteriori, il cui studio può esserci utile non soltanto per inquadrare meglio la questione climatica e ciò che ad essa è connessa, ma anche per promuovere un equilibrato approccio sia alle esigenze di tutela del nostro pianeta, sia alle relazioni internazionali e alle politiche attuate in tal senso.
- Cleo Paskal, il promotore della teoria del riscaldamento globale e della nuova mappa geopolitica del mondo
È nell’ambito del think tank noto come Club di Roma che, nella seconda metà del secolo scorso, viene messa al centro la questione del cambiamento climatico ed in particolare del riscaldamento globale, con l’intento di un progetto comune per promuovere una visione globale del mondo.
Alexander King, uno dei fondatori del Club di Roma, ha ammesso con franchezza: «Alla ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, abbiamo attaccato l’idea dell’inquinamento ambientale, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità di acqua dolce, la fame e tutto ciò che si adattava alla nostra occasione. Tutti questi pericoli avevano origine nelle azioni delle persone, e quindi potevano essere superati solo cambiando il comportamento e l’atteggiamento delle persone»[1]. In questo passaggio è evidente l’origine strumentale del problema del “cambiamento climatico”, messo sotto i riflettori per confermare l’efficacia dell’approccio globalista.
L’iniziativa del Club di Roma è stata sostenuta da numerosi scienziati ed è diventata uno degli argomenti preferiti dei media mondiali. Alcuni ricercatori hanno cercato di applicare un approccio
geopolitico al cambiamento climatico, generando un’intera nuova direzione, definita talvolta geopolitica climatica. È il caso di Cleo Paskal, giovane ricercatrice del Royal Institute for Strategic Studies di Londra che, con le sue opere, in particolare Global warming. How environmental, economic and political crisis will change the map of the world[2] (in italiano Riscaldamento globale. Come la crisi ambientale, economica politica cambieranno la mappa del mondo) e con lo studio dell’autorevole geopolitico e documentarista canadese Gwyn Dyer e il suo testo Climate Wars[3] (“Guerre climatiche”), ha fornito una prima teoria geopolitica a riguardo.
Nel suo lavoro, Paskal descrive le probabili conseguenze del riscaldamento globale che, a suo avviso, porteranno a una serie di cambiamenti irreversibili nella mappa del mondo: l’aumento del livello dell’acqua degli oceani cambierà radicalmente il modello di controllo dello spazio politico a favore della Civiltà del Mare (Paskal opera all’interno della geopolitica classica), ovvero di quelle potenze talassocratiche, in particolare Stati Uniti d’America e Regno Uniti. Tale modificazione dell’assetto attuale potrebbe favorire nuovi leader nel mondo, capaci di insidiare il potere dell’Occidente (USA ma anche Europa). Secondo l’autrice, pochi Paesi si stanno preparando a questo scenario, e fra questi pochi spicca sicuramente la Cina, che nel pare della Paskal potrebbe trarre molti benefici dal riscaldamento globale, con l’opportunità di consolidare il suo potere su tutta la regione del Pacifico, mentre i problemi legati alla scarsità di acqua dolce indeboliranno enormemente gli USA costringendoli a concentrarsi su problemi domestici.
- Gwynne Dyer e la geopolitica delle guerre climatiche
Similmente si approccia al problema
Gwynne Dyer, già frequentatore del Pentagono e al quartier generale della NATO a Bruxelles, dove si è occupato di climate change nel corso degli ultimi anni. Dyer è però molto più specifico: stando alle sue previsioni, entro il 2045 vi saranno cambiamenti fondamentali nella politica mondiale, ma potrebbero verificarsi anche in un futuro molto più prossimo. La tendenza al riscaldamento rimarrà più o meno costante e, tracciando un modello di cambiamento delle temperature medie annuali in diverse regioni della Terra, Dyer sostiene che la forza motrice principale di questo cambiamento mondiale sarà l’inaridimento (per disidratazione) dei suoli ora fertili situati nelle regioni meridionali; la mancanza di acqua dolce porterà alla distruzione delle infrastrutture agricole e a migrazioni di masse terrorizzate verso aree più adatte alla vita. È interessante notare che Dyer aveva profetizzato uno shock climatico per la Russia nel 2019, non avveratosi, con la previsione di una invasione di popoli dall’Asia centrale, che sarebbe rimasta disabitata; similmente, ha preannunciato che entro il 2029 gli Stati Uniti saranno attaccati da Sud dai rifugiati provenienti dal Messico; per il 2036 le terre dell’India settentrionale diventeranno inadatte all’uomo e nel 2042 arriverà il turno della Cina; infine, entro il 2045 si verificheranno le condizioni oggettive per un conflitto armato globale non solo per le risorse energetiche per lo sviluppo, ma semplicemente per la sopravvivenza e l’accesso a terre dove una persona potrà nutrirsi. Questo sarà l’inizio delle guerre climatiche. Gli effetti collaterali del cosiddetto riscaldamento (lo scioglimento dei ghiacci polari, l’innalzamento del livello del mare, etc.) non faranno che aggravare la situazione, poiché ridurranno ulteriormente il volume dei territori adatti alla vita umana. Per Dyer, i governi degli Stati moderni, inclusi ministeri e dipartimenti militari, dovrebbero già oggi includere tali scenari nei loro piani e prepararsi alla risposta più adeguata.
- Michael Chassudowski: controllo meteorologico per scopi militari
La ricerca critica sui problemi del cambiamento climatico e della manipolazione del clima tramite tecnologie segrete artificiali è condotta da un altro scienziato e geopolitico, questa volta canadese, Michael Chassudowski[4], secondo il quale le
forze armate statunitensi avrebbero lavorato per decenni al fine di creare “un’arma climatica”[5] che fornisse agli Stati Uniti il dominio globale in nuove condizioni e consentirebbe loro di essere gli unici ad utilizzare tecnologie in possesso di nessun altro Paese, citando materiale dell’Università dell’US Air Force College, in cui si riconosce apertamente la necessità di un controllo climatico a scopo militare:
«Il cambiamento climatico diventerà parte della sicurezza interna e internazionale e ne consentirà un uso unilaterale. Può essere utilizzato sia in modo difensivo che offensivo, nonché a scopo di deterrenza. La capacità di provocare terremoti, nebbia, tempeste al suolo e modificare la struttura dello spazio esterno, così come la manipolazione artificiale del clima fanno parte di tecnologie integrate che possono rafforzare radicalmente gli Stati Uniti e indebolire il nemico, fornire intelligenza globale, aumentare portata e forza»[6].
Chassudowski richiama l’attenzione sul programma HAARP, per il quale gli Stati Uniti hanno costruito un laboratorio in Alaska allo scopo di utilizzare le ultime tecnologie capaci di influenzare il clima inducendo determinati processi nella ionosfera. La ionosfera serve a proteggere la Terra dalle radiazioni e un determinato effetto sulla sua struttura potrebbe influenzare i fenomeni climatici e persino danneggiare determinati obiettivi. Gli anomali fenomeni climatici degli ultimi anni – ed anche mesi – in tutto il mondo hanno provocato una raffica di pubblicazioni scientifiche in merito, grazie alla quale gli argomenti trattati da Chassudowski qualche anno prima hanno ricevuto nuova ribalta.[7]
- Possibili sviluppi della geopolitica delle guerre climatiche
La geopolitica delle guerre climatiche è un esempio di un tipo di applicazione della metodologia geopolitica a fenomeni reali o presunti, ricostruiti, comunque sia associati al processo di globalizzazione. È di fatto considerevole l’attenzione rivolta alla questione climatica anche da parte del mondo militare e delle politiche attuate non solo in chiave interna ma anche estera da parte degli Stati. Lo stesso G20 di Bali (16 novembre 2022) ha ribadito la partnership globale per l’impegno al contrasto dei cambiamenti climatici attraverso la dichiarazione finale[8], ove viene detto che è un fattore determinante per le politiche economiche e le strategie geopolitiche dei prossimi anni.
Volendo pertanto tenere in considerazione l’essenza interdisciplinare della geopolitica e il forte impulso che essa ha ricevuto negli ultimi mesi, occorre farsene strumento e tentare qualche previsione.
La questione climatica si configura come una sorta di “dominio” trasversale fra gli altri domini di guerra, che ricordiamo essere terra, mare, aria, spazio, infosfera: il clima, infatti, riguarda tutti e quattro i domini naturali e viene veicolato, e livello di informazione, attraverso il quinto dominio. La sua pervasività lo rende un domino estremamente delicato e potenzialmente pericoloso, poiché un collante fra più dominio significa anche un movente più forte per azioni strategiche e tattiche, andando a giustificare anche scelte di carattere sperimentale nell’intervento umano nei confronti del clima, e della natura in generale, ma anche della dimensione antropica, e dunque sull’uomo. Non è difficile immaginare una possibile campa di “guerra al cambiamento climatico” con un inasprimento dei registri comunicativi dei mass media e l’introduzione di un lessico militaresco in contesti esogeni. Sulla stessa onda di previsione, il dato climatico potrebbe divenire un aspetto determinante nella diplomazia e nella geoeconomia, creando una situazione di (ulteriore) disparità fra gli Stati, con l’esclusione o l’allontanamento di alcuni rispetto ad altri perché non sufficientemente green o conformi a standard internazionali stabiliti dagli enti sovranazionali e dagli spazi di cooperazione globale. Non è da sottovalutare anche l’aspetto riguardante il lavoro di intelligence, in particolare nel domino dell’infosfera, in cui è possibile perimetrare delle psy-ops o delle infowar, anche in collocazione sperimentale, per misurare la reazione sociale e stabilire delle pedagogie “ecologiche” secondo i dettami del mandatario.
È sufficientemente chiaro alla logica comune come l’arbitrarietà delle definizioni e l’uso di questo strumento possa rendersi parziale e relativo, diventando un ulteriore strumento di potere, ed è proprio questo il punto su cui tenere desta l’attenzione, vigilando sulla dimensione etica di politiche che hanno al centro interessi oligodiretti e troppo spesso non volti alla cura del Bene comune.
[1] A. King, B. Schneider, The First Global Revolution: A Report by the Council of Rome, Simon and Schuster, London 1992, pp. 104–105.
[2] C. Paskal, Global Warning. How Environmental, Economic, and Political Crises Will Redraw the World Map, Palgrave Macmillan, London 2008.
[3] G. Dyer, Climate Wars, Random House of Canada, Montreal 2009.
[4] M. Chossudovsky, The Ultimate Weapon of Mass Destruction: «Owning the Weather for Military Use». www. globalresearch.ca 2004. [risorsa elettronica] URL: http://www. globalresearch.ca/articles/CHO409F. html (data di accesso 23.04.2009).
[5] Va notato che alla Harvard University (e non solo) è attivo un programma di studi in geoingegneria già da molti anni: https://seas.harvard.edu/
[6] Ibidem.
[7] Contro la Russia sono state usate armi climatiche—Svobodnaija Pressa. 2010. [risorsa elettronica] URL: http :// svpressa.ru/society /article /28154/ (data di accesso 23.08.2010).
[8] https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2022/11/16/g20-bali-leaders-declaration/