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CONTRO L’AUTOMOBILE? Di Antono de Felip

“O mostro vomitato non dall’inferno, ma dalla inguaribile ingegnosità dell’uomo, io dirò l’odio che mi ispiri”. L’autore di questa invettiva, che è l’incipit di un gustoso pamphlet: Contro l’automobile, è Robert Poulet, giornalista e scrittore belga, nato nel 1893, sostenitore del corporativismo, fortemente influenzato da Charles Maurras e dalla sua Action française, movimento monarchico, cattolico e nazionalista. Poulet, grande amico di Céline, durante la guerra si schierò con la Collaborazione, come moltissimi intellettuali francesi e belgi (basti pensare a Leon Degrelle). Ovviamente, i vendicativi e feroci vincitori lo condannarono a morte, condanna che venne sostituita con sei anni di durissima detenzione seguita da un esilio in Francia. Poulet fu un reazionario, nel senso più nobile, più pieno, più radicale e antimoderno del termine. Lo dimostrano i titoli dei suoi libri, pubblicati negli anni ’60 dall’indimenticato editore Giovanni Volpe: Contro la gioventù, Contro l’automobile, Contro l’amore, Contro la plebe. Un suo Contro i borghesi non è stato mai pubblicato in Italia, mentre i due pamphlet contro l’auto e contro l’amore sono stati, più recentemente, ripubblicati da altri editori. Le sue invettive contro l’auto, strumento di affermazione plebeo e istigatore dei peggiori istinti, totem delle famiglie d’oggi, rimangono un esempio di ottima prosa contro il moderno feticcio del Progresso e della Velocità e un’arguta descrizione dei tipi umani che ne sono adoratori.

Pochi anni dopo, nel 1974, l’editore Vallecchi pubblicava un volumetto collettaneo, prefato da Rodolfo Quadrelli, intellettuale conservatore purtroppo dimenticato, che non amava le “plebi semicolte”, con contributi, tra gli altri, di Quirino Principe, Rosario Assunto, Guido Ceronetti, dal titolo Il rombo del motore, un testo fortemente critico del fenomeno della motorizzazione di massa. Assai interessante è il saggio breve di Quirino Principe, grande intellettuale antimoderno dalla vasta e poliedrica cultura, uno dei migliori musicologi italiani, goriziano ammiratore della civiltà e della cultura mitteleuropea e asburgica, di grande sensibilità estetica: sua è la bella ed epica curatela de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, edito da Rusconi nel 1970, con l’introduzione di Elémire Zolla e la esemplare traduzione di Vicki Alliata di Villafranca. L’attacco dello scrittore mitteleuropeo all’auto è radicale, senza compromessi: “E’ ormai chiaro ad ognuno, tranne che a pochi superstiti maniaci, che i veicoli a motore sono nemici dei cittadini, e l’automobile è contro la citta”. Quirino Principe vede nell’auto l’apoteosi dell’industrialismo, del produttivismo e auspica un sistema in cui “la qualità prevalga sulla quantità e in cui l’economia non detti legge a tutto il resto”. Posizione significativamente assai simile a quella di Tolkien, fortemente ostile alla invasiva presenza delle fabbriche con i loro miasmi e le loro sozzure. E Quirino Principe ricorda come molti uomini di cultura abbiano respinto la “filosofia industriale” e i suoi effetti come la bruttezza, la stupidità, il ridicolo. Cita intellettuali come Eliot, Chesterton, Bernanos che, per questa condanna, hanno fatto ricorso a un giudizio principalmente morale.  Interessante, nell’antimoderno Quirino Principe, l’individuazione delle cause politiche della motorizzazione di massa: “L’automobile ha invaso la società prima in nome del liberalismo, poi soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, in nome della democrazia; e infatti, chi critica la forsennata motorizzazione che ha degradato l’Italia negli ultimi vent’anni viene spesso zittito come “fascista”, cioè come uno che vuole privare i proletari dell’auto e della libertà”.

L’elenco dei “reazionari” che hanno espresso opinioni severe contro l’invadenza delle auto è lungo e comprende non solo intellettuali di formazione umanistica, ma anche scienziati come il genetista Giuseppe Sermonti (noto per le sue tesi anti-evoluzioniste), che nota come: “dentro un’automobile l’uomo gode della prepotenza che egli può usare contro i limiti biologici della sua persona, del gusto dell’accelerazione senza fatica, del sorpasso senza superiorità”. Certo andrebbe ricordato per contro anche il grido dei futuristi di Marinetti, esaltatori invece dei motori e della velocità, per i quali “un’automobile ruggente è più bella della Nike di Samotracia”, ma è tutto da stabilire quanto le loro affermazioni non fossero pure provocazioni di un’avanguardia artistica pour épater le bourgeois.

Tuttavia, da alcuni decenni, si è verificato un’inversione, un cambiamento delle posizioni: oggi è la sinistra ecologica e post (post?) comunista a rappresentare il nemico ideologico dell’auto. Ma siamo ben lontani dall’avversione aristocratica, e anche un po’ romantica, dei reazionari contro uno strumento invasivo, rumoroso, puzzolente e plebeo; dalla nobile difesa della civiltà del convivere contro l’esibizionismo, la volgarità, la velocità insensata e i suoni sgradevoli (ma ad alcuni piacciono…) dei motori, che violentano i sentieri e le strade agresti e montane. La posizione dei reazionari contro l’auto non era giustificata da motivi politici in senso stretto o funzionali e tecnici, ma da motivi estetici e persino etici: una difesa della Bellezza, delle nostre citta medioevali e rinascimentali, della compostezza dell’essere e dell’apparire, di una aristocratica sobrietà.

Le motivazioni dell’odio (perché di questo si tratta) degli eco-comunisti e delle loro appendici radical-chic e liberal contro l’auto sono ben diverse e di gran lunga meno nobili. C’è un’eco, un’eredità vetero-comunista: l’auto è un mezzo privato e in quanto tale da avversare in nome del collettivismo dell’esaltato mezzo pubblico. E’ fonte borghese di individualismo e di libertà di movimento, quindi pericoloso per il totalitarismo rosso da loro auspicato. A questa avversione vetero-comunista si è saldata la torva, fanatica

Robert Poulet (1893-1989)

esecrazione degli ecologisti (che non per nulla bloccano impunemente le autostrade senza che alcuno abbia il coraggio di reagire seriamente) fautori, in nome delle loro menzogne catastrofiste, di una terrificante decrescita che ci vorrebbe tutti regrediti allo stato trogloditico di cacciatori e raccoglitori. Menzogne, come grida da anni il professor Franco Battaglia: “L’emergenza climatica non esiste” e con lui 1.200 scienziati di tutte le discipline di tutto il mondo, tra cui Premi Nobel, sottoscrittori di un una petizione per avvertire che, appunto, non c’è alcuna emergenza climatica, tantomeno di origine antropica. E’ stato pubblicato anche un documentatissimo libro, con questo titolo, contenente la petizione degli scienziati e le prove scientifiche delle loro affermazioni.

Non mancano preoccupanti atti violenti contro le auto da parte degli eco-comunisti. A Torino un gruppo vandalico che si firma “Collettivo della SUVversiva” ha sgonfiato le gomme di decine di Suv, lasciando un delirante e sgrammaticato messaggio ecologista. La Procura indaga, ma sappiamo già che ai criminali verdi (perché di reato si tratta) tutto è concesso, tutto è giustificato. Molti si ricorderanno del gesto vandalico di un assessore (una femmina, ma il termine “assessora” ci ripugna) del Comune di Milano che versò della vernice su una vettura in presunta sosta vietata.

Restiamo a Milano. Questa città ha in Italia il primato della delinquenza: 193.000 reati denunciati (quindi sono molti di più) nel 2021. La prima città italiana in proporzione agli abitanti. E’ la seconda città italiana per rapine su strada, quasi sempre commesse da bande di immigrati di prima o seconda generazione. Le risse tra gang di “risorse”, come le considerano gli “accoglientisti”, sono all’ordine del giorno. C’è un fuggi fuggi dalla citta che è in cima alla classifica italiana per cancellazioni demografiche. Ma per il sindaco eco-progressista Beppe Sala la priorità è la lotta alle odiate auto private. Un recente diktat del Comune ha messo al bando dalla città una serie di auto considerate inquinanti, tra cui le Euro 5 diesel prodotte fino a pochissimi anni fa. Complessivamente l’iniquo provvedimento coinvolge, tra cittadini e pendolari, circa un milione di possessori di auto. Banditi da Milano come criminali. Vane sono state le proteste di associazioni e gruppi di cittadini, mentre le opposizioni di centro destra si sono mosse tardivamente e molto debolmente. Inutili piste ciclabili infestano le strade e i marciapiedi, togliendo spazio alla circolazione, ai parcheggi e ai pedoni. Gioiscono solo le sciurette radical-chic che scorrazzano svagate scampanellando sui marciapiedi (a loro è consentito tutto) sui loro bicicli con la Repubblica nel cestino.

Legambiente, nata come emanazione di ambienti comunisti (l’ARCI), ha il coraggio, con falsificante linguaggio orwelliano, di definire queste intrusive piste “spazi democratici” per facilitare una “mobilità dolce”. Questo contro l’auto è un odio ideologico, perché gli sciagurati lock-down hanno dimostrato che anche con il blocco della circolazione non migliora la qualità dell’aria, ammesso che sia così inquinata come vanno predicando gli ambientalisti (comunque trent’anni fa lo era molto di più).

La fonte dell’infezione di questa bieca avversione all’auto privata è sempre la solita: l’Unione Europea. Recentemente la baronessa Ursula Gertrud von der Leyen ha confermato la dittatoriale imposizione della commissione europea: dal 2035, unico caso al mondo, le autovetture con motore a combustione saranno vietate nell’Unione. Una decisione sciagurata, totalmente ingiustificata da un punto di vista scientifico, un tragico “bagno di sangue”, come l’ex ministro Cingolani definì la transizione ecologica. L’Unione perderà milioni di posti di lavoro (oggi sono quasi 13 milioni gli occupati nel settore dell’automotive): tra gli altri, 830.000 andranno persi in Germania, 500.000 in Italia. Nel nostro paese, all’avanguardia nella filiera della componentistica, andrà distrutto un know-how che il mondo ci invidia. E’ quella deindustrializzazione auspicata nei pervertiti sogni degli ecologisti, un incubo per tutti noi.

Nonostante la propaganda ambientalista, l’auto elettrica non è un’alternativa, per molti motivi. Innanzi tutto il costo: quello medio di un veicolo termico è oggi di 25.000 euri, mentre quello di un elettrico è di 45.000 euri. L’autonomia è limitata e la batteria, che ha una durata massima di 80.000 chilometri, non costa meno di 7.000 euri (fonte: Carlo Cambi su Panorama). In sostanza, i poveri dovranno rinunciare all’auto. Le utilitarie sono destinate a sparire. Già molte case stanno progettando di rinunciare a questo segmento di autovetture. In ogni caso dovremo dimenticarci l’uso attuale dei veicoli. A dirlo è il CEO della Citroën, Vincent Cobée: “Scordiamoci in futuro di poter guidare automobili che vadano a più di 110 km l’ora. Scordiamoci vetture che ci portano da un punto A al punto B con un serbatoio da 90 litri come facevamo con il buon vecchio motore diesel. Se sei a Parigi e vuoi andare a Marsiglia, nessuna macchina ti ci porterà mai e con una sola ricarica”. Inoltre non si sa bene ancora come smaltire e riciclare le batterie che hanno un elevato contenuto di rame, nichel, manganese e cobalto, metalli molto costosi. I costi per uno smaltimento industriale delle batterie delle auto elettriche sono ancora indeterminati. Le batterie sono poi problematiche per la nostra sicurezza: un incendio scoppiato a bordo della nave Felicity al largo del Portogallo, che trasportava 3.945 vetture elettriche di pregio come Porsche e Bentley, si è propagato assai rapidamente a tutta la nave a causa degli accumulatori delle vetture, che bruciano a temperature elevatissime. Nave esclusa, danni per mezzo miliardo di dollari. E non è il primo caso. Il trasporto di queste batterie è rischioso: non per nulla le compagnie aeree hanno iniziato a limitare il numero delle batterie trasportabile su un singolo aeromobile.

Esiste poi un grave problema geopolitico: come si diceva, i motori elettrici contengono una elevata quantità di metalli rari che sono un monopolio o un semi-monopolio della Cina, che controlla il 51% del totale globale del litio chimico, il 62% del cobalto chimico e il 100% della grafite sferica, i principali componenti delle batterie agli ioni di litio. Il passaggio a un trasporto solo elettrico consegnerebbe l’economia nelle mani della Cina comunista.

Per le follie degli ambientalisti, per una indimostrata “crisi climatica” dovremo dunque rinunciare al nostro sviluppo, a impoverirci, ad affrontare una disoccupazione di massa, ad accettare una pesante diminuzione del nostro benessere, della nostra mobilità, della nostra libertà? Anche nel settore dell’auto, dopo quello dell’industria, dell’agricoltura, dell’alimentare, dell’energia, dovremo inchinarci alla feroce dittatura verde impostaci dall’Unione Europea?

Yves Cochet è stato un deputato francese dell’ultra sinistra di Europe Écologie Les Verts. Oltre a essere un fanatico ecologista, è anche un immigrazionista che auspica la “Grande Sostituzione”. In un’intervista al quotidiano Ouest France ha dichiarato: “Limitare le nostre nascite ci permetterebbe di accogliere meglio i migranti”, frase che ha scandalizzato persino i moderatissimi, prudentissimi post-gollisti de Les Républicains. Per non farsi mancare niente, è anche a favore dell’eutanasia. Costui, come altri suoi compagni ambientalisti, è un paladino del ritorno al calesse trainato da cavalli e ha proposto di ripristinare le stazioni di monta equina al posto delle fabbriche di automobili. Lo ha dichiarato seriamente. Ecco a cosa porta l’ideologia ecologista.

Antonio de Felip

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