Franco Cardini è uno dei massimi storici del Medioevo e un fine intellettuale. Docente universitario nell’Ateneo fiorentino, dopo aver insegnato in varii atenei, ora è professore emeritodi Storia medievale nell’Istituto di Scienze umane e sociali – Scuola Normale superiore. E’ autore di un libro famoso e innovativo nell’ambito della ricerca storica sulla cavalleria, Alle radici della cavalleria medievale. Ora l’editrice il Cerchio ripropone in unico volume due sue opere che fanno da corollario al primo volume: Guerre di primavera e L’acciar de’ cavalieri, sotto il titolo unico Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui! (il Cerchio, pagg. 479, euro 75,00). Sono importanti saggi sulla cavalleria medievale e la tradizione cavalleresca, come recita il sottotitolo. L’aspetto più importante in queste ricerche risiede nel fatto che il metodo di indagine si richiama talvolta alla microstoria e sempre all’analisi attraverso l’ausilio di altre scienze come l’antropologia sociale, l’archeologia, le religioni. Un’ottica di sintesi che consente di comprendere in profondità e da più sfaccettature questi avvenimenti storici.
– Professor Cardini, come nasce la cavalleria e perché?
· Se per cavalleria s’intende la tecnica del cavalcare la sua nascita risale a molte migliaia di anni or sono ed è stata probabilmente preceduta da tecniche ci addomesticamento di bovidi e di cervidi. Se s’intende il complesso delle tecniche connesse con l’allevamento di particolari specie equine in funzione del viaggiare, del cacciare e del cavalcare seduti sul dorso di individui ad esse appartenenti (del tutto diverso il discorso dell’aggiogamento di tali animali a strumenti di lavoro o a carri da trasporto o da guerra) è necessario risalire a tecniche nate tra Indo Kush e Caucaso nel corso della prima metà del I millennio a.C.. Se s’intende il complesso degli atteggiamenti mentali, spirituali, religiosi, giuridici, militari e tecnologici con il relativo immaginario bisogna partire comunque dal I millennio a.C. ma pervenire al mondo uraloaltaico e indoeuropeo (più specificamente nordiranico-caucasico) dei secoli VIII-X, allorché in sé e nei rapporti con l’universo euromediterraneo cristianizzato quel patrimonio si esprime in forme socioculturali suscettibili di produrre fonti storiche non scritte (reperti archeologici) e scritte (poemi, leggende ecc., in forma orale o scritta) delle quali sia possibile lo studio da parte dei moderni. La necessità di rispondere a incursioni di popoli uraloaltaici che si spostavano e combattevano a cavallo (unni, àvari, ungari) e il decremento demografico dei secoli VI-VIII che aveva comportato insieme con il modificarsi delle strutture sociali un ridursi e un concentrarsi della ricchezza provocarono il sorgere all’interno del mondo romano-barbarico di un’aristocrazia in grado di combattere a cavallo con armi pesanti e di sostenere economicamente le relative spese. Tutto ciò contribuì al nascere e allo svilupparsi in Europa occidentale del sistema vassallatico-beneficiario, molto impropriamente noto con l’aggettivo “feudale”.
– Professore, la cavalleria, a distanza di secoli, suscita ancora fascino e attenzione nella letteratura, nella cinematografia e nella ricerca storica. L’uomo moderno, attratto dal benessere materiale e dalla globalizzazione, come mai subisce questo fascino?
· La cavalleria deve il suo prestigio all’opera di ceti sociali e al determinarsi di produzioni intellettuali che diffusero tra X e XIII la figura di un Idealtypus di guerriero fornito
di autocoscienza etica radicata in un universo sacrale e sacramentale e dedito al servizio della società (allora comprensiva di istituzioni civili ed ecclesiali) sia per qual che concerneva il mantenimento dell’ordine e della giustizia al suo interno e la difesa contro nemici esterni. Pur attraverso continui mutamenti formali e socioculturali, il fascino dell’uomo a cavallo consacrato al servizio del prossimo e per giunta collegato a un sistema di valori etico-estetici che codificavano con intenso significato i suoi atteggiamenti e sentimenti (si pensi ad esempio all’”amor cortese” e alla relativa letteratura) si perpetuò nei secoli attraverso una serie di revivals che ne qualificavano i contenuti adattandoli volta per volta a contesti mutati: al miles dei secoli XI-XII (quando si formalizzano i rituali di vestizione e si precisano i contenuti etico-simbolici a ciò correlati) fa seguito – dopo l’eclisse militare della cavalleria dovuta all’avvento delle fanterie e delle artiglierie – la “cavalleria di corte” e l’ordinamento aristocratico a ciò funzionale all’interno delle monarchie assolutistiche, quindi la “cavalleria iniziatico-misterica” della cultura massonica, poi la cavalleria immaginata nel Romanticismo alla quale per molti versi è ancora tributaria la cultura moderna e postmodena, fino al Signore degli Anelli e al Trono di Spade, con numerosi e complessi diverticoli fantastorici, fantafuturologici e in alcuni casi parapolitici (ha qui giocato un ruolo importante l’universo eroico-libertario della “sfida al destino” e della “ricerca della Bella Morte”).
– I codici cavallereschi rimandano a un mondo improntato alla Tradizione. Il cavaliere del Dürer rappresenta molto bene un idealtypus dell’immaginario europeo e occidentale. A quali radici fa riferimento questa attrazione?
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· I codici cavallereschi sono il prodotto della “cattura mistico-religiosa” della cavalleria in funzione ecclesiale con gli Ordini religioso-militari (un’innovazione occidentale del secolo XII che non trova riscontro nel cristianesimo orientale anche se può vantare somiglianze o analogia con aspetti della cultura musulmana – la futuwwa e alcune tradizioni sciitico-batinite- e in differenti contesti anche nelle aree induistiche e addirittura buddhiste – a parte il caso particolare dello zen e del bushido scintoista -) e del loro successivo sviluppo nelle culture di ancien règime. La crisi della prima Modernità, con la Riforma religiosa e il successivo disordine (dalle guerre cinquecentesche a quella “dei Trent’anni”, con il corredo delle carestie delle epidemie) spiega bene l’elaborazione romantica attorno alla nota immagine del Dürer.
– Secondo lei, il cavaliere medievale era temuto e rispettato più per l’appartenenza a una aristocrazia sociale o perché era uno di maggiori professionisti della guerra?
· Timore e rispetto erano comunque condizionati e funzionali al ruolo tenuto dalle istituzioni cavalleresche e dal relativo prestigio nel quale esse erano tenute: tutto ciò in una forte dinamica, dagli aspetti sovente anche contraddittori (rimando a un testo in ciò esemplare: il libretto del mozartiano Don Giovanni).
· Perché lei ritiene la cavalleria italiana un fatto storico e tecnico a parte?
· Nei comuni italici centrosettentrionali tra XII e XIV secolo la cavalleria dei centri urbani giocò un ruolo giuridico, culturale e istituzionale di particolare rilievo, specie in relazione a precise mansioni istituzionali cittadine quali quelle di podestà e di capitano del popolo. Tale dinamica è caratteristica del mondo italico.
· Qual è il motivo per il quale, nell’ambito della cavalleria medioevale, i Templari occupano un posto particolare?
· A causa della loro speciale storia (in rapporto allo sviluppo della banca medievale), delle circostanze del loro scioglimento e della leggenda – “nera” o “dorata” che sia – da quegli eventi scaturita e nota nella cultura europea cinque-novecentesca con il denominativo di “templarismo”.
Manlio Triggiani