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SOTTO ATTACCO I BALNEARI E I TASSISTI. LO CHIEDE L’UNIONE EUROPEA. Di Antonio de Felip

E così, grazie alla caduta ingloriosa del governo Draghi, sembra che i tassisti siano riusciti a sfuggire all’agguato di chi li voleva espropriare e, forse, ridurre allo stato di dipendenti sottopagati. I tassisti erano stati messi nel mirino dal disegno di legge “Concorrenza”. Già, l’ipocrita e falsificante alibi della concorrenza: questo  mitico elisir che, a detta di alcuni economisti, se inoculato nel corpo sociale in combinato con le “liberalizzazioni” procurerebbe magicamente una diminuzione dei prezzi e una moltiplicazione dell’efficienza nei settori interessati. Un dogma liberista superficiale e semplicistico che ha conosciuto molte smentite: abbiamo già visto qualcosa di analogo con le privatizzazioni, imposte nel 1992 all’Italia nel famigerato summit sul panfilo reale “Britannia”, con la relazione introduttiva dell’allora Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi, col quale si diede inizio alla svendita di una gran parte del patrimonio pubblico italiano, bancario, industriale, dei servizi, agli speculatori internazionali della grande finanza. In nessuno dei settori interessati vi fu calmieramento dei prezzi o incremento dell’efficienza. Il caso delle autostrade, con tutto quanto è successo, sta lì a ricordarcelo. La colonizzazione del settore creditizio da parte delle banche francesi è un altro effetto evidente. Inoltre liberalizzazioni selvagge e aumento della concorrenza attraverso un’incontrollata deregolamentazione possono portare a gravi conseguenze sociali: precarizzazione, sfruttamento, dumping sociale, creazione di un mercato del lavoro di addetti sottopagati inesorabilmente destinato a quel “esercito industriale di riserva” che sono gli immigrati.

Ora pare che l’articolo 10 del disegno di legge, quello carico di nubi minacciose per l’attività dei tassisti, da sempre micro-imprenditori e lavoratori indipendenti, sia stato stralciato. Ma possiamo star certi che ci riproveranno ancora, ci provò per primo Bersani nel 2006 con il famigerato “pacchetto liberalizzazioni” che conteneva un analogo obiettivo anti-tassisti. Il mantra penitenziale e giustificazionista è sempre il solito: “ce lo chiede l’Unione Europea”, cosa certamente vera in senso generale (è nota l’ostilità della compagine europoide di Bruxelles verso la piccola e media imprenditoria libera), ma non nel caso in particolare: infatti le disposizioni del disegno di legge anti-tassisti non erano per nulla previste, contrariamente a quella relative ai balneari, dalla famigerata “Direttiva Bolkenstein” della Commissione Europea sulla concorrenza. L’attacco ai tassisti portato nell’articolo 10, per ora fortunatamente “messo in sonno”, è stato un volontario, servile eccesso di zelo del governo nella sottomissione alle pressioni di Bruxelles per le “liberalizzazioni”, in realtà la programmata distruzione dei piccoli imprenditori per lasciare spazi liberi alle fameliche multinazionali.

Cosa prevedeva lo stralciato articolo 10 del disegno di legge in questione? Innanzi tutto un “adeguamento dell’offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante l’uso di applicazioni web” e ancora: la “promozione della concorrenza, anche in sede di conferimento delle licenze”.

La seconda disposizione, quella sulle licenze, avrebbe sancito una parziale o totale liberalizzazione dell’attività delle autopubbliche mettendo fine, in tutto o in parte, al sistema delle licenze (che pure non è privo di pecche) con la grave conseguenza di azzerare il valore delle licenze dei taxi, che spesso sono state acquistate, dato il loro elevato costo, con mutui decennali.  Il valore di queste licenze viene percepito dai tassisti come un investimento per il futuro, una futura “buonuscita”, una sorta di “trattamento di fine rapporto” per il momento della pensione. Come si accennava, l’attuale sistema delle licenze non è certamente quello ottimale come meccanismo regolatore per garantire un certo equilibrio tra le attese a una giusta retribuzione da parte degli addetti e la disponibilità di un numero sufficiente di automezzi per un buon servizio ai cittadini. Ma una liberalizzazione che azzerasse il valore delle licenze sarebbe ben peggio, perché manderebbe in fumo l’oneroso investimento compiuto dai tassisti per l’acquisto della licenza. Di più: una liberalizzazione selvaggia consentirebbe a spregiudicate multinazionali di irrompere nel settore, con un servizio non più offerto da liberi piccoli imprenditori, come oggi avviene, ma da dipendenti sottopagati, impreparati, sfruttati, magari extracomunitari come avviene nelle consegne a domicilio. Saliremmo su un taxi guidati da persone così?

Altrettanto minacciosa e potenzialmente pericolosa è la correlata volontà del disegno di legge di adeguare l’offerta del servizio “alle forme di mobilità che si svolgono mediante l’uso di applicazioni web”. Con qualche ragione, i tassisti lamentano che dovrebbero competere con multinazionali spregiudicate e altamente tecnologiche come Uber e Lyft, operanti con sofisticate piattaforme digitali e dotate di una aggressiva forza contrattuale nei confronti dei dipendenti.

Ma c’è di più: proprio nei giorni della discussione sul disegno di legge, la stampa internazionale ha svelato le condotte di business e soprattutto di lobbying del colosso Uber, una multinazionale da decine di miliardi di euro, attivo in oltre 300 città in almeno 57 paesi, che mira a sostituire anche in Italia i tassisti indipendenti con immigrati low-cost operando in una zona grigia dell’occupazione, dove i conducenti non sono né stipendiati né completamente indipendenti. Sono loro schiavi e non hanno diritti. Anche se l’indagine giornalistica si ferma al 2017, ne emerge il quadro di un’azienda totalmente priva di scrupoli. Scrive il pur ultra-liberal e quindi amico delle multinazionali The Washington Post: “l’azienda era nota per la sua spietatezza, la violazione delle regole e la cultura aziendale tossica. Il mondo sapeva già che Uber operava illegalmente fino a quando non si riusciva a convincere i legislatori ad autorizzare le sue operazioni e che esercitava pressioni aggressive.” Queste “pressioni aggressive” Uber le esercitò nei confronti del presidente francese Macron e, pare a detta dell’inchiesta, anche nei confronti di Renzi quando era presidente del consiglio. In una email interna un dirigente di Uber ammetteva: “A volte abbiamo problemi perché siamo fottutamente illegali”. Ecco nelle mani di chi potrebbe finire il settore dei taxi.

Un argomento strumentalizzato da Uber e dai sostenitori delle liberalizzazioni incontrollate è quello del “progresso tecnologico” che dovrebbe diventare il passepartout per ogni nefandezza sociale. Appare convincente l’autodifesa dei tassisti contro questo argomento: “Qualcuno dirà che siamo il “vecchio” contro la “modernità”, che siamo dei privilegiati che ostacolano il mercato, e tutta un’altra serie di falsità, mentendo, sapendo di mentire. La realtà è che la nostra battaglia è la lotta di 40mila lavoratori contro la speculazione finanziaria, ma anche la difesa dell’utenza e del servizio pubblico”.

Se pare che i tassisti si siano salvati, almeno per un po’, purtroppo la stessa cosa non si può dire dei gestori degli stabilimenti balneari. E’ probabile che nel 2023 o il 2024, quando torneremo alla nostra solita località marina, non troveremo più la solita spiaggia gestita dalla famiglia che magari curava lo stabilimento da anni, mantenendolo e migliorandolo. Il regime avrà completato la procedura di esproprio, praticamente senza indennizzi, perché così ci ha imposto l’Unione Socialista Europea. “Le concessioni devono essere messe a gara”, in nome della cosiddetta concorrenza, ci hanno ordinato i padroni di Bruxelles con la sciagurata direttiva “Bolkenstein”. E così ha sancito una legge approvata dall’ubbidiente Parlamento italiano, preceduta da una sentenza del Consiglio di Stato. Quindi, in ogni caso, troveremo la nostra spiaggia gestita da una multinazionale, con extracomunitari in funzione di bagnini o, peggio, in mano a una di quelle cooperative rosse che, essendo contigue e organiche al potere politico dominante, hanno, guarda caso, una maggiore facilità a “vincere le gare”. Prezzi aumentati, servizio scadente e impersonale. E migliaia di piccole imprese familiari distrutte.

Ed è proprio questo che vogliono i poteri multinazionali, liberal, supercapitalisti e globalisti che controllano l’UE e i governi: distruggere piccola impresa, le aziende familiari, i lavoratori indipendenti, gli artigiani, i liberi imprenditori, i professionisti perché sono portatori di un innato spirito libero che è in contrasto con il progetto dei potenti di Davos, degli oligarchi alla Soros, alla Zuckerberg, alla Bezos, dei mondialisti, delle multinazionali che ci vogliono tutti consumatori indifferenziati, meticci privi di identità, di cultura, di civiltà e di storia. L’imposizione di ondate d’immigrati, di potenziali “risorse” per eserciti di precari sottopagati è una componente importante di questa strategia. Sono quelle stesse multinazionali che finanziano i gay-pride e gli abortifici come Planned Parenthood.

I tassisti e i balneari pare siano così importanti da aver meritato una esplicita citazione nel minaccioso discorso-ultimatum di Mario Draghi al Senato il 20 luglio, nel quale ha anche accusato le forze di centrodestra “di un sostegno a proteste non autorizzate e talvolta violente”. Il riferimento era certamente alle manifestazioni di piazza dei tassisti. Manifestazioni forse vivaci, ma non certo violente. Poi l’intimazione di riformare questi settori prima della pausa estiva, “come previsto dal PNRR”. Già, il PNRR, il ricatto dell’Unione Europea per renderci tutti un po’ meno liberi. C’è comunque da chiedersi perché questa aggressione contro due categorie di piccoli imprenditori che hanno un’importanza relativa nell’economia complessiva. Perché non prendersela, ad esempio, con le aziende high-tech che, operando sul web, violano le leggi fiscali di molti paesi facendo figurare gli utili là dove fa più comodo, cioè nei paradisi fiscali? In questa aggressione contro balneari e tassisti, che hanno una sì una certa capacità, in particolare i tassisti, di mobilitazione e di comunicazione con l’opinione pubblica, come dimostra la loro almeno temporanea vittoria, ma che non hanno certo il potere di lobbying di altri comparti economici. C’è un che di maramaldesco, di meschinità, di cattiveria nell’attacco a queste categorie. Forse si vuole “dare l’esempio”? “Colpirne due per educarne cento”? Dimostrare che, se i Signori di Bruxelles lo decidono, nessun bene, nessuna proprietà, nessuna attività, nessuna libertà è più al sicuro?

Infatti, quella che emerge con chiarezza da una serie di scelte normative e regolamentari, quasi sempre imposte dell’Unione Europea, è una precisa strategia che mira alla distruzione dei piccoli e piccolissimi imprenditori, e non solo, utilizzando leggi strangolatrici della libera impresa, un carico fiscale complessivo che supera di molto la metà dei fatturati, regolamenti asfissianti e punitivi su ambiti come l’ambiente e  la sicurezza, una burocrazia opprimente e ottusa che impone oneri amministrativi insostenibili.

Il disegno è chiaro: distruggere il ceto medio produttivo e creare un nuovo proletariato prono, per ignavia, necessità o paura, ai diktat del mondialismo livellatore. L’attacco alla casa in proprietà, che rappresenta una tutela alla libertà personale, è un’altra direttrice strategica su cui si muovono i Signori dell’Europa.

E la guerra che ci stanno muovendo trova sempre nuove vittime: in nome dell’ambiente, delle bufale ecologiste, delle potenti lobby verdi, un nuovo obiettivo è stato messo nel mirino del neo-socialismo di Bruxelles: l’agricoltura.  Il governo olandese, infoiato di fanatismo gretinista e sulla base della famigerata “transizione ecologica” imposta dall’Unione Europea, ha deciso di ridurre l’azoto prodotto dagli allevamenti del 70%. Potrebbe significare la chiusura del 30% delle aziende agricole e la rovina di molte altre. Ma la buona notizia è che gli agricoltori olandesi, come i tassisti italiani, sono scesi in piazza, hanno bloccato le città, nonostante la repressione poliziesca ordinata dal governo ultra-europeista di Mark Rutte.

Sono segnali interessanti che dimostrano che non sempre i popoli chinano il capo di fronte gli attacchi alla libertà. Non tutti gli europei accettano la schiavitù. Vedremo come andrà a finire.

Antonio de Felip

 

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