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LA CENSURA E LA CANCEL CULTURE ATLANTISTA CONTRO LA RUSSIA. Di Antonio de Felip

Una premessa terminologica e non solo: qui non utilizzeremo il termine “Occidente” e derivati: è un inganno storico, prima ancora che geopolitico. Nonostante la camicia di forza della Nato, a egemonia statunitense, è dubbio che possa esistere una comunanza Europa-USA descrivibile come “Occidente”: è evidente che gli interessi delle due entità politiche (ammesso che l’Unione Europea lo sia e coincida con l’Europa) divergono radicalmente. Da sempre. Quando Spengler scriveva quel capolavoro di morfologia della storia che è Il Tramonto dell’Occidente si riferiva all’Europa, non agli Stati Uniti, distantissimi anche dal suo orizzonte storico, metapolitico e antropologico. Scrive Franco Cardini: “Occidente non è una cosa, una realtà geostorica o geoculturale: è una parola equivoca”. Alain de Benoist si esprime con altrettanta chiarezza: “L’Europa non può essere confusa con l’Occidente.” E ancora: “Non siamo occidentali, ma europei”.

Ciò che è certo, riguardo al conflitto in Ucraina, è che è dai pur recenti tempi del Covid che non si vedeva lo scatenarsi di una tempesta sociale emotiva, mediatica, istituzionale così intrisa di odio, di menzogne, di bieca propaganda, in questo caso russofobica, che ha cancellato i fatti veri che hanno portato al conflitto: il mancato rispetto della NATO degli accordi del 1991, con la sua minacciosa avanzata verso il confine russo, il golpe di Maidan del 2014, promosso dalla CIA e delle ONG di Soros, con la destituzione del legittimo presidente Yanukovich e l’instaurazione di un regime filoatlantista, il mancato rispetto di Kiev dei trattati di Minsk sull’autonomia del Donbass, lo scatenarsi dell’oppressione ucraina contro la parte russa, russofona e russofila della popolazione: partiti, come il Per la Vita, il secondo partito come voti, e media russi vietati, vietato persino l’uso della lingua russa. Esponenti politici arrestati, imprigionati e torturati; giornalisti uccisi sotto casa. Poi i pogrom dei russi a Odessa, decine bruciati vivi nel palazzo ove si erano rifugiati per trovare asilo dai linciaggi e le migliaia e migliaia di russi del Donbass massacrati dalle bande ucraine, bombardati, uccisi, spesso dopo torture, nelle vie, nelle loro case, nei campi. Una terribile documentazione, anche fotografica, di questo vero e proprio genocidio ignorato dai media euroatlantici è stata fornita da Enrico Vigna, nel suo testo: Ucraina, Donbass i crimini di guerra della giunta di Kiev, Zambon Editore. Quando l’esercito russo è intervenuto per impedire i massacri, si contavano già 14.000 morti. Il rispetto delle minoranze e della libertà dei partiti politici è una delle pre-condizioni per l’accettazione di nuovi soci nel club della UE. Certo è che l’Ucraina non la rispetta.

Ma tutti questi eventi sono oscurati, censurati, deformati o falsificati dai media euroatlantici. Di questa falsificazione della storia è un buon esempio Wikipedia, “presunta enciclopedia libera”, che ha cancellato la narrazione precedente del massacro di Odessa e ha pubblicato una nuova narrazione, negatrice della realtà: quella di manifestanti filorussi che, per sfuggire ai linciaggi di nazionalisti ucraini armati, si rifugiarono nel palazzo dei sindacati. Gli ucraini lo incendiarono con decine di bombe molotov e furono 42 le vittime ufficiali, probabilmente molto di più. Wikipedia ha modificato il racconto dell’avvenimento: non più “omicidio di massa” come nella precedente versione. Adesso descrive il rogo come avvenuto “in uno scontro tra opposte fazioni”. Il nuovo titolo della voce è un anodino e insignificante “Incendio della casa dei sindacati di Odessa”. L’espressione “sentimenti antirussi”, usata nella precedente versione, è scomparsa. Se si digita “Massacro di Odessa” compare un evento avvenuto nel 1941. L’attuale versione dei fatti è tutt’ora contestatissima sul web e soggetta a richieste di modifica.

Allo scatenarsi del conflitto, è esplosa, in USA e nell’Unione Europea, una gigantesca campagna contro la Federazione Russa, contro Putin, contro la popolazione russa che l’appoggia con un consenso dell’83%. Ecco dunque le “inique sanzioni” contro la Russia, la caccia, contro ogni più elementare diritto, ai beni dei cosiddetti “oligarchi” (perché non vengono definiti “oligarchi” anche i tycoon ultra-liberal statunitensi come Zuckerberg, Bezos, Soros?). Tutti, o quasi, i media europei si sono impegnati in una competizione di incitamento all’odio antirusso (alcuni social media hanno addirittura rimosso ogni limitazione alla violenza verbale e alle minacce contro i russi), di santificazione del regime ucraino, di falsificazione o nascondimento dei fatti. Il governo ultra-atlantista della Gran Bretagna è arrivato a sanzionare persino il Metropolita Kirill, capo della Chiesa Ortodossa. Anche L’UE ci aveva tentato, ma Orban aveva posto il veto.

Ma ciò che più colpisce qualsiasi osservatore realmente indipendente e non prevenuto è lo scatenarsi di un’oscena cancel culture di ogni realtà, umana, culturale, artistica, storica, sportiva riconducibile alla Russia, accompagnata da una bieca censura di ogni obiezione, ogni distinguo, ogni dubbio rispetto alla narrazione russofobica imperante. Eclatante il caso della famigerata lista di proscrizione di “amici di Putin” negata dai servizi e dal Copasir ma pubblicata dal Corriere della Sera, con l’aggravante di un Governo più preoccupato, se non indignato, per la fuoriuscita e la pubblicazione dei documenti che non per l’obbrobrio della stesura della lista in sé. Con apprezzabile ironia, autori come Franco Cardini e Silvana De Mari si sono detti “offesi” per non essere stati inclusi nell’elenco dei reprobi con presunte simpatie per la Terza Roma.

Ha scritto il politologo Marco Tarchi: “Negli editoriali di alcuni quotidiani “indipendenti” […] si sono letti dichiarati appelli a tappare la bocca agli ospiti sgraditi delle trasmissioni televisive di (ipotetico) approfondimento”. E la censura c’è stata, ed evidente: giornalisti russi invitati ai talk show per essere continuamente interrotti, tacitati, privati della parola, insultati. Il giornalista del TG La 7 Enrico Mentana si più volte vantato di non aver mai invitato un “dissidente”, italiano o russo, alle sue trasmissioni. Gli inviati delle grandi TV sono al seguito (al servizio?) dell’esercito ucraino: nessun reportage su ciò che avviene, ad esempio, nel Donbass abitati da russi, dove i bombardamenti ucraini non sono mai cessati. I media russi, come Russia Today e Sputnik sono stati silenziati nell’Unione Europea, così come molti siti d’informazione russi o russofili. Un processo, intentato da Russia Today France, è in corso presso il tribunale dell’Unione Europea a Lussemburgo. Ecco alcuni degli argomenti portati dalla difesa dell’UE a favore della censura: “Russia Today France è uno strumento di propaganda e non ha diritto alla libertà d’espressione”; e ancora: “Non c’è libertà d’espressione per un propagandista di guerra”. E persino un preoccupante: “La libertà d’espressione non è un diritto assoluto”. Già: lo sappiamo bene noi in Italia con le leggi Scelba/Mancino.

Un blogger filo-russo è stato arrestato in Lettonia, malmenato al momento dell’arresto, percosso al commissariato e poi aggredito in galera. Il suo canale YouTube ovviamente chiuso, il suo telefono hackerato.

Massimo Giannini, direttore de La Stampa, una volta scoperto che il suo quotidiano aveva esibito, come prova delle stragi russe, immagini di civili uccisi nel Donbass da un bombardamento ucraino, si è difeso scagliandosi contro i “miserabili lacchè di Santa Madre Russia, sedicenti storici, poveri webeti e pseudogiornalisti”. Mirabile esempio di oggettività dell’informazione, bon ton e rispetto del prossimo. Un altro giornalista, Filippo Rossi, parlando dei cosiddetti “filorussi”, ha detto: “Ho incominciato a disprezzarli, a odiarli”.

Ma è nella “società civile” (“civile”?) che si è scatenata la cancel culture più ignobile e ottusa. I regimi atlantisti hanno fatto a gara a cancellare ogni presenza pubblica russa. Impressionante è, ad esempio, ciò che è avvenuto nell’ambito della musica sinfonica, operistica e del balletto. E’ questa è un patrimonio culturale rispetto al quale la Russia (persino ai tempi dell’URSS) ha sempre avuto un’attenzione speciale, del tutto sconosciuta ai paesi europei, per non parlare degli USA. Moltissime sono le eccellenze musicali, coltivate da una società e da un sistema scolastico che tutela e trasmette la bellezza della musica classica.

Forse è per questo che la feroce caccia a ogni traccia della cultura russa è partita subito dopo lo scoppio delle ostilità e l’immediato, fazioso schieramento dell’Italia e dell’Europa con una delle due parti. Ecco quindi che il sindaco di Milano Sala impone, con inusitata arroganza, al direttore d’orchestra russo Valery Georgiev, sul podio scaligero con un’opera di Ciajkovskij, di rinnegare il suo governo e il suo paese. Analogo diktat nei confronti di un’altra artista russa, il soprano Anna Netrebko. Ottenuto un fermo e dignitoso rifiuto, Sala, ignorando contratti, rispetto della cultura, degli abbonati e frequentatori del Teatro la Scala, li ha cacciati immediatamente. A Gorizia, tre violiniste russe sono state escluse dal concorso internazionale Lipizer, solo perché russe. In un teatro di Lisbona, le locandine che annunciavano Il lago dei cigni riportavano Ucrainian Ballet a titoli cubitali e praticamente cancellavano il nome di Ciajkovskij, relegandolo, a caratteri illeggibili, in fondo al manifesto. I teatri ucraini hanno intimato ai ballerini di non eseguire più opere russe, pena il licenziamento e addirittura l’arresto per tradimento. Molti teatri, italiani e no, hanno cancellato dalle programmazioni gli autori russi.

Questa feroce cancel culture atlantista non ha riguardato solo musica classica: ha fatto notizia la decisione dell’Università della Bicocca a Milano di proibire un ciclo di conferenze su Dostoevskij. Siamo alla più becera imitazione dell’Ucraina, che ha cancellato dai suoi programmi gli autori russi (inclusi, falsificando la realtà e la storia, nella letteratura “straniera”), salvo però il russo, russissimo Gogol solo perché nato nella regione di Poltava, territorio russo oggi occupato dall’Ucraina. La direttrice dell’Istituto del libro ucraino, Oleksandra Koval, ha richiesto di eliminare dalle biblioteche 100 milioni di libri russi.

Ma le discriminazioni non finiscono qui. Un albergatore ha cacciato turisti russi dal suo hotel. Nello sport, gli organizzatori del torneo di tennis di Wimbledon hanno sbattuto la porta in faccia ai pur forti tennisti russi. Il Comitato Olimpico ha avuto persino il coraggio di impedire agli atleti russi di gareggiare nelle Paralimpiadi. Il Cern di Ginevra, l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, sta decidendo se espellere la Russia dall’organizzazione e quindi se cacciare i circa mille scienziati russi che collaborano con questo prestigioso ente scientifico. Si susseguono le petizioni di scienziati e cittadini perché questo non avvenga; anche Antonino Zichichi è opposto a questa assurda possibilità. Ma purtroppo conosciamo la forza della russofobia imposta da Washington e fatta propria da una sottomessa Bruxelles.

Ma le censure e la limitazione della libertà d’espressione stanno diventando sempre più oppressive e insensate. Nei Länder tedeschi della Bassa Sassonia e della Baviera hanno messo fuorilegge il simbolo “Z”, usato dai russi. Chiunque esponga tale segno dovrà affrontare un processo penale.

Ma a ricordarci che la beceraggine si accompagna spesso con la stupidità e la totale assenza di senso del ridicolo, ecco la dichiarazione della signora Margrethe Vestager, commissario UE, riguardo al risparmio energetico che l’Unione vuole imporre per sostenere le sanzioni alla Russia che, come è risaputo, danneggiano più l’Europa, ma non gli USA, rispetto alla Russia: “Controllate le vostre docce e quelle dei vostri figli adolescenti. E quando chiudete il rubinetto, dite: Prendi questa, Putin!” Bambinesco cretinismo sotto la doccia.

Ma gli esempi di stupidità provocati da quella vera e propria patologia mentale che è la russofobia non sono isolati. Una mostra felina ha rifiutato la partecipazione di gatti russi (immaginiamo che i mici putiniani non se la siano presa più di tanto). Un’altra idiozia: al concorso per l’European tree of the year hanno squalificato una celebre quercia piantata 198 anni fa. La sua colpa? Era stata piantata da Ivan Sergeevič Turgenev, il grande scrittore russo dell’Ottocento, tra l’altro “progressista”, per l’epoca.

Torniamo ai puri accadimenti d’Ucraina. Montesquieu diceva che c’è chi scatena le guerre e chi le rende inevitabili. Allora, chi ha reso inevitabile il conflitto? La Russia o non piuttosto la Nato e il suo aspirante socio, Zelensky (che, tra parentesi, ha un patrimonio personale di venti milioni di dollari), con la loro escalation politico-militare, con l’avvicinarsi minacciosamente i confini della Russia, con le persecuzioni dei russi, russofoni e russofili d’Ucraina, con il genocidio dei russi del Donbass (e non solo)? Chi è veramente l’aggressore e l’aggredito? Scrive, a proposito di chi è il vero aggressore in questo conflitto, Franco Cardini: “l’aggressore è un lupo cui la pelle d’agnello con la quale si camuffa cade continuamente di dosso.”

Antonio de Felip

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