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CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI: DOBBS CONTRO ROE. Di Francesco Mario Agnoli

In linea di principio non credo che scrivendo un articolo giuridico o commentando una sentenza ci si debba spogliare di tutte le proprie convinzioni, quelle morali in prima linea, per attenersi esclusivamente al freddo rigore della norma giuridica. Tuttavia quando si tratta di materie che suscitano violente prese di posizione, passioni e, al limite, veri e propri scontri di piazza, se si vuole dare un contributo alla pacificazione, quanto meno per sostituire agli scontri un dibattito argomentato, è indispensabile assumere l’abito del giudice che, chiuso, come un tempo si diceva nella sua “torre d’avorio”, si attiene rigidamente ai principi base dello Stato di diritto, della democrazia e alla lettera della legge.

E’ certamente il caso del cosiddetto diritto all’aborto, che in particolare negli Stati Uniti d’America, ma, di riflesso, quanto meno in tutto l’Occidente,vede contrapporsi i sostenitori della free choice e della libertà della donna a chi mette in primo piano il diritto alla vita del concepito In realtà per il giurista che desidera attenersi all’assoluta obiettività la strada da intraprendere è abbastanza semplice: si tratta di mettere a confronto la sentenza della US Supreme Court in data 22 gennaio 1973 (Roe vs. Wade), che, di fatto, aprì la strada a quello che oggi in tutto l’Occidente, se non in tutto il mondo, molti definiscono “diritto all’aborto”, con la sentenza del 24 giugno 2022 (Dobbs vs Jackson Women’s Health Organisation), con la quale la stessa Corte ha messo in discussione (per ora limitatamente agli USA) non l’esistenza di questo diritto, ma la sua base giuridica. E’ facile immaginare che, anche su questo piano strettamente giuridico, avremo corposi e dettagliati confronti fra giuristi, ma, per essere rapidi e tempestivi, in prima battuta ci si può limitare all’essenziale, partendo dalla sentenza del 1973, conclusiva di una class action, che, promossa, da Norma L. McCorvey, sotto lo pseudonimo, di Jane Roe a tutela della propria privacy, sollevava la questione di legittimità costituzionale di una legge dello Stato del Texas, che vietava l’aborto, consentendolo tuttavia ove il medico lo ritenesse necessario per salvare la vita della madre (“by medical advice for the purpose of saving the life of the mother”). La sentenza Roe (poi ripresa nel 1992 dal sentenza Casey) è nella sua motivazione lunga e complessa, anche perché avverte la necessità di tenere conto, in contrapposizione al diritto della donna alla libera scelta, non tanto del diritto alla vita del concepito (emerge qui la tesi – per altro tuttora vigente nella maggior parte degli ordinamenti – che nega il riconoscimento della personalità giuridica, quindi, della capacità di esser titolare di diritti prima della nascita) quanto dell’interesse statale alla tutela della vita potenziale, la cui rilevanza si manifesta in maniera crescente nel corso della gravidanza, sicché man mano che questa avanza si affievolisce, fino a sparire, il diritto della donna (in concreto, secondo il testo della sentenza, l’aborto non era più praticabile quando il feto diveniva capace di vita fuori dal grembo della madre, quindi dopo 24-28 settimane dal concepimento).

Nonostante l’espresso richiamo, oltre che alla “vaghezza” della legge texana sull’aborto, all’eccessiva lesione che questa legge arrecherebbe “a coloro che si appellano al Nono e al Quattordicesimo emendamento”, il diritto costituzionale violato viene individuato dalla decisione del 1973 nel right to privacy”. Un diritto alla privacy in realtà a sua volta non espressamente previsto dalla Costituzione, ma la cui esistenza era stata in precedenza affermata in quanto costituzionalmente “necessitata” sulla base della “penumbra di altri diritti del Bill of Rights” (appunto quelli di cui ai due richiamati emendamenti).Quindi, in definitiva, un diritto costituzionale all’aborto di “scoperta”, se non si vuole dire “creazione”, giurisprudenziale, scaturito da una doppia penombra.

Hanno, quindi, avuto gioco facile i giudici della causa Dobbs vs Jackson Women’s Health Organisation (anche questa nasce dal ricorso proposto – da tale Organisation contro la legge di uno Stato – nel caso il Mississippiche limitava l’aborto alle prime 15 settimane dal concepimento) nel ritenere a netta maggioranza (sei voti contro tre) che la “Costituzione americana non fa alcun riferimento all’aborto e nessun diritto del genere è implicitamente protetto da alcuna disposizione costituzionale”. Evidente già in questa affermazione la critica di fondo alla sentenza Roe, che diviene del tutto esplicita e per nulla condiscendente nel parere del giudice Samuel Alito, destinato a tradursi nella motivazione della sentenza in quanto condiviso dai giudici Clarence Thomas, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett (il presidente della Corte Suprema, John Roberts, ha presentato un parere separato, ma concorde nel giudizio). Vi si afferma essere “tempo di dare ascolto alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti del popolo”, ai quali “la comprensione storica della libertà ordinata da parte della nostra nazione non impedisce di decidere come regolamentare l’aborto”. Quanto alla sentenza Roe:aveva terribilmente torto fin dall’inizio. Il suo ragionamento era eccezionalmente debole e la decisione ha avuto conseguenze dannose. E lungi dal portare a una soluzione nazionale della questione dell’aborto, Roe e Casey hanno acceso il dibattito e approfondito la divisione”. Questo è un punto fondamentale per qualunque valutazione: la sentenza si limita a togliere all’aborto la natura di diritto costituzionale, ma non lo vieta (né lo promuove) sicché gli Stati che già hanno proprie leggi al riguardo, tanto in un senso quanto nell’altro, potranno, se non scelgono di modificarle (già si sa che molti Stati, specialmente del sud sono orientati a porre nuove limitazioni se non divieti), continuare a farne applicazione. Sotto questo profilo, vengono indubbiamente ristabilite le regole della democrazia: le leggi le fanno i rappresentanti del popolo, non i giudici.

Infine, per sommario orientamento su quanto potrà avvenire sotto questo aspetto, si può dire che i fautori dell’aborto sperano in una legge federale che ristabilisca, su base normativa, la situazione della sentenza Roe. A questo fine era già stato presentato un disegno di legge, tuttavia bocciato dal Senato l’11 maggio 2022. Sempre al Senato pende da qualche tempo il disegno di legge – anche questo di natura federale – “sulla protezione della salute delle donne”, già approvato dalla Camera dei Rappresentanti, che consentirebbe l’aborto fino alla nascita del prodotto del concepimento, quindi ben oltre i limiti previsti dalla sentenza Roe.

Francesco Mario Agnoli

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