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SULLE PROTESTE IN ARMENIA. Di Andrea Giumetti

Ormai ci siamo quasi abituati: ciò che avviene nel Caucaso, sopratutto se non riguarda forze nettamente opposte a Mosca, passa sotto una cappa di omertà mediatica. Sopratutto se riguarda l’Armenia, uno stato che è sotto le mire espansionistiche dei nostri alleati, e sopratutto se riguarda il grande spauracchio della democrazia liberale post anni’80: le manifestazioni popolari antigovernative. A partire da Maggio, infatti, il popolo armeno è sceso in piazza nella capitale, dopo una incredibile marcia su Erevan, partita da ogni parte del paese: i manifestanti che, in pieno stile armeno, stanno tenendo un comportamento esemplare, hanno da allora picchettato Piazza Francia, muovendosi in enormi manifestazioni popolari (sopratutto se teniamo conto che la popolazione armena nazionale si aggira attorno ai soli quattro milioni di abitanti) per le strade e davanti ai palazzi del potere. A riprova del fatto che si tratti di manifestazioni non eversive e sostanzialmente non violente, basta considerare come la presenza dei manifestanti non abbia impedito ne ostacolato lo svolgimento di altre manifestazioni pubbliche: per esempio il 13 giugno si è tenuto un festival del cibo nel parco di Khachkar, che non è molto distante da Piazza Francia. Addirittura, il 4 Maggio la pop star armena Sirusho, incinta del suo terzo figlio, ha “improvvisato” un concerto patriottico tra la folla, senza misure di sicurezza e senza alcun tipo di disordine. Oggetto della protesta da parte dei manifestanti, è la contestazione della politica estera del primo ministro Nikol Pashinyan, la cui elezione in realtà aveva già destato qualche critica e qualche sospetto di procedure irregolari, che sostanzialmente punta a risolvere la crisi aperta con l’Azerbaijan attraverso negoziati e concessioni territoriali, mantenendo un asse internazionale sostanzialmente equilibrato, ma con una flessione verso l’occidente, l’UE e gli USA. In particolare, oltre al regolarizzare i rapporti di vicinato regionali con l’Azerbaijan e con la Turchia, cedendo sulla linea del Nagorno Karabakh, si tratterebbe anche di congedare le forze russe di pacekeeping che attualmente regolano l’accesso al confine della regione contesa. Ed è proprio l’idea di abbandonare i fratelli armeni alle angherie di uno stato che già adesso ha più volte tentato di violare la tregua o di forzare l’abbandono delle case (in Febbraio, un “incidente” aveva interrotto le forniture di gas Turkmeno che passano proprio per il territorio azero), che ha fatto scattare ovunque la protesta.

Ora, è bene chiarire fin da subito una cosa: la repubblica armena non ha particolari simpatie filorusse, ma essendo uno stato dell’area post-sovietica, intrattiene ottime relazioni con il vicino, e facendo parte della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) ha importanti accordi di sicurezza rispetto alla Federazione Russa. L’unico stato con cui l’Armenia abbia fraterni e solidissimi rapporti, sia per convergenze di interessi che per vincoli culturali e storico-etnici, è la repubblica Islamica dell’Iran; per il resto, molto intelligentemente, gli armeni mantengono una saggia politica di equilibrio che, forte anche del peso della diaspora armena nel mondo, assicura che il paese possa giocare su più tavoli allo stesso tempo. A partire dal precedente mandato di Pashinyan, questo equilibrio è stato fatto virare verso un avvicinamento con l’eurozona, sia per considerazioni politiche (la repubblica è passata da un presidenzialismo imperfetto ad un parlamentarismo bicamerale), che di attrattiva economica: dato che il principale assetto economico dell’Armenia sono gli armeni stessi, in quanto popolazione con una percentuale altissima di laureati, e le imprese occidentali del digitale e dell’informatica erano quindi un target di investimento migliore rispetto alla Federazione Russa, più legata al settore delle materie prime. L’avvicinamento però non ha dato i risultati sperati, specialmente nei due recenti momenti di crisi, la guerra dei 44 giorni nel Nagorno-Karabakh e quella in Ucraina, quando le esigenze della “realpolitik”(non si può non inserire tra virgolette) europea hanno costretto a scegliere le agende dei paesi europei tra l’Armenia e il gas azero. Alcuni paesi, tra cui l’Italia, hanno per altro declinato l’esigenza strategica di ingraziarsi Baku in maniera particolarmente arrogante, con dichiarazioni e azioni che avevano tutto il sapore dello schiaffo in pieno volto rispetto alla dignità della repubblica armena e del suo popolo. E a questo mondo, esistono pochi popoli che abbiano una dimensione di solidarietà e dignità nazionale sviluppata quanto gli armeni. Non sorprende dunque la grande marcia su Erevan compiuta dal popolo, una manifestazione lunga e rabbiosa, che tuttavia ha visto le uniche violenze essere avviate dal governo, che ha più volte cercato di bloccare i manifestanti con la forza e con raffiche di arresti (pare si sia avuto un picco di 500 fermi in un singolo giorno), mentre il popolo, fiducioso e conscio nei valori della democrazia, ha continuato imperterrito la sua marcia, senza cedere ne alle lusinghe, ne alle minacce.
La situazione armena non è facile, e non si può onestamente muovere una critica unilaterale verso la politica di Pashinyan, che sta per altro avendo tiepidi successi nella misura in cui, complici anche le sanzioni alla Russia, sta attirando e promuovendo investimenti in Armenia, che potrebbe diventare un hub di collegamento neutrale tra il blocco europeo e quello russo. Ma io penso che, in tutta onestà, non si possa non essere toccati dalla dimostrazione di maturità e forza del popolo armeno, che ha recepito la recente sconfitta in guerra come uno sprone alla ripartenza del paese, e che nonostante tutto continua a credere nelle potenzialità di una democrazia portata avanti da cittadini politicamente attivi e propositivi, così come nella promessa di pace e prosperità che la piccola repubblica del caucaso tutto sommato fa di tutto per meritare.

Andrea Leandro Giumetti

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