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ARMI A PAESI BELLIGERANTI E COSTITUZIONE. Di Francesco Mario Agnoli

I grandi quotidiani nazionali (i “giornaloni”, come li definiscono gli avversari dei loro furori bellicisti) hanno cercato il conforto di costituzionalisti famosi a sostegno della tesi che l’invio di armi all’Ucraina da parte dell’Italia non viola il “ripudio della guerra” sancito dall’art. 11 della Costituzione. L’argomentazione di base svolta in sostanza da questi costituzionalisti ha due aspetti: l’Italia non è in guerra, perché per esserlo non basta l’invio di armi a uno o più dei paesi belligeranti e, in ogni caso, la norma costituzionale distingue fra guerra di offesa (proibita, anzi ripudiata dalla Costituzione) e di difesa (consentita e addirittura doverosa). E’ ben vero che non si tratta di difesa della Patria (l’unica guerra difensiva cui, secondo altri costituzionalisti, farebbe riferimento la Costituzione) e nel caso dell’Ucraina nemmeno di un Paese alleato. Tuttavia – sostengono – da un lato, “per intervenire è sufficiente la minaccia esterna su un Paese confinante con l’organizzazione” (nella fattispecie la “Nato”, di cui fanno parte sia l’Italia, sia Polonia e Romania, che “confinano con l’Ucraina”). Dall’altro,“l’aiuto a chi è aggredito e agisce in autotutela è una consuetudine internazionale consolidata, che rispecchia un principio fondamentale di solidarietà”.

Argomenti non troppo persuasivi. In particolare quello, assolutamente apodittico (forse valido sul piano politico-militare, ma privo di qualunque riscontro nel disposto costituzionale) sul paese confinante con un paese alleato, ma quasi altrettanto quello che distingue fra invio di armi e partecipazione diretta (diciamo “sul campo”) al conflitto, soprattutto in una situazione che vede l’Italia (e altri paesi) schierata in tutto e per tutto a fianco di un belligerante, e nella quale non solo la stampa, ma rappresentanti e organi dello Stato invocano la censura nei confronti di cittadini dello Stato nemico in un clima prossimo al “Taci! Il nemico ti ascolta!” dell’ultimo conflitto mondiale.

In ogni caso per i costituzionalisti interpellati dai “giornaloni” si tratta anche di rispondere alle obiezioni di colleghi che gli ricordano che basta consultare “i manuali di diritto costituzionale del primo dopoguerra” per scoprire che in un momento così prossimo ai lavori dell’Assemblea costituente (un’Assemblea costituente tanto decisa nel rifiuto della guerra da avere sostituito la formula inizialmente proposta “rinuncia alla guerra” con quella , ben più forte, “ripudia la guerra”) nessuno dubitava “che l’unica guerra ammissibile è quella difensiva rispetto alla nostra integrità territoriale” e che l’art. 11, addirittura vieta non solo la donazione, ma il commercio di armi con i paesi in guerra. Si è tentato di controbattere questa obiezione con un argomento, indubbiamente più valido sotto il profilo giuridico di quello, “chilometrico”, della prossimità dei confini, ricavato dalla seconda parte dello stesso art. 11 Cost., dove si afferma che l’Italia “consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Al riguardo il Sole 24 ore, sotto il titolo “La Carta cede il passo ai vincoli sovranazionali”, riporta nei seguenti termini l’opinione del costituzionalista Tommaso Frosini: “La Costituzione parla a noi, non agli altri e questa è una guerra degli altri, che ci riguarda però come partner di Stati con i quali abbiamo firmato dei Trattati. E anche se la nostra Costituzione ci vietasse la guerra, e così non è, si tratterebbe di un divieto destinato a cedere il passo a norme sovranazionali. L’articolo 11 della Costituzione, non prevede un no generico alla guerra, la ripudia come offesa, e va letto insieme all’articolo 10, secondo il quale l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Anche l’articolo 117 ricorda che la potestà dello Stato va esercitata nel rispetto dei vincoli che derivano dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

Una tesi che sembra trovare agganci nelle affermazioni di qualche suo collega (Sabino Cassese: “Però noi siamo legati da trattati, da convenzioni e da istituzioni. L’assemblea ONU, il Consiglio Europeo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, la Corte Penale Internazionale e la Corte Internazionale di Giustizia hanno espresso già delle opinioni di condanna. Ora, se come dice l’ultima parte dell’articolo, noi siamo vincolati a queste organizzazioni internazionali, dobbiamo tener conto di quello che fanno e del loro giudizio”; Giovanni Maria Flick: “Ci si muove nell’ambito di un trattato Nato, siamo al di fuori dell’ambito della guerra che dobbiamo ripudiare” e ancora: “L’Italia sta interpretando correttamente la duplice portata dell’articolo 11 della Costituzione: limitare il male della guerra alle ipotesi di difesa legittima, e adempiere ai doveri di solidarietà e coesione che caratterizzano un trattato internazionale a favore della pace. Il patto atlantico è nato con questo fine”). Termini più sfumati, perché chi l’ha presieduta non può ignorare che la Corte costituzionale si è espressa ben due volte in senso esattamente contrario a questa tesi. Lo ricorda la costituzionalista Lorenza Carlassare col citare la sentenza n. 300/1984, con la quale la Corte afferma che, ben lungi dal potere derogare alla Costituzione, “è il Trattato che, quando porta limitazioni alla sovranità non può ricevere esecuzione nel Paese se non corrisponde alle condizioni e alle finalità dettate dall’art. 11”, e addirittura parla di un “evidente equivoco” del giudice remittente, che aveva interpretato una precedente sentenza della Corte (n. 183/1973) appunto nel senso di attribuire la prevalenza al Trattati, quindi con la Carta costretta a “cedere il passo ai vincoli sovranazionali”.

Ben due quindi le decisioni della Corte che bocciano la tesi del costituzionalista Frosini e non potrebbe essere altrimenti dal momento che l’art. 11 fa parte dei “principi fondamentali” della nostra Costituzione, di quel nocciolo duro di norme sulle quali non può prevalere nemmeno il diritto comunitario (Corte costituzionale n.ri 269/2017 e 115/2018). Insomma non c’è trattato o autorità internazionale o sovranazionale che tenga: il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie costituisce un irrinunciabile principio del nostro ordinamento costituzionale, solennemente fissato dall’art. 11, disposizione unitaria da leggere, appunto, nella sua unità, il che comporta che le limitazioni di sovranità di cui alla seconda parte sono quelle che ribadiscono e rinforzano il nucleo essenziale del ripudio della guerra, non altre che autorizzino deroghe ed eccezioni, sicché anche il concetto della pur lecita guerra di difesa deve essere circoscritto entro limiti ben precisi, a cominciare dall’oggetto della difesa.

Se quanto fin qui detto è esatto ne discende l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 bis del d.l. n. 14 del 25/2/2022 (articolo introdotto dalla legge di conversione 5/4/2022 n.28), che così dispone: “Previo atto di indirizzo delle Camere è autorizzata la cessione di mezzi materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina in deroga alle disposizioni di cui alla legge 9/7/1998 n. 185, agli artt. 310 e 311 del codice dell’ordinamento militare di cui al d.lgs. 15/3/2010 n. 66 e alle connesse disposizioni attuative”.

Francesco Mario Agnoli

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