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“IL MIO SCOPO È RAGGIUNTO, LA NAUSEA, L’HO CAPITO ORA, SONO IO STESSO”. Di Virginia Chiavaroli.

E poi ecco: d’un tratto, era lì, chiaro come il giorno: l’esistenza s’era improvvisamente svelata. Aveva perduto il suo aspetto inoffensivo di categoria astratta, era la materia stessa delle cose, quella radice era impastata nell’esistenza. O piuttosto, la radice, le cancellate del giardino, la panchina, la rada erbetta del prato, tutto era scomparso; la diversità delle cose e la loro individualità non erano che apparenza, una vernice. Questa vernice s’era dissolta, restavano delle masse mostruose e molli in disordine, nude, d’una spaventosa e oscena nudità.

  1. Paul Sartre

Svestiti i panni dell’attivo idealista, comprendo, mio malgrado, la nausea che accompagnava la prima fase del pensiero sartriano. Non un invito ad abbandonare la resistenza, solo la cruda rassegnazione che si fa strada, dopo la constatazione e l’accettazione di questo stato del mondo. Lo smarrimento dell’uomo in una realtà priva di solidità, di ordine, di significato, che, nel pensiero del filosofo, porta alla sensazione della gratuità della vita e per tanto alla percezione di inutilità dell’essere, da cui la nausea, in una realtà in cui non esiste un rapporto di necessità tra le cose. Nessuno singolarmente può cambiare il mondo, se non è il mondo collettivamente a voler cambiare. Perché chi combatte in modo autonomo a mani nude contro un sistema malato, rischia di fare la fine di Don Chisciotte opponendosi ad un nemico che non si palesa mai concretamente. Il potere ha agito in modo subdolo plagiando la mente dei cittadini, per questo il primo avversario da affrontare è proprio il pensiero assoggettato, e in quanto tale, ovvero non più autonomamente funzionante, viene svuotato della sua utilità. Un pensiero manipolato alberga in corpi vuoti, privati della loro vernice, e per ciò stesso senza rapporto di necessità.

Cos’altro, se non l’accettazione, che lungi dall’essere rassegnata e passiva, può muovere un uomo davanti ad una società, non interamente, ma per grossa parte, ben lieta che il politicante di turno, ostaggio più o meno consapevole di un sistema infame, vigili sulla sua esistenza? E ancora, come fanno le persone a preoccuparsi esclusivamente della salvaguardia del corpo, e a non curarsi affatto di nutrire lo spirito? È questa una società in cui l’apparire, i beni materiali e gli averi, giocano un ruolo di prim’ordine. Nessun sorriso, non uno sguardo, un caldo abbraccio, e l’anima muore. Tutti sono intenti a preservare l’integrità dei corpi, senza curarsi dell’integrità morale: per le vie bambole di porcellana ben vestite, pettinate e truccate, ma fredde come il più rigido inverno. Quelle bambole sono morte dentro, e nessuno potrà liberarle. Gli uomini in divisa agli ingressi, fieri del loro ruolo di controllori attenti della società, attendono alteri che gli avventori si dispongano in fila per il controllo del QR Code. Raccapricciante notare come le persone, sì, uomini adulti di questa società, siano scioccamente felici di attendere il turno per la rilevazione della temperatura, e la scansione del codice. Nessuno che cerchi di evitare questo circo, non uno che si opponga alla società del controllo. Racconto poi, lo sgomento nel vedere l’atteggiamento remissivo di chi, entrando nei locali, viene catturato dalla voce metallica dei rilevatori di presenza, “Affrontare il viso allo schermo”. All’udire l’intimazione (il cui italiano è anche discutibile), lo sguardo è come rapito, e il corpo istintivamente si dirige verso la macchina del placet. Quell’oggetto sembra fornire ai più sottomessi, il permesso di entrare, e dunque il motivo di esistere in quel luogo. Da qui lo smarrimento per una realtà priva di significato, priva dei principi primi del rapporto tra gli uomini, priva di solidità. Per chi ha anteposto lo spirito al corpo, non sarà difficile convenire con l’idea che i controllori di una società lieta di mettersi in fila, altro non sono che inutili ispettori di corpi vuoti, senz’anima.

Descrivo e sottolineo la nausea nei confronti di questo mondo impazzito e cammino mal sopportando le facce mascherate, i sorveglianti, le colonnine degli igienizzanti, e gli scanner termometrici, rispetto a tutto questo mi sento di troppo. Unico sollievo alla nausea, in mancanza di persone dotate di raziocinio, è la fuga nella natura, nella bellezza dei declivi collinari, e in solitudine, mi beo della compagnia di me stessa. La mia mente, vecchia amica, è confidente e artefice dei pensieri più profondi. Trovo rifugio nei libri, ora vivendo con i protagonisti dei romanzi le loro stesse avventure, ora cullandomi con le emozioni dei versi dei poeti. Perché prima che corpi siamo pensiero, e prima dei codici, esistono le persone, il cui agire è determinante per ristabilire l’ordine delle cose, per ridare solidità all’essere, per dare una giustificazione all’esistenza.

Virginia Chiavaroli

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